Oltre i massimalismi e le contestazioni futili
Epifani non è Lama
Servono più istruzione e meritocrazia per vincere le sfide del terzo millenniodi Enrico Cisnetto - 08 novembre 2007
Epifani come Lama? La contestazione rivolta ieri al segretario della Cgil da un gruppetto di universitari romani ha subito fatto venire alla mente l’episodio del 1977. Ma a parte il luogo e il ruolo del contestato, le analogie finiscono qui. Diversa l’intensità della protesta, ma soprattutto diversa la reazione: quella dell’allora segretario della Cgil fu risoluta, tesa a segnare una linea di demarcazione con gesti e parole d’ordine inaccettabili, quella dell’attuale capo del più grande sindacato italiano è stata “buonista”, volta ad esprimere comprensione, a rassicurare i contestatori. Non c’è stata violenza, è stato subito detto, come se non fosse un atto violento (nel senso della negazione della libertà altrui) quello di interrompere un convegno e imporre la lettura di un documento e la sua discussione.
Ma soprattutto, la Cgil ha voluto far sapere di essere in prima fila contro la precarietà (“nessuno pensi che la Cgil possa abbandonare anche solo per un secondo la sua battaglia contro la precarietà”), finendo così per non distinguersi dagli slogan inaccettabili dei contestatori, rivolti da un lato contro la legge Biagi e l’accordo sul welfare del 23 luglio, e dall’altro contro l’università, che ha certo molti motivi per essere contestata, ma non quello, adottato ieri, di dipingerla come un luogo di produzione di precariato. La verità, caro Epifani, è che da un riformista ci si sarebbe aspettato un discorso chiaro su ciò che è flessibilità e su ciò che è precarietà, e una netta presa di posizione sulla necessità che la nostra istruzione riscopra, sia per gli studenti sia per gli insegnanti, il merito, premiando chi lavora e che studia con impegno e indirizzando gli studi verso quelle materie che sono funzionali all’economia del terzo millennio. Probabilmente Lama lo avrebbe fatto: se trentanni fa, nel pieno di un nuovo ’68 quale fu il “movimento” del 1977 e dintorni, mandò a quel paese gli “autonomi”, a maggior ragione oggi chiuderebbe – anzi, avrebbe chiuso da tempo – ogni rapporto politico con i massimalisti. Altro che Fiom. Ma già, il confronto non si pone: di leader come lo fu Lama (e Di Vittorio, di cui quattro giorni fa si è celebrato il cinquantesimo dalla morte) oggi non c’è in giro nemmeno l’ombra. E se gli studenti si dividono tra “comunisti di ritorno” e i “chissenefrega” – due modi opposti ma convergenti di essere conservatori – non c’è proprio speranza che da qualche parte spuntino fuori quei leader di cui l’Italia ha un bisogno estremo.
Ma soprattutto, la Cgil ha voluto far sapere di essere in prima fila contro la precarietà (“nessuno pensi che la Cgil possa abbandonare anche solo per un secondo la sua battaglia contro la precarietà”), finendo così per non distinguersi dagli slogan inaccettabili dei contestatori, rivolti da un lato contro la legge Biagi e l’accordo sul welfare del 23 luglio, e dall’altro contro l’università, che ha certo molti motivi per essere contestata, ma non quello, adottato ieri, di dipingerla come un luogo di produzione di precariato. La verità, caro Epifani, è che da un riformista ci si sarebbe aspettato un discorso chiaro su ciò che è flessibilità e su ciò che è precarietà, e una netta presa di posizione sulla necessità che la nostra istruzione riscopra, sia per gli studenti sia per gli insegnanti, il merito, premiando chi lavora e che studia con impegno e indirizzando gli studi verso quelle materie che sono funzionali all’economia del terzo millennio. Probabilmente Lama lo avrebbe fatto: se trentanni fa, nel pieno di un nuovo ’68 quale fu il “movimento” del 1977 e dintorni, mandò a quel paese gli “autonomi”, a maggior ragione oggi chiuderebbe – anzi, avrebbe chiuso da tempo – ogni rapporto politico con i massimalisti. Altro che Fiom. Ma già, il confronto non si pone: di leader come lo fu Lama (e Di Vittorio, di cui quattro giorni fa si è celebrato il cinquantesimo dalla morte) oggi non c’è in giro nemmeno l’ombra. E se gli studenti si dividono tra “comunisti di ritorno” e i “chissenefrega” – due modi opposti ma convergenti di essere conservatori – non c’è proprio speranza che da qualche parte spuntino fuori quei leader di cui l’Italia ha un bisogno estremo.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.