Il solito festival della miopia
Errore libico
Ecco come abbiamo perso occasioni politiche ed economichedi Davide Giacalone - 28 febbraio 2011
Nella gestione della crisi libica la nostra diplomazia ha sbagliato, il governo ha perso tempo e colpi, l’Italia ha perso un vantaggio. Il dibattito politico e civile, dalle nostre parti, non è stato migliore, anzi. Abbiamo letto e riletto cose superficiali e insulse, tutte basate sul folklore e tutte indirizzate alla polemica politica interna. Il solito festival della miopia.
In occasione delle due visite di Gheddafi in Italia citai la sua somiglianza con “er monnezza”, e, di certo, non voleva essere solo un rilievo estetico. Quando Israele veniva condannato dalla commissione diritti umani dell’Onu sono stato fra i pochi ad irridere i burocrati dell’inutile palazzo di vetro: il presidente di quella commissione era un libico. Inutile aggiungere altro, se non che la figlia di Gheddafi, Aisha, era anche ambasciatrice nominata dall’Onu. A corteggiare e omaggiare Gheddafi erano in tanti: da Nelson Mandela ai despoti sud americani, che tanto piacciono alla sinistra per il loro essere anti-Usa. A far affari con i Libici cera la fila, e tutti hanno pagato prezzi politici in cambio di pecunia.
Quando gli inglesi restituirono alla Libia Baset al-Megrahi, responsabile della strage di Lockerbie, lo fecero per favorire gli affari petroliferi e ben consapevoli che si trattava di un uomo della tribù Magariha, da cui proveniva quel Abdessalam Jallud che era stato primo ministro e che Gheddafi aveva fatto fuori. Sapevano benissimo, insomma, di contribuire a consolidare il potere del dittatore, dandogli la possibilità di blandire chi gli era stato vicino e gli era divenuto nemico. E se questo è il caso più clamoroso, altri se ne potrebbero citare, di altre nazionalità. Quindi, lo stare a rimestare sugli affari italiani in Libia è sciocco, come anche il fermarsi allo “stile” dei rapporti con lui intrattenuti. La sostanza è che abbiamo riguadagnato molte posizioni e siamo riusciti a passare da popolo cacciato via (dopo un vergognoso passato coloniale, ma anche dopo avere aiutato Gheddafi nel suo colpo di stato), da governi (di tutti i colori) a far anticamera fuori dalla tenda beduina, a Paese che riprende la via degli affari e toglie a Gheddafi la possibilità di continuare a speculare sul passato.
Ma quando si fanno di queste cose si deve anche essere capaci di mantenere in vita servizi segreti in grado di fornire informazioni affidabili sulla buona salute del regime con cui s’intrattengono rapporti. E’ vero che non si fanno affari solo con gli schietti e puri democratici, ma è anche vero che quando li si fanno con dei macellai si deve stare attenti a non restare dalla loro parte quando cadono. Noi siamo caduti in questo errore.
Se la rivolta fosse stata solo ed esclusivamente libica, con ogni probabilità Gheddafi si sarebbe potuto salvare, affogando nel sangue l’opposizione. Spettacolo orribile, ma cui il mondo aveva già assistito, senza grandi reazioni. Il fatto è che i rivoltosi hanno potuto subito contare su una rete di collegamento con inglesi e francesi, che ora si candidano ad essere protagonisti della nuova stagione (della quale discuteremo, i cui contorni non sono chiari, ma che è certo succederà a quella gheddafiana).
Un errore simile non è consentito. E’ vero che il nostro ministro degli esteri ha smentito l’intervista all’edizione tedesca del Financial Times, nella quale avrebbe affermato che Gheddafi sarebbe potuto restare al suo posto, ma è anche vero che non aveva detto il contrario, come, invece, i suoi colleghi dei Paesi europei che contano. Abbiamo aspettato fino alla fine. Abbiamo assistito allo spettacolo senza partecipare. Il che può anche essere dimostrazione di prudenza, ma, visti i rapporti pregressi, sarà letto come speranza che il partner restasse in sella. E questo è un errore.
Nella politica interna si può sempre cercare di buttarla in caciara, mascherando le sconfitte e alzando il tono della voce. In politica estera la cosa è più complicata, perché gli altri fanno i loro interessi e non si fermano ad aspettare.
