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Recessione e tasse

Di rigore si muore

Il presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, lo ha detto senza peli sulla lingua: “di troppo rigore si può morire e la cura (fiscale) da cavallo che ci siamo imposti può mettere a dura prova gli stessi obiettivi di risanamento della finanza pubblica”

di Enrico Cisnetto - 05 ottobre 2012

Per favore non dite che nel 2013 ci sarà la ripresa. Un conto è auspicarlo – ci mancherebbe altro – e un altro è affermarlo, come vedo si sta facendo con sempre maggiore frequenza. Le previsioni non sono pronostici o terni al lotto, e sbagliarle comporta che tutti i budget, a cominciare da quelli relativi alla finanza pubblica, vanno a farsi benedire.

E poi è inutile raccontare balle o adottare il famoso “ottimismo berlusconiano”, tanto gli italiani hanno smesso di crederci, anzi aumentano il loro livello (già altissimo) di incazzatura. Altrimenti si rischia che succeda come quest’anno, quando il governo è stato costretto a rivedere le previsioni contenute nel Def, raddoppiando in negativo (da -1,2% a -2,4%) quella relativa al pil (e speriamo che la correzione sia sufficiente, perché molte stime parlano di tre punti di caduta del prodotto). E in quello stesso documento programmatico – un po’ svalutato, è vero, ma pur sempre ufficiale – per il pil del 2013 c’è appostata una previsione di -0,2% (prima era +0,4%), che se non sbaglio significa ancora recessione. Minore, certo, rispetto a quella attuale e anche a quella ipotizzata inizialmente per il 2012, ma pur sempre con il segno meno.

Precipitare più lentamente non equivale a risalire. Se poi si considera che di solito le cifre del Def sono sbagliate per difetto, non per eccesso, ecco che al massimo è corretto dire “speriamo che l’anno prossimo la decrescita sia contenuta nei termini indicati dal Def”. D’altra parte, la Confindustria è tre volte più pessimista: dice -0,6%, con il debito pubblico che arriva al 126% del pil. Né può essere diversamente, se si guardano gli altri indicatori, dai consumi delle famiglie che crollano (-4%, più del pil e oltre l’inflazione) alla disoccupazione destinata a raggiungere nel 2013 l’11,4% (cui andrebbero aggiunti almeno due punti percentuali per tenere conto dei cassintegrati destinati a non rientrare al lavoro). Se poi si fa lo sforzo di uscire dai Palazzi e guardare in faccia la realtà produttiva del Paese, si vedrebbe una straordinaria moria di aziendine e la difficoltà immane, legata soprattutto al blocco del ciclo dei pagamenti, delle imprese grandi e piccole che sono riuscite a sopravvivere.

Insomma, non è meglio discutere di come aiutare la crescita, piuttosto che fare previsioni come se si trattasse di compilare la schedina? Da questo punto di vista, è stato di grande efficacia ciò che il presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, ha detto senza peli sulla lingua alle commissioni Bilancio di Camera e Senato riunite in seduta comune: “di troppo rigore si può morire e la cura (fiscale) da cavallo che ci siamo imposti può mettere a dura prova gli stessi obiettivi di risanamento della finanza pubblica”. Il capo dei magistrati contabili ha messo in discussione l’idea che le politiche per fronteggiare la pressione speculativa dei mercati sul nostro debito pubblico siano incompatibili con quelle per lo sviluppo. Infatti, se anche per il 2013 – come è stato negli ultimi anni, prima con Tremonti e poi con Monti – le manovre correttive delineate nel Def sono per oltre i due terzi provenienti da aumenti di imposte e tasse, ecco che il “corto circuito” (così l’ha definito Giampaolino) tra austerità e recessione s’innesca.

Sia chiaro: nessuno pensa – e, immagino, tantomeno la Corte dei Conti – che si debba smettere di risanare. Chi da sinistra contesta Monti e la sua famosa “agenda”, di solito non indica come alternativa altrettanto rigore ma realizzato in modi diversi, bensì meno rigore. Il che è sbagliato. E chi invece, a destra, s’impalca e dispensa giudizi sul governo, dimenticando di non aver fatto o di aver fatto tutt’altro fino a ieri, va iscritto di default all’affollato partito di chi predica bene e razzola male. Ma fatte queste premesse e questi doverosi distinguo, ha ragione Giampaolino: continuando così non usciamo dalla recessione e per di più rischiamo di non riuscire ad allentare in via definitiva le tensioni finanziarie, finendo per mettere in forse il pareggio di bilancio fissato al 2013, con conseguenze disastrose perché il sistema economico non sarebbe in grado di sopportare ulteriori manovre di aggiustamento. Anzi, è necessario prendere in considerazione la prospettiva di una significativa riduzione della pressione fiscale – su cui finalmente ha speso una parola anche Monti – senza per questo arretrare di un millimetro sul risanamento, ecco che occorre tornare a parlare di grandi riforme strutturali e di un piano straordinario di abbattimento del debito.

Insomma, la vera “agenda” per la prossima legislatura. Che dovrebbe trovare consenso e qualche anticipazione già in questa (anche per evitare di lasciare solo a Draghi il compito di difenderci dallo spread). Invece di accapigliarsi sul nome di Monti – sarà lui a decidere che fare “dopo” – i partiti si confrontino sull’agenda, e formino le alleanze elettorali di conseguenza. Si scoprirebbe che la strada da fare per uscire dalla crisi è ancora lunga e difficile, e che la geografia politica, prima di tutto dentro i partiti e poi nelle coalizioni, ne uscirebbe (positivamente) rivoluzionata.

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