Il Pd potrebbe riuscire a non vincere
Di chi è la colpa?
Difficile che dal voto uscirà qualcosa di nuovo e, soprattutto, di buono. Un po' di autocritica?di Massimo Pittarello - 15 febbraio 2013
Il bello è che dopo aver votato Bersani alle pr¬¬imarie del P¬artito Democratico, il 26 febbraio prossimo, di fronte ai risultati del voto, avranno anche il coraggio di lamentarsi. Eppure, quando si troveranno di fronte ad una vittoria mozzata, ammesso e non concesso che tale vittoria ci sia, gli elettori di centrosinistra faranno bene a ricordare chi scelsero qualche mese fa fra Renzi e Bersani.
Da una parte c’era chi chiedeva l’abolizione totale, pura e semplice, del finanziamento pubblico dei partiti. Dall’altra c’era chi, dopo aver candidato e fatto eleggere Luigi Lusi, e dopo avergli messo in mano il ricco tesoro del partito, ha votato una legge per mettere “i controlli esterni alla gestione dei rimborsi elettorali”. Cioè nulla, una presa in giro.
Da una parte chi, semplicemente candidandosi, è riuscito in un solo colpo a far fuori dal prossimo Parlamento Massimo D’Alema e Walter Veltroni. Dall’altra chi, piazzando in cima alla lista bloccata la storica democristiana Rosy Bindy, le ha già assicurato un seggio alla Camera, come se 19 anni passati in Parlamento non fossero abbastanza.
Da una parte c’era Matteo Renzi, che a dicembre aveva fatto risorgere il Partito Democratico da un lungo letargo e aveva portato un’ipotetica coalizione centrata sul Pd oltre il 42%. Dall’altra c’era, e c’è ancora Pierluigi Bersani, che sta riuscendo nell’assurda e difficile impresa di perdere delle elezioni già vinte, facendo scivolare i consensi della coalizione sotto il 35%.
Nel 2008, dopo la disastrosa esperienza Prodi, il Partito Democratico raggiunse il 33%, da solo. Non è detto che questa volta, tirando dentro anche Sel e Socialisti, non si riesca ad ottenere un risultato persino peggiore, e con tutta la coalizione. Difficile, ma non impossibile, se si segue una politica sclerotica, blindando la coalizione a sinistra con Vendola, ma poi lasciando aperta la strada per un accordo Casini e Monti. Ricordiamo, non solo per dovere di cronaca, le parole del sindaco di Firenze: “no sempre e comunque a Casini”. E quelle di Bersani: “se proprio devi chiedermelo, ti dico che preferisco Vendola a Casini, ma siamo pronti ad allearci con chi è disposto a… eccetera”. Il “ma anche” di veltroniana memoria era un po’ goffo, ma almeno elettoralmente funzionava. Questo di Bersani produce solo danni, di cui fra qualche giorno stimeremo l’esatta entità.
Le accuse rivolte a Renzi poi parlavano chiaro: “è personalistico, lavora solo sull’immagine e sui media, è una figurina, è tutto finto, costruito...”. Accuse rivolte dalle stesse persone che poi incensano Obama qualunque cosa dica. Perché, Obama non è strutturato principalmente sull’immagine? Certo, è bravo, viene dal sociale, ma in fondo è un democristiano, eccelso nel vendere sogni ed illusioni con i suoi tweet, i suoi gesti, le sue parole.
Il problema è che la gran parte della sinistra italiana non vuole accettare che i tempi sono cambiati, che l’immagine conta e conterà sempre di più. Sarà forse il caso di farsene una ragione? Ma non si vince solo adeguando l’immagine ai tempi, si vince anche adeguando le politiche alla società che cambia: se alla fine riusciremo a tagliare le tasse sul lavoro (e speriamo davvero sia così), la proposta della Cgil è detassare le tredicesime. Scusate, ma chi è che prende la tredicesima? Solo i lavoratori dipendenti, assunti quasi tutti, per capirci, prima della legge Treu. E tutti gli altri? Atipici, partite Iva, Co.co.co, Co.co.pro, lavoratori a progetto, a chiamata, a contratto, stagionali, a nero? Ridurre le tasse su di loro e facilitarne l’assunzione, magari incidendo sul cuneo fiscale per la Cgil non è evidentemente una priorità. Certo quello della Camusso è il sindacato con il maggior numero di iscritti, Peccato solo che siano quasi tutti pensionati. Persone che non lavorano, che in pensione ci sono andate (beate loro) con il sistema retributivo (beati davvero), magari nati prima del 1950 (altri tempi), o magari che hanno usufruito di una baby pensione, che chi lavora, fra un contratto precario e l’altro, sta profumatamente pagando.
