Il sensazionalismo non risolve i problemi
Degrado della sanità e mass media
Scandalo del Policlinico:le responsabilità vanno cercate tra quanti si indignanodi Cesare Greco - 08 gennaio 2007
L’inchiesta sul Policlinico Umberto I di Roma ha provocato scandalo, indignazione, condanna unanime, volontà di intervenire una volta per tutte e poi, e poi….
Pare, per inciso, che dai controlli dei NAS, intervenuti a caldo il giorno stesso della pubblicazione dell’inchiesta, non siano risultate irregolarità degne di nota e, a fronte di grandi titoli e pagine d’indignata condanna, quest’ultima notizia è rimasta confinata in un occhiello di pagina 10 del Corriere della Sera.
In ogni caso, non intendo entrare nel merito di un’inchiesta che ha senz’altro molti meriti ma anche molti lati oscuri per com’è stata costruita e per come finisce per tirare conclusioni generali da una serie di episodi particolari. D’altra parte, dopo un mese di lavoro doveva pur venire fuori un risultato che giustificasse le energie profuse, le spese affrontate, con la realizzazione di uno scoop sensazionale.
Ciò che intendo contestare è la totale mancanza di approfondimento sulle cause reali del degrado della sanità pubblica da parte di tutte le inchieste che si sono succedute in questi anni, convinto come sono che il sensazionalismo non serva a fornire conoscenza delle cause reali e stimolare la soluzione dei problemi. La sostanza che da queste inchieste viene fuori è, semplifico, che la sanità è gestita da una banda di amministratori incapaci e ignavi, accoscati con medici più o meno farabutti, orientati a sviluppare unicamente il loro “privato”e a provocare scientemente il degrado delle strutture pubbliche al fine di generare sfiducia e fuga da parte dei cittadini. Eppure da svariati anni la maggior parte dei medici svolge la propria attività in rapporto esclusivo nelle strutture del SSN e, se si da credito alle statistiche (vedi ad es. l’incidenza delle infezioni ospedaliere in Italia e nel resto d’Europa) e se si tiene conto del gradimento e della fiducia che, nonostante le sensazionali inchieste giornalistiche, i cittadini dimostrano in generale nei confronti del personale medico del SSN, alla fine i conti non tornano. In realtà la sanità pubblica è radicalmente cambiata in questi anni ed è qualcosa di molto diverso da quel mondo feudale diviso in onnipotenti baronie che ancora permane nell’immaginario dei media e che ben si presta per le semplificazioni giornalistiche. E il problema è proprio in questo cambiamento che ha portano il SSN a divenire il maggiore strumento di finanziamento e di creazione di clientele per la classe politica e sindacale, sia a livello nazionale che locale.
Nell’articolo dell’Espresso, si accenna soltanto ad appalti e al proliferare di consulenze e incarichi “esterni”, mentre in un interessante specchietto riassuntivo pubblicato dal Corriere della Sera è riportato l’impressionante numero di 4500 dipendenti con incarichi amministrativi a fronte di un fabbisogno di 2000. Ciò che non viene mai riportato è che la maggior parte di questi amministrativi è composta da ex personale ausiliario, ovvero preposto alla pulizia dei reparti, di cui si lamenta la cronica mancanza, trasferito e promosso con concorsi interni, di fatto gestiti dai sindacati, da una funzione operativa ad una amministrativa. Risultato: 4500 impiegati che svolgono il lavoro di 2000 e mancanza cronica di personale ausiliario, ovvero addetto alle pulizie e al trasporto dei pazienti. Questo fatto ha o non ha un rilevante peso nel determinare lo scadimento del livello di assistenza? Qualcuno ha pensato di approfondire come la politica sindacale abbia inciso e incida su tale livello?
