Urge una radicale riforma fiscale
Evasori e vittime
Evasione fiscale cresciuta solo del 46%? Ci sarebbe da festeggiare!di Davide Giacalone - 01 febbraio 2011
Dubito che l’evasione fiscale sia cresciuta, come segnala il rapporto annuale della Guardia di Finanza e relativamente al 2010, del 46%. Sarebbe, a suo modo, un miracolo, perché il balzo della ricchezza nascosta si sarebbe realizzato dopo due anni di recessione e in un anno di bassa crescita. Ci sarebbe quasi da festeggiare. Diciamo che sono aumentati i controlli e, a seguito di quelli, le contestazioni.
Posto che pagare le tasse è un dovere e che chi non le paga è un disonesto che sottrae ricchezza agli altri, prima di esserne soddisfatti varrà la pena di ricordare un dato: solo una piccola parte dell’evasione contestata si trasforma, alla fine, in gettito reale, e se sono un milione le contestazioni dei contribuenti nei confronti del fisco, in aumento del 6%, di questi un terzo ottengono ragione in primo grado e dei restanti la metà vince in secondo grado. Ciò significa che in quasi il 70% dei casi il fisco ha torto.
Ma ha sempre il coltello dalla parte del manico. Di recente è stato stabilito che i contribuenti possono agire in compensazione: se ti devo una cifra, ma tu me ne devi un’altra, sottraggo la seconda dalla prima. Ottimo, ma non vale se è aperto un contenzioso, vale a dire che non possono usufruire del meccanismo contribuenti che, per la gran parte, sono onesti. Non è una bella cosa, ma neanche la più brutta.
Le Fiamme Gialle sostengono che i miliardi ulteriormente evasi, sempre l’anno scorso, sarebbero 50. L’evasione dell’Irap ammonterebbe a 30,5 miliardi. Al netto delle errate contestazioni (ci sono già sentenze che stabiliscono la non sottoposizione all’Irap di contribuenti da cui, invece, la si pretende), resta il fatto che quella tassa, odiosa e punitiva per chi crea lavoro, era considerata una “rapina” da quelle forze politiche che oggi, ma non da oggi, sono al governo. Intendiamoci: non è un buon motivo per evaderla, ma lo sarebbe più che valido per cancellarla.
E’ certo che un governo capace di contrastare (veramente) gli evasori (veri) otterrebbe il plauso dei più e incasserebbe appoggi parlamentari ben oltre lo schieramento politico che compone la maggioranza. Ma se una maggioranza diventa tale proclamando (giustamente) che la pressione fiscale è troppo alta, al punto d’essere insopportabile, se il capo politico è divenuto tale sostenendo che, superato un terzo della ricchezza prodotta, allo Stato che pretende di più è non solo giusto, ma doveroso ribellarsi, converrete che la semplice lettura di questi dati induce ad un misto fra inquietudine e divertimento. E’ più sano il secondo, ma più fondata la prima.
Il rapporto segnala il raddoppio (giunto a 10.533 miliardi) dell’evasione fiscale dovuta a esterovestizione fittizia. In pratica all’uso illecito delle operazioni, vere o totalmente false, con l’estero e, in particolare, con i paradisi fiscali. Si devono, però, fare due osservazioni. La prima: la concorrenza fiscale è lecita e accettata non solo al di fuori, ma anche all’interno dell’Unione Europea, sicché non è un criminale chi la usa, ma un ipocrita chi la contesta a persone fisiche e società che, di certo, non siedono al tavolo ove queste regole si scrivono. La seconda: ovviamente l’uso fraudolento va represso, ma siamo sicuri che ne abbia l’autorità una classe politica continuamente alle prese con propri interessi infantilmente rimpiattati proprio in quel modo? Stiano attenti, perché la materia fiscale è da maneggiarsi con prudenza.
A tal proposito: una radicale riforma fiscale è annunciata da troppi anni, nel frattempo va in porto una riforma federale che, per ottenere il via libera dai comuni, consente di far pagare al contribuente maggiori addizionali Irpef. Non sarà un cataclisma, ma in questo modo la pressione fiscale aumenta, e la clausola d’invarianza rischia di sembrare una linguaccia sul muso del cittadino. Non sarebbe male, pertanto, fare in modo che le due riforme entrino contemporaneamente a regime, in modo da evitare un così palese insulto al buon senso. Ove non sia possibile, ecco una buonissima ragione per mandare tutti a casa. Con la speranza che non si facciano più vedere.
