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Scenari elettorali parte quinta: gran finale

Detto tutto questo finora, chi vince?

La coalizione che perde esplode per prima. E l’auspicio poi della rinascita della politica

di Davide Giacalone - 07 aprile 2006

E allora: chi vince le elezioni di domenica e lunedì prossimi? Risposta: nessuno, ma qualcuno le perde.
Non sto sfuggendo alla domanda che mi son fatto da solo, sto solo dando l’unica risposta che mi pare sensata. Sia il centro-destra che il centro-sinistra, in caso di vittoria, sono candidati ad esplodere, dilaniati da contraddizioni interne. La vittoria è un gran tonificante, un potente afrodisiaco, un viagra al cubo. Ma il priapismo, prima o dopo, picchia contro al muro degli interessi, la disgregazione comincerà all’interno delle singole forze apparentemente vincitrici e si tradurrà od in inabilità governativa od in inerzia. Ed è un ragionamento che ho già svolto, a proposito del progetto dei partiti unici.
Ma la coalizione che perde esplode per prima. E dato che gli uni e gli altri hanno voluto giocare a fare i bipolari, si sono dati leaders unici come se vi fosse una qualche elezione diretta del capo del governo, è il caso di enunciare subito una regola che valga per il futuro: chi perde non si ricandida al medesimo ruolo. Oggi, sia Berlusconi che Prodi sono due leaders che hanno, a turno sconfitto l’avversario, ed a turno sono stati sconfitti. Sarebbe bello interrompere questo ripetersi dell’eguale, e non necessariamente con eventi luttuosi. Basta, grazie.
In una democrazia non esiste solo la gara a chi fa il capo del governo, ci sono anche altri ruoli, altre funzioni, e non certo meno importanti. Ma se la lotta politica non vuol essere un gerontocomio bizzoso, è giunto anche il tempo di far largo a generazioni diverse. Il vincitore, naturalmente, va al governo, e chi governa può anche riproporsi agli elettori, se lo crede, e se lo consente la coalizione di cui è espressione. Lo sconfitto no. L’immortalità politica dei leaders non è mai una bella cosa, ma ha un senso in un sistema proporzionale e parlamentocentrico. In un sistema come quello che i protagonisti dicono di volere, invece, l’immortalità del candidato diventa la dimostrazione che sotto di lui la politica ed il Paese sono morti.
E, del resto, è il segno di un andazzo complessivo: la classe dirigente è sempre meno prestigiosa in politica come in economia, nel mondo dei produttori come in quello delle rappresentanze di categoria, la stasi mentale aggredisce anche il ceto che si autoconsidera intellettuale, restituendoci un giornalismo di che s’alimenta a conformismo e luogocomunismo.
Previsione: voglio, davvero voglio sperare che questa tornata elettorale chiuda una stagione, che uomini nuovi trovino la possibilità di esprimersi, che si debba sceglierli non fra i divi dello spettacolo o fra i ”famosi”, ma fra quanti abbiano qualche cosa da dire, qualche idea da spendere, una passione con cui arricchire la collettività. Una nuova generazione che sappia discutere, anche con durezza, senza mai perdere il rispetto dell’interlocutore, che è anche il rispetto di quei cittadini che la pensano diversamente. Domenica e lunedì siano l’ultima festa del vecchio, che deve passare.

www.davidegiacalone.it

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