Tutto ciò riguarda la gestione “ospedaliera”, ovvero regionale, ovvero politica, del grande nosocomio romano, non quella “universitaria”, che su tali cose non ha competenza alcuna, sempre chiamata in causa per il suddetto semplificativo immaginario mediatico. Perché sottolineo il fatto che tali aspetti sono di competenza ospedaliera, ovvero regionale, ovvero politica, e non universitaria? Perché è ciò su cui la politica ha gestione diretta e perché la stessa politica ha tutto l’interesse a sottrarre del tutto alla gestione universitaria il più grande ospedale universitario d’Italia, appetitosa fabbrica inesauribile di possibili clientele, oltre che patrimonio immobiliare enorme. E i più indignati, coloro che più alta levano la loro voce per condannare e promettere iniziative esemplari e risolutive, coloro che in sostanza fanno di tutto per direzionare altrove i riflettori della pubblica attenzione, sono proprio i politici che in prima persona e con militare efficienza gestiscono e controllano la sanità pubblica. E veniamo, dunque, al vero nocciolo del problema: il degrado progressivo dell’ospedalità pubblica italiana dipende essenzialmente dall’essere, come si accennava prima, fonte di finanziamento e di creazione di clientele per una classe politica che, grazie ad una serie di riforme spacciate come tendenti a favorire il controllo democratico dei cittadini utenti sull’assistenza, ha finito per mettere direttamente le mani sulla gestione della sanità, controllandone tutti gli aspetti, compresi i concorsi del personale medico resi, con la riforma Bindi, totalmente dipendenti dalla volontà dei politici di turno. E il meccanismo si è dimostrato talmente efficace, attraverso lo spoil system, che la stessa opposizione di centrodestra, opposizione anche all’epoca della riforma Bindi, che strepitava contro la politicizzazione della sanità, non appena ne ha avuto la possibilità affermandosi alla guida delle regioni, ha immediatamente approfittato dei dividenti, adeguandosi a gestire, con non minore efficacia, la sua parte.
L’inutilità sostanziale delle inchieste come quella dell’Espresso, dunque, sta nel fatto che, puntando i riflettori altrove, non vanno a toccare i veri interessi che sono alla radice della mala gestione, non cercano, in sostanza, di far luce su quegli intrecci politico-finanziari che impegnano l’azione degli amministratori non verso il costante miglioramento dell’assistenza ai pazienti, ma verso la gestione clientelare e finanziaria delle ASL, utilizzate di volta in volta come centri dove sistemare i propri galoppini elettorali oltre che come centri di spesa per assegnazione di appalti, spesso inutili quanto onerosi. L’assistenza e la sua organizzazione, finiscono per divenire solo uno degli aspetti connessi allo sfruttamento per fini politici del SSN. Ben vengano dunque, nell’ottica politica, quelle inchieste che si concludono mettendo sotto accusa amministratori e medici, che di tutta la filiera sono solo gli ultimi anelli, e che permettono agli stessi governanti, causa e gestori veri del disastro, di lucrare visibilità indignandosi e proponendosi come salvatori del sistema. Ma davvero si pensa che un direttore generale di una ASL, il cui lauto stipendio dipende totalmente dall’assessore di turno, possa agire esclusivamente secondo quelli che ritiene essere i principi della buona amministrazione finalizzata all’assistenza dei pazienti? Ma davvero si pensa che la sua azione, anche al fine di garantirsi un futuro, non sarà piuttosto diretta a rafforzare la posizione del politico di riferimento e, secondo le sue direttive, delle sue clientele elettorali? E per quale motivo un medico, la cui assunzione e successiva progressione di carriera dipendono da commissioni di concorso militarmente controllate dai direttori generali di nomina politica, non dovrebbe trovare più conveniente coltivare i rapporti politici piuttosto che dedicarsi a migliorare la propria professionalità, politicamente poco spendibile? L’attuale struttura della sanità pubblica ha in se stessa le cause del degrado. Ciò che il giornalista dell’Espresso ha messo in evidenza non è che il risultato finale, e neanche quello che più gravemente mette a rischio la salute pubblica, di una patologia genetica della sanità che già con lo scandalo di lady ASL avrebbe dovuto indirizzare meglio gli sforzi del giornalismo di inchiesta. Ma scavare all’interno delle connivenze e delle complicità politiche, economiche e sindacali annidate come organismi saprofiti nei gangli del SSN può essere difficile e, soprattutto, politicamente poco conveniente. Non tutti sono disposti a denunciare errori e mistificazioni politiche, magari da parte della propria compagine di riferimento, dal momento che questa sarebbe l’inevitabile conclusione. Il SSN così come è stato concepito a partire dagli anni ‘90 e definitivamente sanzionato dalla riforma Bindi è destinato a divorare risorse divorando anche se stesso. Ma continuando a fermarsi alla superficie dei problemi, a registrare ciò che è immagine riflessa, si otterranno titoli sensazionali, indignazione, solidarietà, attestati di stima, ma risultati irrilevanti. Si darà, al contrario, la possibilità ai politici di puntare i riflettori della pubblica opinione in una direzione diversa rispetto alle reali responsabilità che per intero appartengono loro.