Pubblicato da Libero
Posto che pagare le tasse è un dovere e che chi non le paga è un disonesto che sottrae ricchezza agli altri, prima di esserne soddisfatti varrà la pena di ricordare un dato: solo una piccola parte dell’evasione contestata si trasforma, alla fine, in gettito reale, e se sono un milione le contestazioni dei contribuenti nei confronti del fisco, in aumento del 6%, di questi un terzo ottengono ragione in primo grado e dei restanti la metà vince in secondo grado. Ciò significa che in quasi il 70% dei casi il fisco ha torto.
Ma ha sempre il coltello dalla parte del manico. Di recente è stato stabilito che i contribuenti possono agire in compensazione: se ti devo una cifra, ma tu me ne devi un’altra, sottraggo la seconda dalla prima. Ottimo, ma non vale se è aperto un contenzioso, vale a dire che non possono usufruire del meccanismo contribuenti che, per la gran parte, sono onesti. Non è una bella cosa, ma neanche la più brutta.
Le Fiamme Gialle sostengono che i miliardi ulteriormente evasi, sempre l’anno scorso, sarebbero 50. L’evasione dell’Irap ammonterebbe a 30,5 miliardi. Al netto delle errate contestazioni (ci sono già sentenze che stabiliscono la non sottoposizione all’Irap di contribuenti da cui, invece, la si pretende), resta il fatto che quella tassa, odiosa e punitiva per chi crea lavoro, era considerata una “rapina” da quelle forze politiche che oggi, ma non da oggi, sono al governo. Intendiamoci: non è un buon motivo per evaderla, ma lo sarebbe più che valido per cancellarla.
E’ certo che un governo capace di contrastare (veramente) gli evasori (veri) otterrebbe il plauso dei più e incasserebbe appoggi parlamentari ben oltre lo schieramento politico che compone la maggioranza. Ma se una maggioranza diventa tale proclamando (giustamente) che la pressione fiscale è troppo alta, al punto d’essere insopportabile, se il capo politico è divenuto tale sostenendo che, superato un terzo della ricchezza prodotta, allo Stato che pretende di più è non solo giusto, ma doveroso ribellarsi, converrete che la semplice lettura di questi dati induce ad un misto fra inquietudine e divertimento. E’ più sano il secondo, ma più fondata la prima.
Il rapporto segnala il raddoppio (giunto a 10.533 miliardi) dell’evasione fiscale dovuta a esterovestizione fittizia. In pratica all’uso illecito delle operazioni, vere o totalmente false, con l’estero e, in particolare, con i paradisi fiscali. Si devono, però, fare due osservazioni. La prima: la concorrenza fiscale è lecita e accettata non solo al di fuori, ma anche all’interno dell’Unione Europea, sicché non è un criminale chi la usa, ma un ipocrita chi la contesta a persone fisiche e società che, di certo, non siedono al tavolo ove queste regole si scrivono. La seconda: ovviamente l’uso fraudolento va represso, ma siamo sicuri che ne abbia l’autorità una classe politica continuamente alle prese con propri interessi infantilmente rimpiattati proprio in quel modo? Stiano attenti, perché la materia fiscale è da maneggiarsi con prudenza.
A tal proposito: una radicale riforma fiscale è annunciata da troppi anni, nel frattempo va in porto una riforma federale che, per ottenere il via libera dai comuni, consente di far pagare al contribuente maggiori addizionali Irpef. Non sarà un cataclisma, ma in questo modo la pressione fiscale aumenta, e la clausola d’invarianza rischia di sembrare una linguaccia sul muso del cittadino. Non sarebbe male, pertanto, fare in modo che le due riforme entrino contemporaneamente a regime, in modo da evitare un così palese insulto al buon senso. Ove non sia possibile, ecco una buonissima ragione per mandare tutti a casa. Con la speranza che non si facciano più vedere.
Pubblicato da Libero
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.