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Quirinale e Costituente

Finalmente il Colle ammette di avere più potere di un re

Per l’ipotesi di Assemblea Costituente, Napolitano nega che si possa riformare la Costituzione usando l’articolo 138. Curioso. Talmente curioso da indurre il sospetto che l’Assemblea piace proprio perché difficile, quindi utile a non farne nulla.

di Davide Giacalone - 06 luglio 2012

L’idea di un’Assemblea Costituente, da eleggersi con sistema proporzionale, rilanciata da Marcello Pera, è corretta. Salvo quanto leggerete appresso. Lo è anche per quanto obiettato da Luciano Violante, secondo il quale in quel modo si rischia d’intaccare la prima parte della Costituzione vigente, a suo avviso ottima. E’ vero il contrario: la parte più cadente è proprio quella, che raccoglie principi illiberali, frutto di un compromesso fra cattolici e comunisti. Non mi convince, invece, quel che Pera considera un corollario, ovvero la proroga in carica dell’attuale presidente della Repubblica. Primo, perché l’idea di non rispettare le scadenze costituzionali è pericolosa, talché si potrebbe, per analogia, far slittare anche le elezioni politiche. Secondo perché esiste un precedente, ma di segno opposto: Enrico De Nicola non accettò la proroga, quando l’Assemblea Costituente decise di restare in carica oltre il previsto, costringendola a confermarlo. Ciò non toglie che il problema è reale: il prossimo presidente avrà un mandato la cui scadenza temporale supera quella (auspicabile) del sistema istituzionale che lo ha espresso. Per questa ragione, qui e in un libro (L’uomo del Colle), ho suggerito di mettere in chiaro che il prossimo inquilino del Quirinale sia scelto fra quanti diano assicurazione di dimettersi, non appena sarà cambiata la Costituzione. La lettura del dialogo-intervista, intrattenuto fra Giorgio Napolitano e Eugenio Scalfari, mi conferma in tale opinione. Intanto perché è singolare che, in attesa della colazione a Castel Porziano, a incarnare l’interesse della Repubblica si sentano chiamati un ex monarchico e un ex (ex o post?) comunista. Accomunati dall’antico vizio di confondere la memoria: quando di cita Helmut Schmidt, benemerito e grandioso statista europeo, varrebbe la pena ricordare la svolta degli euromissili, con la quale s’imboccò la via che condusse alla fine della guerra fredda. Svolta cui il partito di Napolitano fortemente si oppose, mentre il giornale di Scalfari non diede certo una mano a chi, in Italia, la rese possibile: Bettino Craxi e Giovanni Spadolini. Quando si ricorda il valore dell’Europa e la conquista dell’euro varrebbe la pena ricordare che proprio sull’avvio di quel cammino, ovvero l’ingresso nel sistema monetario europeo, si spaccò la maggioranza di solidarietà nazionale. Allora, in un decisivo dibattito parlamentare, Ugo La Malfa sostenne che si doveva entrare e che tenere i conti nazionali in ordine era la cosa più europeista possibile (dice qualche cosa?), ad argomentare il voto contrario fu l’allora responsabile economia del Partito comunista italiano, Giorgio Napolitano. E’ vero che in un Paese cattolico il redento è migliore di chi non ha sbagliato, ma data la natura dei commensali proporrei di non esagerare in pentimenti e non perdersi in salmi. Passi che Scalfari attribuisca a Napolitano una novella passione per Luigi Einaudi, ma non era il caso di pensarci qualche decennio addietro? C’è un punto decisivo, in quella conversazione: Napolitano è ben consapevole di svolgere un ruolo politico, assumendo di avere più poteri di un re, come di qualsiasi altro collega europeo (con l’eccezione della Francia, dove egli rammenta la natura presidenziale del sistema, ma dimentica il dettaglio decisivo: il presidente è eletto dal popolo). E’ esattamente quel che sosteniamo da tempo, solitamente accusati di avversità verso il Colle. Me ne compiaccio, quindi. La tutela quirinalizia funziona indebolendo i governi eletti e dando vita a quelli nominati. Direi che è una stortura da correggere. Osserva Napolitano che ciò accade quando la politica è debole, il che non è esatto: Giovanni Gronchi provò ad allungare a dismisura l’elastico quirinalizio, salvo dovere fare i conti con un governo saldo, che non gli consentì (più di tanto) di fare politica estera; non c’è dubbio, però, e in questo concorso con il presidente, che se i governi diventano sempre più deboli quell’elastico schizza, deragliando dai binari costituzionali. E’ così. Infine, tornando all’ipotesi di Assemblea Costituente, Napolitano nega che si possa riformare la Costituzione usando l’articolo 138 (che la regola). Curioso, perché usare quanto previsto dai Costituenti è più rispettoso della Costituzione che eleggere un’Assemblea Costituente. Talmente curioso da indurre il sospetto che l’Assemblea piace proprio perché difficile, quindi utile a non farne nulla. In ogni caso sono scelte che spettano al legislatore, non al Colle.

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