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Public Policy

Un problema spinoso

Evasione pericolosa

Come coniugare la necessità di recuperare capitali sottratti con l'esigenza di tutelare la privacy di tutti?

di Enrico Cisnetto - 06 gennaio 2012

In Italia l’evasione fiscale ammonta a 130-150 miliardi. L’economia sommersa viene calcolata tra un quarto e un terzo del pil. Si tratta di cifre enormi, che spiegano un benessere diffuso ben oltre le statistiche ufficiali. E che dovrebbero impegnare qualunque governo e ciascuna forza politica a cercare di ridurre al livello fisiologico riscontrabile anche negli altri paesi ciò che da troppo tempo è assolutamente patologico. Finora così non è stato. O meglio, si sono sommati due fenomeni egualmente deprecabili: da un lato l’enunciazione della volontà di farlo, senza però ottenere risultati decisivi, il che ha tolto credibilità allo Stato e alimentato la convinzione di poterla fare franca facilmente; dall’altro, l’indicazione che la modalità doveva essere quella della “lotta all’evasione”, lasciando con ciò intendere che lo strumento era quello della repressione. Insomma, per anni si è blaterato di “lotta” a chi non paga le tasse, in qualche circostanza (gli ultimi anni) si è anche portato a casa qualche buon risultato – per la verità, più dal lato dell’ammontare imponibile che da quello del riscosso – ma la verità è che le cifre ci dicono come si sia ben lontani dall’aver risolto il problema. Nello stesso tempo, per inseguire equilibri di bilancio resi precari da una spesa pubblica che ha raggiunto il 52% del pil e da un debito che è arrivato al 120% del pil, procurando oneri passivi che ai tempi di tassi bassi era di una settantina di miliardi l’anno e ora viaggia verso i 100, si è ricorsi ad un aumento straordinario della pressione fiscale, tra tasse nazionali e tributi locali, pari negli ultimi due decenni a oltre 20 punti di pil. Insomma, si è strozzato chi già pagava e si è ottenuto l’effetto che un numero crescente di contribuenti sia passato nelle fila degli evasori (magari parziali, ma pur sempre tali). Non occorre dunque essere un professore per capire che questo stato di cose deve essere profondamente cambiato. Il problema è come. Semplificando, ci sono tre scuole di pensiero. C’è quella liberista, che sostiene che basta ridurre drasticamente le tasse per far emergere il sommerso e allargare la base imponibile.

C’è quella giustizialista, che evocando la “lotta” immagina controlli ispettivi talmente diffusi e intrusivi da consentire un recupero di “evaso” e “nero” tale da sistemare tutti i nostri problemi di finanza pubblica. E infine ce n’è una terza, che definirei pragmatico-riformista e in cui mi rispecchio, che postula, da un lato, una graduale ma decisa riduzione della pressione fiscale pagata dalla manovra sul debito che vado proponendo da tempo, e dall’altro un assorbimento di evasione e di sommerso in modo virtuoso, sia attraverso la crescita (l’economia buona scaccia quella cattiva) sia usando quello che possiamo definire un incentivo all’onestà, cioè un sistema premiale che renda conveniente (e non solo moralmente giusto) per il cittadino-consumatore esigere le ricevute fiscali.

Finora lo scontro, tutto ideologico, è stato tra gli assertori della prima e della seconda modalità. Scontro che ha sostanzialmente coperto l’inerzia. Ora, a giudicare da alcune mosse plateali – dall’arrembante attività di Equitalia all’azione messa in scena a Cortina – sembrerebbe prevalere la via ispettiva. Che porta con sé quattro pericoli. Primo: sommarsi alla ventennale distorsione del diritto che si è imposta in Italia, in base alla quale la giustizia è diventata la spettacolare rappresentazione dell’accusa, laddove difesa e giudizio sono state ridotte a fatti marginali e ininfluenti. Tanto più se, come avviene troppo spesso nel contenzioso fiscale, si inverte l’onere della prova, per cui è il presunto evasore a dover dimostrare di non esserlo. Secondo: il pericolo di fomentare l’invidia e l’odio sociale, facendo supporre che ricchezza – quella media, tra l’altro, perché quella stellare suscita ammirazione – sia per definizione sinonimo di illegalità. Per capire la gravità di questo rischio, si vedano le mostruosità scritte in queste ore su Cortina e il fenomeno degli attacchi squadristici a Equitalia cui si comincia ad offrire la sponda della comprensione (Grillo, ma non solo). Terzo: il pericolo di accentuare il fenomeno dell’evasione totale, cioè di spingere chi evade parzialmente non già a redimersi ma a saltare il fosso. Quarto: il pericolo di concorrere, nel combinato disposto con altre misure – dal divieto dell’uso del contante all’accumulazione in molte banche dati di un’enormità di informazioni – a formare un clima che, al di là di altri tipi di valutazioni, non può che rivelarsi recessivo.

Proprio l’altro ieri, sul palco di “Cortina InConTra”, il professor Pizzetti, Garante della Privacy, ha spiegato che il controllo dei dati, affidati a sempre più fonti e quindi messi in molte e crescenti mani, si sta trasformando da statico (so che tu possiedi un’auto o una barca) a dinamico (so come usi quel bene). Siamo proprio sicuri che per recuperare l’evasione di taluni – obiettivo sacrosanto – sia necessario e opportuno rinunciare al privato di tutti?

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.