Illusioni e delusioni di una possibile svolta
Fine del ciclo berlusconiano o fine del bipolarismo?
Ma le tentazioni estremiste sono dietro l’angolodi Elio Di Caprio - 19 maggio 2011
Bipolarismo in pezzi, legge elettorale da buttare perché non rappresenta e non fa governare, Berlusconi in declino catastrofico? I segnali dell’ultima tornata di elezioni amministrative sono tanti, tutto si tiene in quella che sembra una resa dei conti – ma è solo l’inizio - che non riguarda la sola figura del Premier ma tutto il contesto in crisi, dal bipolarismo che non riesce a contenere e rappresentare tutte le sue componenti ed ha prodotto un sistema di candidature comandate sconfessate localmente dagli elettori, al risultato paradossale che il partito del fare berlusconiano tutto ha dimostrato tranne di essere una forza tranquilla di governo, neppure capace di portare all’attenzione del dibattito elettorale problemi o impegni concreti su cui misurarsi.
Troppo tardi ci si accorge che l’estremismo non paga – si può essere estremisti in tanti modi stando al governo o all’opposizione - nasconde i problemi reali e determina per reazione un anarchico sentimento di opposizione a tutto: è il contrario del risultato che si voleva ottenere incanalando forzatamente il consenso in due partiti maggiori contrapposti. Non siamo ancora arrivati all’ultimo miglio della crisi di sistema ma non sarebbe male ricordarsi con l’occasione di altre svolte estremiste passate, da quella epocale del ’68 che durò almeno per dieci anni successivi quando il definirsi moderati o riformisti appariva una sconcia provocazione a quella di Tangentopoli del ’93 che con il consenso estremo di tutti pose sugli altari un uomo come Antonio Di Pietro che ancora miete consensi in nome del giustizialismo.
La tentazione estremista è dietro l’angolo ed è facilmente strumentalizzabile, ma ora prevale emozionalmente – e non potrebbe essere diversamente - all’indomani della sfida persa dalla signora Moratti a Milano, la fregola italica del regicidio. Tutta colpa del Cavaliere, tutti l’avevano detto e l’avevano previsto in tempo, e giù ad elencare errori ed omissioni del Silvio nazionale che ancora una volta ha forzatamente caratterizzato una campagna elettorale amministrativa sulla sua persona e i suoi guai giudiziari.
Ma perché solo ora questo segnale “improvviso” e non prima in occasione dei tanti test elettorali che si sono succeduti negli ultimi tre anni, dalle elezioni europee a quelle regionali, pur in presenza di una crisi economica di grandi proporzioni? Forse perché solo ora l’arroganza del potere – le continue invettive non del capo dell’Esecutivo in quanto tale, ma di Silvio Berlusconi eletto dal popolo (?) contro gli altri poteri costituiti della Magistratura, del Parlamento, del Capo dello Stato e della Corte Costituzionale sono diventate stanche e tronfie litanie che non portano a nulla – è stata percepita quale volontà di non sottoporsi ad alcun limite e controllo, nella vita pubblica come in quella privata.
Di qui l’eccessivo spazio concesso ai tanti pasdaran di complemento, dall’ineffabile Daniela Santanchè, la “fascista” (?) con la bava alla bocca prima pronta ad azzannare il Cavaliere e ora prona ai suoi voleri, ai tanti garantisti dell’ultima ora impassibili all’indecente spettacolo dei comizi del Premier-capo partito di fronte al Palazzo di Giustizia di Milano e magari pronti a ricorrere ad Amnesty International contro la magistratura italiana.
Come succede spesso in Italia i conti si fanno più dopo che durante, solo quando gli idoli cominciano a cadere. Le critiche più lucide e sferzanti al berlusconismo non provengono tanto dagli avversari politici, da quelli che da anni ripetono e aggiornano sulle colonne di “Repubbica” le solite scontate 10 domande al Cavaliere, ma dai circoli più ristretti di ammiratori o estimatori dell’attuale stagione politica.
Si va da Giuliano Ferrara che parla di gente stanca dei monologhi del Premier e lo invita a dettare l’agenda della politica (come se non fosse stata finora dettata da lui e dalla sua propaganda) all’elenco minuzioso che Vittorio Feltri fa dei continui e veri falli politici del Cavaliere che ne hanno sminuito la credibilità: la scissione del FLI come inizio delle disgrazie, la Protezione Civile che protegge gli affaristi, gli sbagli nella raccolta delle firme elettorali, quelli che comprano le case e non sanno chi le ha pagate, i “responsabili” che diventano disponibili in cambio delle poltrone, gli assalti al Quirinale, alla magistratura e alla Consulta, gli scandali “sessuali” forse un pò montati ma con l’esca fornita abbondantemente da chi ha allegramente confuso il profilo privato con quello pubblico. L’elenco è di Feltri non di un avversario prevenuto del Cavaliere.
Persino un quotidiano di apparato (economico) come il Sole 24 ore invita Berlusconi a svoltare prima della sfida finale di Milano verso una leadership autentica e non più da “politicante sul teatrino”. Ma forse l’analisi va ampliata al di là dei risultati dei prossimi ballottaggi e delle sorprese che potranno riservare, non escluso il possibile ribaltamento o aggiustamento di posizioni elettorali che si ritengono già acquisite.
Comunque finisca lo scontro elettorale e quali che siano le conseguenze sulla tenuta del Governo quanto sta accadendo, sia pure su scala locale più che nazionale, segnala che questo bipolarismo forzato non regge, non regge una legge elettorale indecente che lo ha peggiorato, non regge un leaderismo esasperato che non semplifica ma complica la normale dialettica tra maggioranza e opposizione, non regge più nemmeno un tipo di propaganda che ha fatto il suo tempo, bombarda e non convince.