Detto questo, che va detto, e ribadito che in Italia dovrà pur affrontarsi seriamente il tema dei servizi segreti, non potendosi limitare a inquisire e processare chi compie azioni coordinate con i servizi alleati (giungendo al ridicolo di volere processare anche quelli e con governi che non possono intervenire, altrimenti si sostiene che stanno attentando al sacro potere dei giudici!), resta il fatto che l’Italia ha una posizione geografica e una storia che ci candida ad avere un ruolo non passivo nel Mediterraneo. Le coste africane in fiamme creano un problema di migrazioni imponenti, questo è sicuro, ma limitarsi a parlare di quelle è un modo stolto per prenderci rogne collettive e perdere occasioni politiche ed economiche.
www.davidegiacalone.it
In occasione delle due visite di Gheddafi in Italia citai la sua somiglianza con “er monnezza”, e, di certo, non voleva essere solo un rilievo estetico. Quando Israele veniva condannato dalla commissione diritti umani dell’Onu sono stato fra i pochi ad irridere i burocrati dell’inutile palazzo di vetro: il presidente di quella commissione era un libico. Inutile aggiungere altro, se non che la figlia di Gheddafi, Aisha, era anche ambasciatrice nominata dall’Onu. A corteggiare e omaggiare Gheddafi erano in tanti: da Nelson Mandela ai despoti sud americani, che tanto piacciono alla sinistra per il loro essere anti-Usa. A far affari con i Libici cera la fila, e tutti hanno pagato prezzi politici in cambio di pecunia.
Quando gli inglesi restituirono alla Libia Baset al-Megrahi, responsabile della strage di Lockerbie, lo fecero per favorire gli affari petroliferi e ben consapevoli che si trattava di un uomo della tribù Magariha, da cui proveniva quel Abdessalam Jallud che era stato primo ministro e che Gheddafi aveva fatto fuori. Sapevano benissimo, insomma, di contribuire a consolidare il potere del dittatore, dandogli la possibilità di blandire chi gli era stato vicino e gli era divenuto nemico. E se questo è il caso più clamoroso, altri se ne potrebbero citare, di altre nazionalità. Quindi, lo stare a rimestare sugli affari italiani in Libia è sciocco, come anche il fermarsi allo “stile” dei rapporti con lui intrattenuti. La sostanza è che abbiamo riguadagnato molte posizioni e siamo riusciti a passare da popolo cacciato via (dopo un vergognoso passato coloniale, ma anche dopo avere aiutato Gheddafi nel suo colpo di stato), da governi (di tutti i colori) a far anticamera fuori dalla tenda beduina, a Paese che riprende la via degli affari e toglie a Gheddafi la possibilità di continuare a speculare sul passato.
Ma quando si fanno di queste cose si deve anche essere capaci di mantenere in vita servizi segreti in grado di fornire informazioni affidabili sulla buona salute del regime con cui s’intrattengono rapporti. E’ vero che non si fanno affari solo con gli schietti e puri democratici, ma è anche vero che quando li si fanno con dei macellai si deve stare attenti a non restare dalla loro parte quando cadono. Noi siamo caduti in questo errore.
Se la rivolta fosse stata solo ed esclusivamente libica, con ogni probabilità Gheddafi si sarebbe potuto salvare, affogando nel sangue l’opposizione. Spettacolo orribile, ma cui il mondo aveva già assistito, senza grandi reazioni. Il fatto è che i rivoltosi hanno potuto subito contare su una rete di collegamento con inglesi e francesi, che ora si candidano ad essere protagonisti della nuova stagione (della quale discuteremo, i cui contorni non sono chiari, ma che è certo succederà a quella gheddafiana).
Un errore simile non è consentito. E’ vero che il nostro ministro degli esteri ha smentito l’intervista all’edizione tedesca del Financial Times, nella quale avrebbe affermato che Gheddafi sarebbe potuto restare al suo posto, ma è anche vero che non aveva detto il contrario, come, invece, i suoi colleghi dei Paesi europei che contano. Abbiamo aspettato fino alla fine. Abbiamo assistito allo spettacolo senza partecipare. Il che può anche essere dimostrazione di prudenza, ma, visti i rapporti pregressi, sarà letto come speranza che il partner restasse in sella. E questo è un errore.
Nella politica interna si può sempre cercare di buttarla in caciara, mascherando le sconfitte e alzando il tono della voce. In politica estera la cosa è più complicata, perché gli altri fanno i loro interessi e non si fermano ad aspettare.
Detto questo, che va detto, e ribadito che in Italia dovrà pur affrontarsi seriamente il tema dei servizi segreti, non potendosi limitare a inquisire e processare chi compie azioni coordinate con i servizi alleati (giungendo al ridicolo di volere processare anche quelli e con governi che non possono intervenire, altrimenti si sostiene che stanno attentando al sacro potere dei giudici!), resta il fatto che l’Italia ha una posizione geografica e una storia che ci candida ad avere un ruolo non passivo nel Mediterraneo. Le coste africane in fiamme creano un problema di migrazioni imponenti, questo è sicuro, ma limitarsi a parlare di quelle è un modo stolto per prenderci rogne collettive e perdere occasioni politiche ed economiche.
www.davidegiacalone.it
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.