Pericolosa l'idea del Governo
Costituzione e deficit
Costituzionalizzare il pareggio di bilancio è un meccanismo rischiosodi Davide Giacalone - 09 settembre 2011
Costituzionalizzare il pareggio di bilancio, quindi rendere incostituzionale il deficit, così come deciso dal Consiglio dei ministri, è un errore culturale e tecnico, le cui conseguenze sono enormi e pericolose. Capisco bene qual è la ragione: segnalare ai mercati e alla Banca centrale europea, in maniera chiara e forte, che l’Italia intende veramente avviare il rientro dal debito, riducendolo nel tempo. Ed è giusto che così si faccia. Non è giusto, invece, scambiare la Costituzione per una specie di super-legge finanziaria.
La cosa singolare è che alcuni ministri, in modo non riservato, hanno più volte lamentato il potere enorme in capo al collega che si occupa d’economia. Con la scusa del bilancio, dicevano, decide tutto lui. Costituzionalizzando il pareggio si rende quel potere assoluto e, per giunta, lo si consegna in gran parte alla Ragioneria Generale dello Stato, ovvero ad un ufficio di cui il ministro stesso e succube. Vero è che si potrebbe prendere la Ragioneria e portarla presso la Presidenza del Consiglio, o spacchettare le competenze dell’economia e affidare la tenuta dei conti ad altro dicastero, ma questo non cambierebbe la qualità e quantità di potere gestito in quegli uffici. Il ministro dell’economia, come un eventuale suo collega, non è il padrone dei conti e spesso non padroneggia i bilanci, con ciò consegnando potere decisionale ad una struttura tecnica.
E non è il solo problema. Fin qui la Corte costituzionale s’è tenuta lontana da decisioni che abbiano diretta rilevanza nelle politica economica e di bilancio. Costituzionalizzando il pareggio si chiama la Corte ad avere competenza anche su tale materia. Forse si dovrebbe guardare con maggiore attenzione a quel che si è appena verificato in Germania, dove i giudici costituzionali avrebbero potuto decidere contro una scelta economica del governo, per giunta con ricadute internazionali e, in ogni caso, hanno deciso loro chi (il Parlamento) è competente a prendere quel tipo di decisioni.
Così come si dovrebbe rammentare la commedia estiva in cui si sono prodotti gli statunitensi, con lo Stato federale che ha rischiato di andare in default non perché mancassero i soldi, ma perché hanno costituzionalizzato il tetto al deficit. Due esempi dai quali non si trae insegnamento.
La keynesiana “Teoria generale” risale al 1936 e al “deficit spending” dobbiamo non poca della ricchezza nella quale viviamo. Certo, quella ricetta non può essere applicata all’infinito e, soprattutto, se ne dovrebbero ricordare gli ingredienti veri (Keynes riteneva utile la spesa pubblica ove indirizzata ad assorbire la disoccupazione residua, non utilizzata dal mercato), ed è non meno certo che la spesa pubblica italiana è divenuta in larga parte improduttiva, quindi causa e non rimedio alla disoccupazione. Ma da qui a tornare ai dogmi di due secoli fa, ci corre!
Se domani un terremoto devastasse una parte del Paese, o se orde fanatiche ci dichiarassero guerra, oltre a toccarci gli attributi per scongiurare sia l’una che l’altra ipotesi, che faremmo? convocheremmo la consulta per sapere se possiamo spendere nella ricostruzione e nella difesa? oppure pretenderemmo che la vita e la sicurezza siano subordinate ai tagli di altre spese? Se invece, come previsto dalla proposta governativa, si fa eccezione per lo stato di necessità (chi lo decide?), allora perché mettere nella Costituzione un vincolo, quindi un principio, derogabile?
A chi ci rispondesse che è prioritario il pareggio e il controllo della spesa pubblica risponderei che qui lo si scrive da molto, e lo si ritiene non solo necessario, ma anche bello e opportuno (per questo parlammo di aumento dell’Iva, che porta al pareggio nel 2013, quando ancora il governo era in stato confusionale, guai, però, ad applicare solo misure recessive). Ma se si pensa di preservare la morigeratezza dei costumi mediante l’evirazione (senza alcun riferimento a fattacci di cui son colme le cronache), mi sia consentito garbatamente dissentire.