Unici tra quanti hanno scritto di questi argomenti, Cesare Salvi e Massimo Villone hanno messo il dito nella piaga senza complessi di parte. Si parta da lì e si indaghi sui meccanismi di finanziamento della politica e su come questi finiscano ormai per erodere le fondamenta stesse dei principi del benessere sociale e delle necessità più elementari e costituzionalmente garantite dei cittadini, senza complessi e senza pudori, ma soprattutto senza eccessi di rispetto nei confronti di chicchessia. Non si attenda sempre l’azione della magistratura. Spesso le responsabilità politiche sono molto più gravi di quelle penali.
Ciò che intendo contestare è la totale mancanza di approfondimento sulle cause reali del degrado della sanità pubblica da parte di tutte le inchieste che si sono succedute in questi anni, convinto come sono che il sensazionalismo non serva a fornire conoscenza delle cause reali e stimolare la soluzione dei problemi. La sostanza che da queste inchieste viene fuori è, semplifico, che la sanità è gestita da una banda di amministratori incapaci e ignavi, accoscati con medici più o meno farabutti, orientati a sviluppare unicamente il loro “privato”e a provocare scientemente il degrado delle strutture pubbliche al fine di generare sfiducia e fuga da parte dei cittadini. Eppure da svariati anni la maggior parte dei medici svolge la propria attività in rapporto esclusivo nelle strutture del SSN e, se si da credito alle statistiche (vedi ad es. l’incidenza delle infezioni ospedaliere in Italia e nel resto d’Europa) e se si tiene conto del gradimento e della fiducia che, nonostante le sensazionali inchieste giornalistiche, i cittadini dimostrano in generale nei confronti del personale medico del SSN, alla fine i conti non tornano. In realtà la sanità pubblica è radicalmente cambiata in questi anni ed è qualcosa di molto diverso da quel mondo feudale diviso in onnipotenti baronie che ancora permane nell’immaginario dei media e che ben si presta per le semplificazioni giornalistiche. E il problema è proprio in questo cambiamento che ha portano il SSN a divenire il maggiore strumento di finanziamento e di creazione di clientele per la classe politica e sindacale, sia a livello nazionale che locale.
Nell’articolo dell’Espresso, si accenna soltanto ad appalti e al proliferare di consulenze e incarichi “esterni”, mentre in un interessante specchietto riassuntivo pubblicato dal Corriere della Sera è riportato l’impressionante numero di 4500 dipendenti con incarichi amministrativi a fronte di un fabbisogno di 2000. Ciò che non viene mai riportato è che la maggior parte di questi amministrativi è composta da ex personale ausiliario, ovvero preposto alla pulizia dei reparti, di cui si lamenta la cronica mancanza, trasferito e promosso con concorsi interni, di fatto gestiti dai sindacati, da una funzione operativa ad una amministrativa. Risultato: 4500 impiegati che svolgono il lavoro di 2000 e mancanza cronica di personale ausiliario, ovvero addetto alle pulizie e al trasporto dei pazienti. Questo fatto ha o non ha un rilevante peso nel determinare lo scadimento del livello di assistenza? Qualcuno ha pensato di approfondire come la politica sindacale abbia inciso e incida su tale livello?
Tutto ciò riguarda la gestione “ospedaliera”, ovvero regionale, ovvero politica, del grande nosocomio romano, non quella “universitaria”, che su tali cose non ha competenza alcuna, sempre chiamata in causa per il suddetto semplificativo immaginario mediatico. Perché sottolineo il fatto che tali aspetti sono di competenza ospedaliera, ovvero regionale, ovvero politica, e non universitaria? Perché è ciò su cui la politica ha gestione diretta e perché la stessa politica ha tutto l’interesse a sottrarre del tutto alla gestione universitaria il più grande ospedale universitario d’Italia, appetitosa fabbrica inesauribile di possibili clientele, oltre che patrimonio immobiliare enorme. E i più indignati, coloro che più alta levano la loro voce per condannare e promettere iniziative esemplari e risolutive, coloro che in sostanza fanno di tutto per direzionare altrove i riflettori della pubblica attenzione, sono proprio i politici che in prima persona e con militare efficienza gestiscono e controllano la sanità pubblica. E veniamo, dunque, al vero nocciolo del problema: il degrado progressivo dell’ospedalità pubblica italiana dipende essenzialmente dall’essere, come si accennava prima, fonte di finanziamento e di creazione di clientele per una classe politica che, grazie ad una serie di riforme spacciate come tendenti a favorire il controllo democratico dei cittadini utenti sull’assistenza, ha finito per mettere direttamente le mani sulla gestione della sanità, controllandone tutti gli aspetti, compresi i concorsi del personale medico resi, con la riforma Bindi, totalmente dipendenti dalla volontà dei politici di turno. E il meccanismo si è dimostrato talmente efficace, attraverso lo spoil system, che la stessa opposizione di centrodestra, opposizione anche all’epoca della riforma Bindi, che strepitava contro la politicizzazione della sanità, non appena ne ha avuto la possibilità affermandosi alla guida delle regioni, ha immediatamente approfittato dei dividenti, adeguandosi a gestire, con non minore efficacia, la sua parte.