Siamo alla fine (o all’inizio della fine) del ciclo berlusconiano? Svolta o incidente di percorso? Nessuno ancora lo sa, ma senza dubbio, a parte il destino del Premier e del suo sistema di potere, prima o poi bisogna rifare tutti i conti con quel che rimane a partire dalla riforma della legge elettorale e da un nuovo equilibrio tra i poteri dello Stato come approdo condiviso di una transizione che dovrà pure avere una fine.
Troppo tardi ci si accorge che l’estremismo non paga – si può essere estremisti in tanti modi stando al governo o all’opposizione - nasconde i problemi reali e determina per reazione un anarchico sentimento di opposizione a tutto: è il contrario del risultato che si voleva ottenere incanalando forzatamente il consenso in due partiti maggiori contrapposti. Non siamo ancora arrivati all’ultimo miglio della crisi di sistema ma non sarebbe male ricordarsi con l’occasione di altre svolte estremiste passate, da quella epocale del ’68 che durò almeno per dieci anni successivi quando il definirsi moderati o riformisti appariva una sconcia provocazione a quella di Tangentopoli del ’93 che con il consenso estremo di tutti pose sugli altari un uomo come Antonio Di Pietro che ancora miete consensi in nome del giustizialismo.
La tentazione estremista è dietro l’angolo ed è facilmente strumentalizzabile, ma ora prevale emozionalmente – e non potrebbe essere diversamente - all’indomani della sfida persa dalla signora Moratti a Milano, la fregola italica del regicidio. Tutta colpa del Cavaliere, tutti l’avevano detto e l’avevano previsto in tempo, e giù ad elencare errori ed omissioni del Silvio nazionale che ancora una volta ha forzatamente caratterizzato una campagna elettorale amministrativa sulla sua persona e i suoi guai giudiziari.
Ma perché solo ora questo segnale “improvviso” e non prima in occasione dei tanti test elettorali che si sono succeduti negli ultimi tre anni, dalle elezioni europee a quelle regionali, pur in presenza di una crisi economica di grandi proporzioni? Forse perché solo ora l’arroganza del potere – le continue invettive non del capo dell’Esecutivo in quanto tale, ma di Silvio Berlusconi eletto dal popolo (?) contro gli altri poteri costituiti della Magistratura, del Parlamento, del Capo dello Stato e della Corte Costituzionale sono diventate stanche e tronfie litanie che non portano a nulla – è stata percepita quale volontà di non sottoporsi ad alcun limite e controllo, nella vita pubblica come in quella privata.
Di qui l’eccessivo spazio concesso ai tanti pasdaran di complemento, dall’ineffabile Daniela Santanchè, la “fascista” (?) con la bava alla bocca prima pronta ad azzannare il Cavaliere e ora prona ai suoi voleri, ai tanti garantisti dell’ultima ora impassibili all’indecente spettacolo dei comizi del Premier-capo partito di fronte al Palazzo di Giustizia di Milano e magari pronti a ricorrere ad Amnesty International contro la magistratura italiana.
Come succede spesso in Italia i conti si fanno più dopo che durante, solo quando gli idoli cominciano a cadere. Le critiche più lucide e sferzanti al berlusconismo non provengono tanto dagli avversari politici, da quelli che da anni ripetono e aggiornano sulle colonne di “Repubbica” le solite scontate 10 domande al Cavaliere, ma dai circoli più ristretti di ammiratori o estimatori dell’attuale stagione politica.
Si va da Giuliano Ferrara che parla di gente stanca dei monologhi del Premier e lo invita a dettare l’agenda della politica (come se non fosse stata finora dettata da lui e dalla sua propaganda) all’elenco minuzioso che Vittorio Feltri fa dei continui e veri falli politici del Cavaliere che ne hanno sminuito la credibilità: la scissione del FLI come inizio delle disgrazie, la Protezione Civile che protegge gli affaristi, gli sbagli nella raccolta delle firme elettorali, quelli che comprano le case e non sanno chi le ha pagate, i “responsabili” che diventano disponibili in cambio delle poltrone, gli assalti al Quirinale, alla magistratura e alla Consulta, gli scandali “sessuali” forse un pò montati ma con l’esca fornita abbondantemente da chi ha allegramente confuso il profilo privato con quello pubblico. L’elenco è di Feltri non di un avversario prevenuto del Cavaliere.
Persino un quotidiano di apparato (economico) come il Sole 24 ore invita Berlusconi a svoltare prima della sfida finale di Milano verso una leadership autentica e non più da “politicante sul teatrino”. Ma forse l’analisi va ampliata al di là dei risultati dei prossimi ballottaggi e delle sorprese che potranno riservare, non escluso il possibile ribaltamento o aggiustamento di posizioni elettorali che si ritengono già acquisite.
Comunque finisca lo scontro elettorale e quali che siano le conseguenze sulla tenuta del Governo quanto sta accadendo, sia pure su scala locale più che nazionale, segnala che questo bipolarismo forzato non regge, non regge una legge elettorale indecente che lo ha peggiorato, non regge un leaderismo esasperato che non semplifica ma complica la normale dialettica tra maggioranza e opposizione, non regge più nemmeno un tipo di propaganda che ha fatto il suo tempo, bombarda e non convince.
Siamo alla fine (o all’inizio della fine) del ciclo berlusconiano? Svolta o incidente di percorso? Nessuno ancora lo sa, ma senza dubbio, a parte il destino del Premier e del suo sistema di potere, prima o poi bisogna rifare tutti i conti con quel che rimane a partire dalla riforma della legge elettorale e da un nuovo equilibrio tra i poteri dello Stato come approdo condiviso di una transizione che dovrà pure avere una fine.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.