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Fatto il “pieno” adesso possiamo ripartire?

Crisi e struttura dell’offerta

Non è solo con una strategia puramente congiunturale che si può rilanciare un’economia in declino

di Enrico Cisnetto - 09 febbraio 2009

Fatto il pieno – di incentivi – adesso possiamo ripartire? Se anche il piano anti-crisi varato dal Governo dovesse dare quella boccata d’aria al comparto auto di cui c’è bisogno dopo gli ultimi drammatici dati di vendita – ma davvero 2 miliardi possono bastare? – non è certo solo con una strategia puramente congiunturale che si può rilanciare un’economia da tre lustri in declino come quella italiana. Sia chiaro, il problema non è che si tratti di un pacchetto “sartoriale”, tagliato su misura sulle esigenze della Fiat: questo è un bene. Messa nel cassetto una volta per tutte la retorica sessantottarda di una Fiat che privatizza i profitti e socializza le perdite, è stato infatti dimostrato da alcuni studi recenti che la casa torinese ha ricevuto in questi anni molto meno di quanto abbia restituito al Paese (nel decennio 1997-2007 ha ottenuto 1,9 miliardi di euro tra cassa integrazione e contributi alla ricerca e per gli investimenti, ma ne ha restituiti 2,9 tra Inps, imposte sul reddito e Ici).

No, la vera questione è un altra. E riguarda il fatto che, anche in questo caso, il Governo ha agito solo sul lato della domanda, evitando di mettere in atto interventi sul lato della struttura dell’offerta. Perché, più che di incentivi che perpetuano l’esistente, la Fiat avrebbe bisogno di essere aiutata a compiere quello che gli economisti d’impresa definiscono un “salto di paradigma tecnologico”, il quale a sua volta si può fare solo se si realizza quel processo di aggregazione – indispensabile anche per fronteggiare un momento di mercato devastante come questo e 10 miliardi di prestiti in scadenza a breve – che gli Agnelli hanno sempre rimandato per non perdere il controllo dell’azienda.

Per esempio, perché non si è posta alla Fiat la condizione di compiere il turnaround verso i settori dell’ibrido e dell’elettrico, che rappresentano il futuro e su cui tutto il mondo sta investendo? Al contrario che negli Usa, dove la presidenza Obama ha sì rovesciato una valanga di quattrini su Detroit, ma costringendo le “grandi sorelle” delle quattro ruote a mettere in atto entro il 2050 una vera rivoluzione tecnologica, producendo veicoli in grado di abbattere dell’80% le emissioni, da noi, invece, il massimo dell’impegno tecnologico richiesto consisterà nel montare a bordo bombole di gpl o metano, che rappresentano il passato (peraltro fallimentare) dell’innovazione nel campo dei carburanti. Per carità, in una fase come questa tentare di dopare un po’ il mercato è una scommessa lecita, ma puntare tutto sui consumi, senza mettere in atto alcuna strategia sul fronte delle imprese in modo che investendo nella ricerca si arrivi alla “conversione” del prodotto, fa di quella scommessa un azzardo.

Sia perché gli italiani quel denaro riveniente da mutui alleggeriti, inflazione bassa, incentivi e benzina meno cara preferiranno risparmiarlo per tempi migliori, sia perché da una crisi epocale non si esce senza mettere mano ai nodi strutturali del sistema-paese. E se non si ha una “vision” di lungo periodo sull’auto, che rappresenta il 13% del pil, difficilmente si potrà smentire la cruda (e inusuale, ma perciò stesso ancor più significativa) valutazione dell’ambasciatore americano uscente, Ronald Spogli, che ha preconizzato l’uscita dell’Italia “dal novero delle grandi potenze economiche”. Destino da cui non ci salverà certo una bombola di gpl nel bagagliaio della nostra auto: serve proprio cambiare il motore.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.