E sono gli stessi sindacati oltranzisti, che tengono in ostaggio il Pd e che nei fatti osteggiano l’istituzione di un reddito di cittadinanza coadiuvato da meccanismi di formazione e placement che funzionino, perché questo provocherebbe una perdita della loro forza politica e la rimodulazione di un sistema di cassa integrazione che privilegia solo determinate di categorie di lavoratori. Anzi, di ex-lavoratori che stanno a casa senza fare nulla, percependo gran parte dello stipendio, per anni, magari contemporaneamente lavorando in nero. Ma se un’azienda fallisce perché sul mercato non tiene, non è evidente che anche i dipendenti debbano reinventarsi un nuovo ruolo? E invece continuiamo a spendere miliardi e miliardi in accanimento terapeutico per imprese destinate comunque a fallire, senza invece fare nulla per giovani e precari, con i fondi per la cassa integrazione che stanno terminando.
Il Pd aveva l’occasione di crescere, di sdoganarsi finalmente da un passato novecentesco fatto di vetuste ideologie e reminiscenti lotte che non esistono più. Non lo ha fatto. E si troverà di fronte ad una mezza vittoria, che se anche lo vedrà maggioranza nei due rami del Parlamento, non sarà abbastanza forte da governare. Non come servirebbe. Anche e soprattutto per le incertezze interne. Chi comanda nel centro sinistra? Bersani? La Camusso? Vendola? D’Alema?
E come si affrontano i temi? Cosa si fa con gli F35? E con la Tav? E la spesa pubblica, va drasticamente ridotta o no? E con le coppie omosessuali? E con i rimborsi elettorali?
Per coerenza ed efficacia comunicativa sarebbe bene Bersani lo dicesse in modo chiaro e semplice, come faceva Matteo Renzi. Il quale, fosse stato candidato premier, avrebbe tra l’altro evitato il ritorno di Berlusconi, la crescita tumultuosa di Grillo, la candidatura di Monti (ai quali avrebbe sottratto consistenti fette di elettorato) e il calo vertiginoso dei consensi di Sel, che sarebbe stata una forza di sinistra pura, lasciando poco spazio a Ingroia sul lato dell’oltranzismo.
Senza contare che Renzi avrebbe vinto a mani basse con il 60% dei voti. Anche con i voti della destra, certo. Perché, vi fanno schifo i voti della destra? Oppure vi fanno schifo le persone che votano a destra? Non a tutti, ma a qualcuno di quelli che hanno preferito Bersani alle primarie la destra fa schifo perché “ontologicamente diversa” e “inferiore moralmente”.
E invece di un nuovo corso, nuove prospettive e magari qualche sogno, ci ritroveremo senza nemmeno la speranza, con una vittoria mozzata e una coalizione traballante che terrà forse in piedi un governo incapace di dare al Paese la svolta che serve. Naturalmente, alla fine sarà tutta colpa delle tv di Berlusconi. Ma forse anche di chi in 7 anni di governo non è riuscito a fare una legge sul conflitto di interessi. E di tutti quelli che gli hanno dato il voto nelle primarie scorse, rinnovandogli una fiducia evidentemente immotivata. Potremmo chiamarla fiducia nel passato. E nel fallimento.
Da una parte c’era chi chiedeva l’abolizione totale, pura e semplice, del finanziamento pubblico dei partiti. Dall’altra c’era chi, dopo aver candidato e fatto eleggere Luigi Lusi, e dopo avergli messo in mano il ricco tesoro del partito, ha votato una legge per mettere “i controlli esterni alla gestione dei rimborsi elettorali”. Cioè nulla, una presa in giro.
Da una parte chi, semplicemente candidandosi, è riuscito in un solo colpo a far fuori dal prossimo Parlamento Massimo D’Alema e Walter Veltroni. Dall’altra chi, piazzando in cima alla lista bloccata la storica democristiana Rosy Bindy, le ha già assicurato un seggio alla Camera, come se 19 anni passati in Parlamento non fossero abbastanza.
Da una parte c’era Matteo Renzi, che a dicembre aveva fatto risorgere il Partito Democratico da un lungo letargo e aveva portato un’ipotetica coalizione centrata sul Pd oltre il 42%. Dall’altra c’era, e c’è ancora Pierluigi Bersani, che sta riuscendo nell’assurda e difficile impresa di perdere delle elezioni già vinte, facendo scivolare i consensi della coalizione sotto il 35%.
Nel 2008, dopo la disastrosa esperienza Prodi, il Partito Democratico raggiunse il 33%, da solo. Non è detto che questa volta, tirando dentro anche Sel e Socialisti, non si riesca ad ottenere un risultato persino peggiore, e con tutta la coalizione. Difficile, ma non impossibile, se si segue una politica sclerotica, blindando la coalizione a sinistra con Vendola, ma poi lasciando aperta la strada per un accordo Casini e Monti. Ricordiamo, non solo per dovere di cronaca, le parole del sindaco di Firenze: “no sempre e comunque a Casini”. E quelle di Bersani: “se proprio devi chiedermelo, ti dico che preferisco Vendola a Casini, ma siamo pronti ad allearci con chi è disposto a… eccetera”. Il “ma anche” di veltroniana memoria era un po’ goffo, ma almeno elettoralmente funzionava. Questo di Bersani produce solo danni, di cui fra qualche giorno stimeremo l’esatta entità.
