Occorre pianificare e coordinare i programmi energetici
Fermiamoci a riflettere
La materia energia è per definizione bipartisan. È necessario agire di conseguenzadi Enrico Cisnetto - 18 marzo 2011
Sì, fermiamoci un momento. Referendum compreso, però. Ha fatto molto bene il Foglio a lanciare l’idea che sarebbe opportuno trovare la maniera – concordemente, s’intende – per rinviare di qualche tempo la consultazione sul ritorno del nucleare in Italia fissata per il prossimo giugno. E non solo e non tanto per darci il tempo di capire cosa sia successo e cosa succederà alla centrale di Fukushima. O per togliere tossine di eccessiva emotività alla decisione che gli italiani saranno chiamati a fare, così come accadde l’8-9 novembre 1987 subito dopo il disastro di Chernobyl.
No, qui occorre fare una valutazione più complessiva di quello che dovrà essere la politica energetica dell’Italia e dell’Europa, possibilmente discussa in un quadro di orientamenti se non di scelte cogenti di tipo planetario. Io sono e rimango convinto della bontà dell’opzione nucleare, ma capisco le preoccupazioni e le incertezze. Resto favorevole perché mi pare che il combinato disposto tra il fatto che gli impianti di Fukushima siano di vecchia generazione (addirittura precedenti alla nostra Caorso, che fu attivata negli anni ’70) e il fatto che non siamo di fronte ad una sciagura nucleare bensì ad un cataclisma naturale senza precedenti (tale persino da spostare l’asse della Terra e non misurabile con precisione visto che la scala Richter arriva solo a quegli 8,9 che è stata l’intensità del terremoto misurata in questa circostanza), dimostri che in una situazione estrema ed imprevedibile le conseguenze sono (finora, e facendo tutti gli scongiuri possibili) relativamente contenute.
Il che fa pensare che con impianti di terza o ancor meglio, prossimamente, di quarta generazione, il livello di rischio – sempre e comunque presente in ogni attività umana – sarebbe (e sarà in futuro) enormemente più basso. Se a questo si aggiunge che è statistica incontrovertibile il fatto che finora la produzione di energia nucleare abbia provocato un numero di incidenti e di relative vittime più basso di qualunque altra (ad eccezione delle rinnovabili), mantenere il proprio orientamento a favore dell’energia atomica non è – credo – né un atto di superficialità, né un atto di circa fede (personalmente l’unica che conosco è quella, laicissima, nei confronti della “religione della libertà”), né una schematica opzione di tipo ideologico.
Ma proprio perché la mia è e vuole continuare ad essere una scelta ragionata e ragionevole, capisco coloro che in questa così grave circostanza chiedono di valutare e meditare. O meglio, comprendo e rispetto chi chiede la moratoria meditativa in nome del dubbio, non certo coloro – e sono tanti, ahime – che lo fanno in nome dell’incrollabile e inviolabile certezza che il nucleare “non s’ha da fare”.
Questi – faccio due nomi con cui mi sono confrontato l’altro giorno ad Agrorà (Rai3), Paolo Ferrero e Roberto Della Seta, ma parlo anche dei Vendola e dei Di Pietro – non hanno avuto bisogno di Fukushima, già prima sapevano non solo che l’atomo è pericoloso e dunque non va usato, ma che chi lo propone è servo di interessi privi di scrupoli (senza capire che quelli contrari sono ben più forti e vasti). Purtroppo quella del ragionevole dubbio non è neppure la linea ufficiale del Pd, in cui pure albergano molti favorevoli al nucleare.
Ma proprio i tanti riformisti aperti al confronto dovrebbero uscire allo scoperto e chiedere non già lo stop alle scelte del governo, come ha fatto Bersani – cui un esecutivo con un minimo di dignità non può che rispondere picche – bensì una moratoria generale, referendum compreso, e con tempi predefiniti (per esempio sei mesi) che consenta non la reiterazione dello sterile dibattito tra i pro e i contro, ma il confronto tra i non pregiudizialmente contrari sul se e sul come. Sapendo che nel frattempo è indispensabile che accadano due cose che finora sono mancate. La prima: un coordinamento se non addirittura una decisione corale e vincolante almeno in Europa, se non addirittura su scala più vasta (G7 o G20).
Il mondo vive di energia, le proiezioni ci dicono che i consumi sono destinati ad aumentare in modo esponenziale; inoltre, la diversa distribuzione delle materie prime e il ruotare intorno ad esse di gran parte delle dinamiche geopolitiche rende il fattore energia decisivo. Per questo occorre pianificare e coordinare i programmi energetici: sapere se e in che misura andare avanti con il nucleare, decidere comuni livelli di incentivazione delle rinnovabili, fronteggiare i paesi produttori di gas e petrolio facendo un cartello dei consumatori. Lo so, i diversi punti di partenza, le asimmetrie esistenti, rendono tutto maledettamente difficile.
