Della strategicità di Telecom Italia
Ecco perchè Monti ha torto
Critiche(pur esimie)dimenticano i protezionismi europei. E se telefonare è dirigismo..di Enrico Cisnetto - 03 maggio 2007
L’ondata di critiche con cui è stata sommersa la cessione del pacchetto di maggioranza relativa di Telecom, passato dalle mani di Olimpia a quelle di Telco, è sbagliata per un doppio, opposto, motivo. Si è detto: la politica, con un eccesso di interventismo, prima ha fermato la cordata tex-mex di At&t e American Movil, poi ha imposto quella formata dalle banche italiane con l’aggiunta della spagnola Telefonica e una spruzzata di Benetton, e ora si appresta a sponsorizzare l’ingresso ulteriore di qualche imprenditore “amico”. E viene citata la telefonata intercorsa tra il presidente delle Generali, Antoine Bernheim, e il ministro Padoa-Schioppa come prova di questo delitto di “leso mercato”, perpetrato a difesa dell’italianità di Telecom.
Ora, è del tutto vero che tanto il Governo quanto l’intero sistema politico sono intervenuti nella partita, sollecitando quel poco che rimane del nostro establishment economico-finanziario a trovare una soluzione quanto più italiana possibile. Ma, come ha candidamente ammesso Mario Monti, il più autorevole tra i critici dell’operazione, il fatto è che in qualsiasi altro paese occidentale sarebbe successo qualcosa di analogo. Senza bisogno di scomodare la legge federale americana che impedisce ad un soggetto straniero di possedere più del 25% di una società di telecomunicazioni Usa – e stiamo parlando della patria della libertà economica – basterebbe ricordare il grado di “protezionismo” che tutti i paesi europei, nessuno escluso, hanno mostrato quando si è palesata la possibilità che aziende considerate strategiche per l’interesse nazionale potessero finire in mani altrui. Ogni paese ha il suo establishment, ogni governo è dotato di una sua moral suasion, più o meno forte ed esplicita, ogni “sistema” tende a difendersi dagli interessi di altri.
Nel rispetto delle regole, certo, ma sapendo che nessun sistema politico rinuncia alle politiche, e che queste vanno calate nella realtà viva degli interessi specifici. Ora, si potrà anche bollare tutto questo come “nazionalistico”, ma certo non si può chiedere ad un paese debole come l’Italia di essere più realista del re e assumere atteggiamenti che altri non assumono (senza che per questo si aprano dei processi a quelle classi dirigenti, semmai giudicate sulla capacità o meno di assicurare sviluppo alle proprie economie).
L’esempio più lampante è proprio quello di Telefonica: quando era stata la Pirelli a chiamarla al tavolo delle trattative, i liberisti di casa nostra avevano plaudito ma gli spagnoli, capito che non c’era consenso politico sul loro arrivo in Telecom, si erano ritirati in buon ordine; successivamente le parti si sono rovesciate, e ora la presenza certo non da sleeping partner in Telco non dovrebbe essere sottovalutata da chi reclama l’apertura agli stranieri. Tutto questo significa che non sono stati commessi errori da parte del “sistema Italia” nel “caso Telecom”? No, anzi. Le banche prima hanno negato a Tronchetti la cifra che ora hanno deciso di pagare. Poi hanno litigato tra loro, scaricando sulla Telecom tutte le contraddizioni del cosiddetto “salotto buono”. E alla fine sono riuscite semplicemente a recuperare Telefonica, lo stesso partner su cui aveva puntato la Pirelli, e che ha deciso di rientrare nella partita grazie all’asse Zapatero-Prodi, non certo per la sollecitazione dei banchieri italiani.
Quanto alla politica, è intervenuta tardi e male, facendo un’assurda guerra a Tronchetti, minacciando di cambiare le regole in corsa, inimicandosi gli americani, non avendo altro da spendersi che il riciclo di Colaninno nientemeno che in tandem con Mediaset e finendo con lo stendere tappeti rossi a chi aveva solo qualche settimana prima messo in fuga. Ma un conto è criticare i limiti e i difetti del “sistema paese”, e Dio solo sa quanti siano, un altro è sostenere che la telefonata tra un ministro dell’Economia e il presidente di un grande gruppo finanziario-assicurativo vada rubricata come chiaro segno di “dirigismo”.
Pubblicato su Il Messaggero di giovedi 3 maggio
Ora, è del tutto vero che tanto il Governo quanto l’intero sistema politico sono intervenuti nella partita, sollecitando quel poco che rimane del nostro establishment economico-finanziario a trovare una soluzione quanto più italiana possibile. Ma, come ha candidamente ammesso Mario Monti, il più autorevole tra i critici dell’operazione, il fatto è che in qualsiasi altro paese occidentale sarebbe successo qualcosa di analogo. Senza bisogno di scomodare la legge federale americana che impedisce ad un soggetto straniero di possedere più del 25% di una società di telecomunicazioni Usa – e stiamo parlando della patria della libertà economica – basterebbe ricordare il grado di “protezionismo” che tutti i paesi europei, nessuno escluso, hanno mostrato quando si è palesata la possibilità che aziende considerate strategiche per l’interesse nazionale potessero finire in mani altrui. Ogni paese ha il suo establishment, ogni governo è dotato di una sua moral suasion, più o meno forte ed esplicita, ogni “sistema” tende a difendersi dagli interessi di altri.
Nel rispetto delle regole, certo, ma sapendo che nessun sistema politico rinuncia alle politiche, e che queste vanno calate nella realtà viva degli interessi specifici. Ora, si potrà anche bollare tutto questo come “nazionalistico”, ma certo non si può chiedere ad un paese debole come l’Italia di essere più realista del re e assumere atteggiamenti che altri non assumono (senza che per questo si aprano dei processi a quelle classi dirigenti, semmai giudicate sulla capacità o meno di assicurare sviluppo alle proprie economie).
L’esempio più lampante è proprio quello di Telefonica: quando era stata la Pirelli a chiamarla al tavolo delle trattative, i liberisti di casa nostra avevano plaudito ma gli spagnoli, capito che non c’era consenso politico sul loro arrivo in Telecom, si erano ritirati in buon ordine; successivamente le parti si sono rovesciate, e ora la presenza certo non da sleeping partner in Telco non dovrebbe essere sottovalutata da chi reclama l’apertura agli stranieri. Tutto questo significa che non sono stati commessi errori da parte del “sistema Italia” nel “caso Telecom”? No, anzi. Le banche prima hanno negato a Tronchetti la cifra che ora hanno deciso di pagare. Poi hanno litigato tra loro, scaricando sulla Telecom tutte le contraddizioni del cosiddetto “salotto buono”. E alla fine sono riuscite semplicemente a recuperare Telefonica, lo stesso partner su cui aveva puntato la Pirelli, e che ha deciso di rientrare nella partita grazie all’asse Zapatero-Prodi, non certo per la sollecitazione dei banchieri italiani.
Quanto alla politica, è intervenuta tardi e male, facendo un’assurda guerra a Tronchetti, minacciando di cambiare le regole in corsa, inimicandosi gli americani, non avendo altro da spendersi che il riciclo di Colaninno nientemeno che in tandem con Mediaset e finendo con lo stendere tappeti rossi a chi aveva solo qualche settimana prima messo in fuga. Ma un conto è criticare i limiti e i difetti del “sistema paese”, e Dio solo sa quanti siano, un altro è sostenere che la telefonata tra un ministro dell’Economia e il presidente di un grande gruppo finanziario-assicurativo vada rubricata come chiaro segno di “dirigismo”.
Pubblicato su Il Messaggero di giovedi 3 maggio
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.