Le accuse rivolte a Renzi poi parlavano chiaro: “è personalistico, lavora solo sull’immagine e sui media, è una figurina, è tutto finto, costruito...”. Accuse rivolte dalle stesse persone che poi incensano Obama qualunque cosa dica. Perché, Obama non è strutturato principalmente sull’immagine? Certo, è bravo, viene dal sociale, ma in fondo è un democristiano, eccelso nel vendere sogni ed illusioni con i suoi tweet, i suoi gesti, le sue parole.
Il problema è che la gran parte della sinistra italiana non vuole accettare che i tempi sono cambiati, che l’immagine conta e conterà sempre di più. Sarà forse il caso di farsene una ragione? Ma non si vince solo adeguando l’immagine ai tempi, si vince anche adeguando le politiche alla società che cambia: se alla fine riusciremo a tagliare le tasse sul lavoro (e speriamo davvero sia così), la proposta della Cgil è detassare le tredicesime. Scusate, ma chi è che prende la tredicesima? Solo i lavoratori dipendenti, assunti quasi tutti, per capirci, prima della legge Treu. E tutti gli altri? Atipici, partite Iva, Co.co.co, Co.co.pro, lavoratori a progetto, a chiamata, a contratto, stagionali, a nero? Ridurre le tasse su di loro e facilitarne l’assunzione, magari incidendo sul cuneo fiscale per la Cgil non è evidentemente una priorità. Certo quello della Camusso è il sindacato con il maggior numero di iscritti, Peccato solo che siano quasi tutti pensionati. Persone che non lavorano, che in pensione ci sono andate (beate loro) con il sistema retributivo (beati davvero), magari nati prima del 1950 (altri tempi), o magari che hanno usufruito di una baby pensione, che chi lavora, fra un contratto precario e l’altro, sta profumatamente pagando.
E sono gli stessi sindacati oltranzisti, che tengono in ostaggio il Pd e che nei fatti osteggiano l’istituzione di un reddito di cittadinanza coadiuvato da meccanismi di formazione e placement che funzionino, perché questo provocherebbe una perdita della loro forza politica e la rimodulazione di un sistema di cassa integrazione che privilegia solo determinate di categorie di lavoratori. Anzi, di ex-lavoratori che stanno a casa senza fare nulla, percependo gran parte dello stipendio, per anni, magari contemporaneamente lavorando in nero. Ma se un’azienda fallisce perché sul mercato non tiene, non è evidente che anche i dipendenti debbano reinventarsi un nuovo ruolo? E invece continuiamo a spendere miliardi e miliardi in accanimento terapeutico per imprese destinate comunque a fallire, senza invece fare nulla per giovani e precari, con i fondi per la cassa integrazione che stanno terminando.
Il Pd aveva l’occasione di crescere, di sdoganarsi finalmente da un passato novecentesco fatto di vetuste ideologie e reminiscenti lotte che non esistono più. Non lo ha fatto. E si troverà di fronte ad una mezza vittoria, che se anche lo vedrà maggioranza nei due rami del Parlamento, non sarà abbastanza forte da governare. Non come servirebbe. Anche e soprattutto per le incertezze interne. Chi comanda nel centro sinistra? Bersani? La Camusso? Vendola? D’Alema?
E come si affrontano i temi? Cosa si fa con gli F35? E con la Tav? E la spesa pubblica, va drasticamente ridotta o no? E con le coppie omosessuali? E con i rimborsi elettorali?
Per coerenza ed efficacia comunicativa sarebbe bene Bersani lo dicesse in modo chiaro e semplice, come faceva Matteo Renzi. Il quale, fosse stato candidato premier, avrebbe tra l’altro evitato il ritorno di Berlusconi, la crescita tumultuosa di Grillo, la candidatura di Monti (ai quali avrebbe sottratto consistenti fette di elettorato) e il calo vertiginoso dei consensi di Sel, che sarebbe stata una forza di sinistra pura, lasciando poco spazio a Ingroia sul lato dell’oltranzismo.
Senza contare che Renzi avrebbe vinto a mani basse con il 60% dei voti. Anche con i voti della destra, certo. Perché, vi fanno schifo i voti della destra? Oppure vi fanno schifo le persone che votano a destra? Non a tutti, ma a qualcuno di quelli che hanno preferito Bersani alle primarie la destra fa schifo perché “ontologicamente diversa” e “inferiore moralmente”.
E invece di un nuovo corso, nuove prospettive e magari qualche sogno, ci ritroveremo senza nemmeno la speranza, con una vittoria mozzata e una coalizione traballante che terrà forse in piedi un governo incapace di dare al Paese la svolta che serve. Naturalmente, alla fine sarà tutta colpa delle tv di Berlusconi. Ma forse anche di chi in 7 anni di governo non è riuscito a fare una legge sul conflitto di interessi. E di tutti quelli che gli hanno dato il voto nelle primarie scorse, rinnovandogli una fiducia evidentemente immotivata. Potremmo chiamarla fiducia nel passato. E nel fallimento.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.