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Public Policy

Inquietudini e progetti per il dopo Monti

E poi che cosa si farà?

Il necessario passaggio dall'emergenza alla "normalità"

di Elio Di Caprio - 02 febbraio 2012

Non è certo un fermento da rinnovamento, ma è comunque un’inquietudine che comincia a farsi strada quella che agita i politici estromessi dal dibattito pubblico che nelle sue punte alte non verte più sui massimi sistemi o sul significato odierno di destra e sinistra, ma più concretamente riguarda i tanti temi pratici e cogenti di un’Italia in recessione all’affannosa ricerca di un profilo nuovo che non la releghi nella figura del grande ammalato dell’eurozona.

Nell’obbligata vacatio della politica politicante c’è ora tempo per riflettere sul perché siamo arrivati a questo punto, cosa ci aspetta in futuro, se saremo mai capaci di riformare e autoriformarci per non ricadere nei medesimi errori, quegli errori per intenderci che ci hanno portato all’illusione-miraggio del bipolarismo all’italiana che sta funzionando a supporto congiunto del governo Monti solo al costo di non essere stato all’altezza di esprimere una propria maggioranza di governo. E’ comunque già un risultato , come ha rilevato sul Corriere della Sera di qualche giorno fa Ernesto Galli della Loggia, che per vie trasversali e improprie sia tornato al centro del dibattito l’Italia vera e reale, quella prima rimossa, con i suoi annosi problemi mai risolti, le sue incongruenze, i suoi interessi egoistici e la perdurante difficoltà a trovare e ad affidarsi ad elites consapevoli per le quali la ricerca del bene comune dovrebbe essere un obiettivo normale e non un’eccezione magari motivata da un clima emergenziale esterno come quello attuale. La crisi italiana nell’ambito della più ampia crisi europea e mondiale almeno a questo è servita, a domandarci perché l’Italia vi è giunta così impreparata e inerme.

Ma nonostante tutto si è ancora timorosi di andare a fondo alle radici del problema e solo ora ad esempio la sinistra o l’ex sinistra riformista ispirata sulle colonne di “Repubblica” da Eugenio Scalfari ha il coraggio di porre sul banco degli imputati un sistema sindacale conservatore e inconcludente oppure il sistema partitocratico sospeso ( una ragione ci sarà pure…) da soli due mesi grazie al governo Monti imposto da Napolitano. Si comincia finalmente ad ammettere che il problema non del funzionamento della democrazia in sé già reso difficile in tutti i Paesi dal prevalere delle logiche finanziarie globali, ma quello specifico della democrazia italiana non è inventato, non è un gioco intellettualistico per pochi esperti, è la vera falla da contenere e da correggere se non si vuole andare avanti con un sistema che si blocca di continuo e trova solo apparenti vie d’uscita prima con il populismo di marca berlusconiana ed ora con un governo di presunti tecnici che dipende dal consenso di partiti così inutilmente grandi da essersi arresi alla loro stessa impotenza. In tale quadro di democrazia slabbrata persino il referendum sulla legge elettorale è andato a sbattere contro il muro della Costituzione-feticcio non perché non fosse condiviso dalla maggioranza degli italiani, ma solo perché la Consulta ha potuto operare i suoi controlli sui quesiti proposti in via successiva e non preventiva. Non è anche questa a suo modo la manifestazione di una democrazia che si blocca da sola, a Costituzione vigente, paradossalmente proprio applicando le regole della Carta?

Forse è per tali motivi che non tutti, ma moltissimi esponenti di destra o di sinistra si sentono obbligati ad un doveroso ripensamento sul funzionamento della democrazia italiana, da Stefania Craxi che sta raccogliendo le firme per un’Assemblea costituente eletta con sistema proporzionale, al direttore di Mondoperaio Luigi Covatta, per finire all’ex FLI Adolfo Urso rientrato nell’orbita berlusconiana e diventato ora paladino anch’egli di un’Assemblea costituente. Sono ancora iniziative isolate e non coordinate che testimoniano però la necessità di nuove regole per superare l’impasse democratico in corso. Per Luigi Covatta, ex socialista doc - scrive sull’Avanti della domenica, non sul famigerato Avanti di Lavitola - è inutile ormai mettere le toppe ad un lacerato tessuto democratico con fughe in avanti e rammendi emergenziali o leggi elettorali su cui è difficile mettersi d’accordo, tanto vale porre mano alla Carta fondamentale dei diritti e dei poteri, a quella Carta Costituzionale tanto osannata che però non ha impedito le estreme storture della corruzione montante dei partiti fino ad oggi e poi l’ingessatura prodotta dalla falsa alternativa berlusconismo-antiberlusconismo.

Già due anni fa lo stesso Covatta ci aveva invitato a pensare ad una terza repubblica senza accontentarci di aver sostituito il bipartitismo imperfetto della prima con il bipolarismo altrettanto imperfetto della seconda. Lo diceva due anni fa, a maggior ragione lo direbbe oggi quando a cose fatte la sfiducia nei partiti in sé è lampante e clamorosamente aumentata nonostante la favola dell’alternanza che non ha certo riguardato il possibile avvicendarsi dei gruppi dirigenti all’interno dei partiti : sono sempre gli stessi da 20 anni, inamovibili e diventati ancor più garantiti dalla legge elettorale come dimostrato dai percorsi personali dei Berlusconi, dei Bossi, dei Di Pietro o dalle spartizioni di potere all’ombra del PD tra “veltroniani” e “dalemiani”. Come uscire dalla vera emergenza che ormai è quella democratica dove non si sa più chi rappresenta cosa? Ci voleva il governo Monti e la sterzata ( o la sferzata) di Giorgio Napolitano per accorgersene?

Stefania Craxi che raccoglie le firme per un’assemblea costituente ha avuto la lucidità di mettere il dito sulla piaga affermando che la Costituzione è nella lettera e nello spirito un ammasso di regole tese a combattere il rischio di un nuovo fascismo. Di qui i poteri quasi nulli del Presidente del Consiglio, il doppione del bicameralismo, il potere dei partiti sui cittadini. Il pericolo fascista non si è mai affacciato, continua Stefania Craxi, di fronte alla Repubblica e tutti siamo rimasti fermi a fissare un fantasma mentre la macchina dello Stato andava a rotoli. Da più di 60 anni tra Prima e Seconda Repubblica. La crisi economica acuisce senza dubbio il malessere e lo spread sembra ora più importante di una riforma della Costituzione, ma poi una certa normalità sia pure all’italiana va ritrovata. Se ne rendono conto in tanti, forse lo stesso Giorgio Napolitano che riveste i panni del Cossiga anni ’90 per incitare alle riforme, se ne rende sicuramente conto Mario Monti ben consapevole di condurre un Esecutivo “strano” come egli dice, che non può durare all’infinito. La spinta per una riforma costituzionale che non ci ponga ancora indifesi sull’orlo di nuovi possibili precipizi è per ora di carattere “elitario”, riguarda settori minoritari dei partiti e del Parlamento, probabilmente avrebbe meno successo mediatico rispetto al referendum sulla riforma elettorale, ma in ogni caso resta il problema di una democrazia che non funziona e dell’urgenza di fondo che l’Italia si provveda di un sistema di regole che non ci faccia sfigurare al confronto con altre democrazie europee. Siamo già stati troppo sulle prime pagine straniere per la nostra eccezionalità e per l’inspiegabile o troppo spiegabile passaggio “democratico” dal sorridente ottimismo berlusconiano al brusco richiamo alla realtà rappresentato dal governo dei professori.

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