Un provvedimento da analizzare a fondo
Eni e Snam
Lo scorporo delle due aziende deve basarsi su reali benefici economicidi Enrico Cisnetto - 09 marzo 2012
Le liberalizzazioni servono a fare sviluppo, si è detto. Bene, sarà il caso di prendere in parola chi se ne proclama convinto. E siccome si sostiene – con un approccio ideologico un po’ sospetto – che nel pacchetto varato dal governo il fiore all’occhiello è la separazione di Snam da Eni, allora sarà bene che la modalità con cui questa operazione verrà realizzata sia tale da generare effettivi benefici all’intero sistema economico. Perché il semplice distacco proprietario dei tubi dalla major petrolifera non può generare, e non genererà se non in tempi lunghissimi, quei benefici di prezzo di cui qualcuno si è riempito la bocca nel perorare questa causa. Dunque, perché la separazione dia vantaggi immediata, occorre agire sui suoi eventuali effetti collaterali. I quali sono eventuali perché dipendono da come sarà realizzato il distacco e da che mission sarà data al gruppo Snam una volta sganciato da Eni. Diciamo subito che il primo “effetto collaterale” positivo sarebbe quello di mettere in condizione l’Eni di incassare dei soldi con cui finanziare i progetti di sviluppo nel suo core business, l’esplorazione e la produzione di idrocarburi. Si sa, per esempio, che nel piano strategico predisposto da Paolo Scaroni – che sarà presentato alla comunità finanziaria internazionale il 15 marzo a Londra – spicca il lavoro di estrazione di gas da due immensi giacimenti, capaci di assicurare il nostro intero consumo nazionale di sette anni, collocati in quella che è la nuova frontiera della penetrazione Eni in Africa, il Mozambico.
Ora questa attività, come altre del genere, costano maledettamente, e il livello di indebitamento suggerisce di trovare nuove fonti di finanziamento. Dunque, visto che Eni è costretta a separarsi da Snam, gli si consenta di massimizzare la cessione “obbligatoria”. Non solo per rispetto dei suoi azionisti – che comunque sono quelli che fanno opinione sulla capacità del nostro sistema-paese di “stare al mondo” – ma anche e soprattutto per supportare la più grande azienda italiana nei suoi programmi di crescita. E per farlo non si può, come ipotizza qualcuno, realizzare la separazione attraverso una scissione che consentirebbe alla Cdp (che di Eni ha il 26,4%, cui si aggiunge il 3,9% detenuto direttamente dal Tesoro) di concambiare a costo zero, ma metterebbe l’Eni nella condizione di non beccare un quattrino e tantomeno valorizzare il fatto di avere in mano la quota di controllo di Snam (ha il 52%). Logica vuole, invece, che l’Eni metta sul mercato quelle azioni. E per farlo ci sono due strade: o le colloca tutte facendo di Snam una public company – ma qui suggerirei, vista la strategicità dell’asset, di assegnare a Cdp un 5%-10% cui legare la golden share (oggi il governo vara la nuova versione) – oppure le cede ad un solo acquirente. E in questo caso, visto che per le ragioni di cui sopra non può che trattarsi di un soggetto nazionale, l’unico nome possibile è Terna. Ma anche qui la scelta deve essere fatta avendo bene a mente l’obiettivo dello sviluppo. In questo caso di Snam. La quale ha verosimilmente di fronte due strade: diventare il perno di una futura “società delle reti europee del gas”; costruire con Terna la “rete delle reti” italiana. Sono entrambe due prospettive promettenti. La prima è sicuramente necessaria – sarebbe l’unico modo per costruire un soggetto forte in un mercato fortemente condizionato dall’esiguità del numero dei paesi produttori e dalle loro caratteristiche, a dir poco pericolose – e forse più intrigante, ma anche maledettamente complicata. Snam è l’unica in Europa ad avere un sistema integrato – oltre alla rete (Snam Rete Gas) e alla distribuzione (Italgas copre un terzo del mercato), ha anche un grande società di stoccaggio (Stogit, oltre 1 miliardo di investimenti per arrivare in un paio d’anni a 13 miliardi di metri cubi di gas stoccato) e un rigassificatore – e dunque può candidarsi a buon diritto non solo ad essere l’hub gasiero del sud Europa, convogliando il gas algerino e libico, ma anche lo strumento attraverso cui costruire un’unica rete continentale. Per l’Europa è indispensabile – oggi i tubi dei diversi paesi “non si parlano” – ma ci sono le condizioni perché quest’operazione sia fatta in tempi brevi? A giudicare dalla scarsa lungimiranza che regna nell’eurosistema, no. Questo non vuol dire, però, che non ci si debba provare. Ma in alternativa si può costruire, sommando Terna e Snam, la “rete delle reti” italiana. Certo, è tutta da verificare l’effettiva sinergia tra la rete elettrica, quella del gas e magari quella della telefonia fissa (che prima o poi Telecom dovrà decidersi a scorporare, per puntare alla fibra), ma comunque muovere il mercato, mettere in campo nuovi progetti è sempre meglio di niente. Altrimenti, tanto valeva tenere Snam sotto Eni, come è sempre stato.