Ma è altrettanto vero che una vicenda così drammatica come quella nipponica può rendere praticabili opzioni fino a ieri impossibili. E siamo alla seconda cosa che dovremmo fare, questa volta in Italia: stabilire una volta per tutte che la materia energia è per definizione bipartisan. E agire di conseguenza. Senza però che nessuno si senta, furbescamente, con il diritto di veto in tasca.
No, qui occorre fare una valutazione più complessiva di quello che dovrà essere la politica energetica dell’Italia e dell’Europa, possibilmente discussa in un quadro di orientamenti se non di scelte cogenti di tipo planetario. Io sono e rimango convinto della bontà dell’opzione nucleare, ma capisco le preoccupazioni e le incertezze. Resto favorevole perché mi pare che il combinato disposto tra il fatto che gli impianti di Fukushima siano di vecchia generazione (addirittura precedenti alla nostra Caorso, che fu attivata negli anni ’70) e il fatto che non siamo di fronte ad una sciagura nucleare bensì ad un cataclisma naturale senza precedenti (tale persino da spostare l’asse della Terra e non misurabile con precisione visto che la scala Richter arriva solo a quegli 8,9 che è stata l’intensità del terremoto misurata in questa circostanza), dimostri che in una situazione estrema ed imprevedibile le conseguenze sono (finora, e facendo tutti gli scongiuri possibili) relativamente contenute.
Il che fa pensare che con impianti di terza o ancor meglio, prossimamente, di quarta generazione, il livello di rischio – sempre e comunque presente in ogni attività umana – sarebbe (e sarà in futuro) enormemente più basso. Se a questo si aggiunge che è statistica incontrovertibile il fatto che finora la produzione di energia nucleare abbia provocato un numero di incidenti e di relative vittime più basso di qualunque altra (ad eccezione delle rinnovabili), mantenere il proprio orientamento a favore dell’energia atomica non è – credo – né un atto di superficialità, né un atto di circa fede (personalmente l’unica che conosco è quella, laicissima, nei confronti della “religione della libertà”), né una schematica opzione di tipo ideologico.
Ma proprio perché la mia è e vuole continuare ad essere una scelta ragionata e ragionevole, capisco coloro che in questa così grave circostanza chiedono di valutare e meditare. O meglio, comprendo e rispetto chi chiede la moratoria meditativa in nome del dubbio, non certo coloro – e sono tanti, ahime – che lo fanno in nome dell’incrollabile e inviolabile certezza che il nucleare “non s’ha da fare”.
Questi – faccio due nomi con cui mi sono confrontato l’altro giorno ad Agrorà (Rai3), Paolo Ferrero e Roberto Della Seta, ma parlo anche dei Vendola e dei Di Pietro – non hanno avuto bisogno di Fukushima, già prima sapevano non solo che l’atomo è pericoloso e dunque non va usato, ma che chi lo propone è servo di interessi privi di scrupoli (senza capire che quelli contrari sono ben più forti e vasti). Purtroppo quella del ragionevole dubbio non è neppure la linea ufficiale del Pd, in cui pure albergano molti favorevoli al nucleare.
Ma proprio i tanti riformisti aperti al confronto dovrebbero uscire allo scoperto e chiedere non già lo stop alle scelte del governo, come ha fatto Bersani – cui un esecutivo con un minimo di dignità non può che rispondere picche – bensì una moratoria generale, referendum compreso, e con tempi predefiniti (per esempio sei mesi) che consenta non la reiterazione dello sterile dibattito tra i pro e i contro, ma il confronto tra i non pregiudizialmente contrari sul se e sul come. Sapendo che nel frattempo è indispensabile che accadano due cose che finora sono mancate. La prima: un coordinamento se non addirittura una decisione corale e vincolante almeno in Europa, se non addirittura su scala più vasta (G7 o G20).
Il mondo vive di energia, le proiezioni ci dicono che i consumi sono destinati ad aumentare in modo esponenziale; inoltre, la diversa distribuzione delle materie prime e il ruotare intorno ad esse di gran parte delle dinamiche geopolitiche rende il fattore energia decisivo. Per questo occorre pianificare e coordinare i programmi energetici: sapere se e in che misura andare avanti con il nucleare, decidere comuni livelli di incentivazione delle rinnovabili, fronteggiare i paesi produttori di gas e petrolio facendo un cartello dei consumatori. Lo so, i diversi punti di partenza, le asimmetrie esistenti, rendono tutto maledettamente difficile.
Ma è altrettanto vero che una vicenda così drammatica come quella nipponica può rendere praticabili opzioni fino a ieri impossibili. E siamo alla seconda cosa che dovremmo fare, questa volta in Italia: stabilire una volta per tutte che la materia energia è per definizione bipartisan. E agire di conseguenza. Senza però che nessuno si senta, furbescamente, con il diritto di veto in tasca.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.