L’inutilità sostanziale delle inchieste come quella dell’Espresso, dunque, sta nel fatto che, puntando i riflettori altrove, non vanno a toccare i veri interessi che sono alla radice della mala gestione, non cercano, in sostanza, di far luce su quegli intrecci politico-finanziari che impegnano l’azione degli amministratori non verso il costante miglioramento dell’assistenza ai pazienti, ma verso la gestione clientelare e finanziaria delle ASL, utilizzate di volta in volta come centri dove sistemare i propri galoppini elettorali oltre che come centri di spesa per assegnazione di appalti, spesso inutili quanto onerosi. L’assistenza e la sua organizzazione, finiscono per divenire solo uno degli aspetti connessi allo sfruttamento per fini politici del SSN. Ben vengano dunque, nell’ottica politica, quelle inchieste che si concludono mettendo sotto accusa amministratori e medici, che di tutta la filiera sono solo gli ultimi anelli, e che permettono agli stessi governanti, causa e gestori veri del disastro, di lucrare visibilità indignandosi e proponendosi come salvatori del sistema. Ma davvero si pensa che un direttore generale di una ASL, il cui lauto stipendio dipende totalmente dall’assessore di turno, possa agire esclusivamente secondo quelli che ritiene essere i principi della buona amministrazione finalizzata all’assistenza dei pazienti? Ma davvero si pensa che la sua azione, anche al fine di garantirsi un futuro, non sarà piuttosto diretta a rafforzare la posizione del politico di riferimento e, secondo le sue direttive, delle sue clientele elettorali? E per quale motivo un medico, la cui assunzione e successiva progressione di carriera dipendono da commissioni di concorso militarmente controllate dai direttori generali di nomina politica, non dovrebbe trovare più conveniente coltivare i rapporti politici piuttosto che dedicarsi a migliorare la propria professionalità, politicamente poco spendibile? L’attuale struttura della sanità pubblica ha in se stessa le cause del degrado. Ciò che il giornalista dell’Espresso ha messo in evidenza non è che il risultato finale, e neanche quello che più gravemente mette a rischio la salute pubblica, di una patologia genetica della sanità che già con lo scandalo di lady ASL avrebbe dovuto indirizzare meglio gli sforzi del giornalismo di inchiesta. Ma scavare all’interno delle connivenze e delle complicità politiche, economiche e sindacali annidate come organismi saprofiti nei gangli del SSN può essere difficile e, soprattutto, politicamente poco conveniente. Non tutti sono disposti a denunciare errori e mistificazioni politiche, magari da parte della propria compagine di riferimento, dal momento che questa sarebbe l’inevitabile conclusione. Il SSN così come è stato concepito a partire dagli anni ‘90 e definitivamente sanzionato dalla riforma Bindi è destinato a divorare risorse divorando anche se stesso. Ma continuando a fermarsi alla superficie dei problemi, a registrare ciò che è immagine riflessa, si otterranno titoli sensazionali, indignazione, solidarietà, attestati di stima, ma risultati irrilevanti. Si darà, al contrario, la possibilità ai politici di puntare i riflettori della pubblica opinione in una direzione diversa rispetto alle reali responsabilità che per intero appartengono loro.
Unici tra quanti hanno scritto di questi argomenti, Cesare Salvi e Massimo Villone hanno messo il dito nella piaga senza complessi di parte. Si parta da lì e si indaghi sui meccanismi di finanziamento della politica e su come questi finiscano ormai per erodere le fondamenta stesse dei principi del benessere sociale e delle necessità più elementari e costituzionalmente garantite dei cittadini, senza complessi e senza pudori, ma soprattutto senza eccessi di rispetto nei confronti di chicchessia. Non si attenda sempre l’azione della magistratura. Spesso le responsabilità politiche sono molto più gravi di quelle penali.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.