Ora questa attività, come altre del genere, costano maledettamente, e il livello di indebitamento suggerisce di trovare nuove fonti di finanziamento. Dunque, visto che Eni è costretta a separarsi da Snam, gli si consenta di massimizzare la cessione “obbligatoria”. Non solo per rispetto dei suoi azionisti – che comunque sono quelli che fanno opinione sulla capacità del nostro sistema-paese di “stare al mondo” – ma anche e soprattutto per supportare la più grande azienda italiana nei suoi programmi di crescita. E per farlo non si può, come ipotizza qualcuno, realizzare la separazione attraverso una scissione che consentirebbe alla Cdp (che di Eni ha il 26,4%, cui si aggiunge il 3,9% detenuto direttamente dal Tesoro) di concambiare a costo zero, ma metterebbe l’Eni nella condizione di non beccare un quattrino e tantomeno valorizzare il fatto di avere in mano la quota di controllo di Snam (ha il 52%). Logica vuole, invece, che l’Eni metta sul mercato quelle azioni. E per farlo ci sono due strade: o le colloca tutte facendo di Snam una public company – ma qui suggerirei, vista la strategicità dell’asset, di assegnare a Cdp un 5%-10% cui legare la golden share (oggi il governo vara la nuova versione) – oppure le cede ad un solo acquirente. E in questo caso, visto che per le ragioni di cui sopra non può che trattarsi di un soggetto nazionale, l’unico nome possibile è Terna. Ma anche qui la scelta deve essere fatta avendo bene a mente l’obiettivo dello sviluppo. In questo caso di Snam. La quale ha verosimilmente di fronte due strade: diventare il perno di una futura “società delle reti europee del gas”; costruire con Terna la “rete delle reti” italiana. Sono entrambe due prospettive promettenti. La prima è sicuramente necessaria – sarebbe l’unico modo per costruire un soggetto forte in un mercato fortemente condizionato dall’esiguità del numero dei paesi produttori e dalle loro caratteristiche, a dir poco pericolose – e forse più intrigante, ma anche maledettamente complicata. Snam è l’unica in Europa ad avere un sistema integrato – oltre alla rete (Snam Rete Gas) e alla distribuzione (Italgas copre un terzo del mercato), ha anche un grande società di stoccaggio (Stogit, oltre 1 miliardo di investimenti per arrivare in un paio d’anni a 13 miliardi di metri cubi di gas stoccato) e un rigassificatore – e dunque può candidarsi a buon diritto non solo ad essere l’hub gasiero del sud Europa, convogliando il gas algerino e libico, ma anche lo strumento attraverso cui costruire un’unica rete continentale. Per l’Europa è indispensabile – oggi i tubi dei diversi paesi “non si parlano” – ma ci sono le condizioni perché quest’operazione sia fatta in tempi brevi? A giudicare dalla scarsa lungimiranza che regna nell’eurosistema, no. Questo non vuol dire, però, che non ci si debba provare. Ma in alternativa si può costruire, sommando Terna e Snam, la “rete delle reti” italiana. Certo, è tutta da verificare l’effettiva sinergia tra la rete elettrica, quella del gas e magari quella della telefonia fissa (che prima o poi Telecom dovrà decidersi a scorporare, per puntare alla fibra), ma comunque muovere il mercato, mettere in campo nuovi progetti è sempre meglio di niente. Altrimenti, tanto valeva tenere Snam sotto Eni, come è sempre stato.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.