La Costituzione contiene già l’articolo 81, che prevede la necessaria copertura delle leggi. Lo si rispetti nella sostanza e s’imposti la legge di bilancio senza i trucchi di cui taluni sono specialisti (ad esempio le coperture pluriennali, di cui solo quella del primo anno, la più piccola, è esistente). Si dirà: tedeschi e spagnoli hanno già modificato le loro costituzioni. Vero, ma i tedeschi lo hanno fatto per avere più potere sugli altri europei e gli spagnoli perché con la pistola alla tempia. L’Italia è un Paese più forte, più ricco e fra i fondatori della Comunità europea. Una classe politica più consapevole di ciò rivolgerebbe la canna verso chi ci minaccia.
La cosa singolare è che alcuni ministri, in modo non riservato, hanno più volte lamentato il potere enorme in capo al collega che si occupa d’economia. Con la scusa del bilancio, dicevano, decide tutto lui. Costituzionalizzando il pareggio si rende quel potere assoluto e, per giunta, lo si consegna in gran parte alla Ragioneria Generale dello Stato, ovvero ad un ufficio di cui il ministro stesso e succube. Vero è che si potrebbe prendere la Ragioneria e portarla presso la Presidenza del Consiglio, o spacchettare le competenze dell’economia e affidare la tenuta dei conti ad altro dicastero, ma questo non cambierebbe la qualità e quantità di potere gestito in quegli uffici. Il ministro dell’economia, come un eventuale suo collega, non è il padrone dei conti e spesso non padroneggia i bilanci, con ciò consegnando potere decisionale ad una struttura tecnica.
E non è il solo problema. Fin qui la Corte costituzionale s’è tenuta lontana da decisioni che abbiano diretta rilevanza nelle politica economica e di bilancio. Costituzionalizzando il pareggio si chiama la Corte ad avere competenza anche su tale materia. Forse si dovrebbe guardare con maggiore attenzione a quel che si è appena verificato in Germania, dove i giudici costituzionali avrebbero potuto decidere contro una scelta economica del governo, per giunta con ricadute internazionali e, in ogni caso, hanno deciso loro chi (il Parlamento) è competente a prendere quel tipo di decisioni.
Così come si dovrebbe rammentare la commedia estiva in cui si sono prodotti gli statunitensi, con lo Stato federale che ha rischiato di andare in default non perché mancassero i soldi, ma perché hanno costituzionalizzato il tetto al deficit. Due esempi dai quali non si trae insegnamento.
La keynesiana “Teoria generale” risale al 1936 e al “deficit spending” dobbiamo non poca della ricchezza nella quale viviamo. Certo, quella ricetta non può essere applicata all’infinito e, soprattutto, se ne dovrebbero ricordare gli ingredienti veri (Keynes riteneva utile la spesa pubblica ove indirizzata ad assorbire la disoccupazione residua, non utilizzata dal mercato), ed è non meno certo che la spesa pubblica italiana è divenuta in larga parte improduttiva, quindi causa e non rimedio alla disoccupazione. Ma da qui a tornare ai dogmi di due secoli fa, ci corre!
Se domani un terremoto devastasse una parte del Paese, o se orde fanatiche ci dichiarassero guerra, oltre a toccarci gli attributi per scongiurare sia l’una che l’altra ipotesi, che faremmo? convocheremmo la consulta per sapere se possiamo spendere nella ricostruzione e nella difesa? oppure pretenderemmo che la vita e la sicurezza siano subordinate ai tagli di altre spese? Se invece, come previsto dalla proposta governativa, si fa eccezione per lo stato di necessità (chi lo decide?), allora perché mettere nella Costituzione un vincolo, quindi un principio, derogabile?
A chi ci rispondesse che è prioritario il pareggio e il controllo della spesa pubblica risponderei che qui lo si scrive da molto, e lo si ritiene non solo necessario, ma anche bello e opportuno (per questo parlammo di aumento dell’Iva, che porta al pareggio nel 2013, quando ancora il governo era in stato confusionale, guai, però, ad applicare solo misure recessive). Ma se si pensa di preservare la morigeratezza dei costumi mediante l’evirazione (senza alcun riferimento a fattacci di cui son colme le cronache), mi sia consentito garbatamente dissentire.
La Costituzione contiene già l’articolo 81, che prevede la necessaria copertura delle leggi. Lo si rispetti nella sostanza e s’imposti la legge di bilancio senza i trucchi di cui taluni sono specialisti (ad esempio le coperture pluriennali, di cui solo quella del primo anno, la più piccola, è esistente). Si dirà: tedeschi e spagnoli hanno già modificato le loro costituzioni. Vero, ma i tedeschi lo hanno fatto per avere più potere sugli altri europei e gli spagnoli perché con la pistola alla tempia. L’Italia è un Paese più forte, più ricco e fra i fondatori della Comunità europea. Una classe politica più consapevole di ciò rivolgerebbe la canna verso chi ci minaccia.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.