Il monito di Draghi al Forex di Torino
Conti correnti carissimi
Le nostre banche sono le più esose, non sono concentrate e non reggono la concorrenzadi Davide Giacalone - 07 febbraio 2007
Secondo un’indagine della Commissione Europea il costo medio per il mantenimento di un conto corrente bancario, in Italia, è di 90 euro, mentre la media europea è 14. La Commissione sbaglia, per difetto. Secondo gli accertamenti della Banca d’Italia quel costo è di 163 euro, mentre secondo la nostra Autorità antitrust è di 182. Le banche italiane sono ricche, ma poco popolari, sì da spingere a credere che la loro esosità sia sintomo della loro rapacità. Invece la situazione è peggiore, perché quei costi fuori dal normale e dall’accettabile sono solo un sintomo dell’arretratezza del nostro mercato.
In Italia le banche sono troppe e troppo poco concentrate, il che non spinge, come teoricamente potrebbe supporsi, verso una maggiore concorrenza, quindi maggiori benefici per i clienti, ma conserva l’inefficienza del sistema e rende “naturali” le condotte collusive, con grave danno per l’economia tutta e la clientela in particolare. Già sotto la (troppo partecipe) regia del governatore Fazio si erano realizzate alcune fusioni, ma, come avverte oggi il successore, Mario Draghi, mentre nell’area dell’euro, tra il 2001 ed il 2005, gli operatori bancari sono diminuiti di 900 unità e i primi cinque hanno accresciuto di quattro punti la loro quota di mercato, in Italia è successo l’opposto, segnalandosi una concentrazione in discesa dal 46 al 44 per cento. Sale al 48 nell’ultimo anno, avverte Draghi, e quel che segue segnala il vero problema ed il velenoso riferimento alla SantIntesa voluta da Bazoli e benedetta da Prodi. Se, infatti, i dati segnalano lo spazio e l’opportunità d’ulteriori concentrazioni, il governatore ammonisce che “il consolidamento dell’industria bancaria può e deve produrre una maggiore efficienza degli intermediari, non una minore concorrenza: deve tradursi in prezzi più bassi e migliore qualità dei servizi. I gruppi nati dalle concentrazioni devono dimostrare di essere in grado di ridurre significativamente e rapidamente gli oneri per la clientela”. E’ un avvertimento affatto banale, attenzione. La dispersione delle banche italiane ha una sua lunga storia, ma da tempo crea viscosità, alti costi e bassa concorrenza. Il processo di concentrazione è una buona cosa, ma a patto che non creda di portare i difetti di oggi dentro contenitori più grandi e più forti, perché in questo caso la situazione peggiorerebbe. Ciò è esattamente quel che sta succedendo, perché per molti protagonisti del mondo bancario quel che conta non è il mercato, e men che meno la clientela, ma il potere che si amministra gestendo la ragnatela delle partecipazioni incrociate e la dipendenza dell’industria dal credito. L’una e l’altra cosa sono segno di terribile arretratezza, mettendo in evidenza l’assenza di un moderno mercato dei capitali e del risparmio.
Se vogliamo tenerci l’arretratezza, se vogliamo scivolare sulla dolce tavola del declino, non abbiamo che da continuare con la condotta avviata. Le banche strizzeranno i risparmiatori con una mano, che se lesta può tornare a vendere loro l’invendibile, mentre con l’altra siederanno alla direzione dell’industria, scaleranno le assicurazioni e dedicheranno al Corriere della Sera un’attenzione non letteraria. Intanto il governo sequestra il tfr ai lavoratori, e non per favorire la partenza di nuovi protagonisti nel mercato mobiliare, bensì per finanziare un sistema pensionistico di cui tutti conoscono la debolezza strutturale, ma cui tutti preferiscono far pagare il consenso odierno fregando gli interessi dei pensionati futuri. Per essere sicuri che nulla cambi ci si deve proteggere dallo straniero, e per questo ci si guarda bene dal mettere sul mercato i servizi del Bancoposta, ma se ne prendono i soldi, per il tramite della Cassa Depositi e Prestiti, e li si porta a far società con l’inefficienza del sistema bancario. A qualcuno si darà a bere che servono per le reti (che in qualche caso sarebbe un’ulteriore tragedia), ma con quelli si pagheranno i sacchi di sabbia con cui difendersi dalla piena del mercato. L’acqua entrerà dalla finestra, naturalmente. Il ricatto con cui si tenta di cementare una tale politica d’impossibile conservazione, è il seguente: e che volete, fare entrare gli stranieri? date il credito in mano loro e vi ritroverete senza politica industriale e senza la leva con cui ancora aiutare le aziende italiane, con il che saremo colonizzati. Ora, a parte che siamo dentro l’Unione Europea, il che qualcosa significa, e che, comunque, non è una bella alternativa l’essere svuotati dall’interno, una cosa è sicura: il Paese che tenta di preservare i propri difetti, finanziandoli con soldi che potrebbero andare all’innovazione ed alla produzione, ha già perso prima di competere.
Per queste ragioni l’intervento di Mario Draghi al Forex di Torino, tenutosi sabato scorso, andrebbe letto e riletto, misurando con cura la distanza fra quella consapevolezza e la confusione che regna in politica e non mancando di riflettere sulle sagge parole dedicate all’insopportabile pressione fiscale. I clienti che sperano di pagar meno il conto corrente, il fido, il mutuo, il libretto, devono sapere che è quella la dottrina nella quale sperare, senza credere che siano le bersanate a poter mettere la minestra nel loro piatto.
www.davidegiacalone.it
Pubblicato da Libero del 7 febbraio 2007
In Italia le banche sono troppe e troppo poco concentrate, il che non spinge, come teoricamente potrebbe supporsi, verso una maggiore concorrenza, quindi maggiori benefici per i clienti, ma conserva l’inefficienza del sistema e rende “naturali” le condotte collusive, con grave danno per l’economia tutta e la clientela in particolare. Già sotto la (troppo partecipe) regia del governatore Fazio si erano realizzate alcune fusioni, ma, come avverte oggi il successore, Mario Draghi, mentre nell’area dell’euro, tra il 2001 ed il 2005, gli operatori bancari sono diminuiti di 900 unità e i primi cinque hanno accresciuto di quattro punti la loro quota di mercato, in Italia è successo l’opposto, segnalandosi una concentrazione in discesa dal 46 al 44 per cento. Sale al 48 nell’ultimo anno, avverte Draghi, e quel che segue segnala il vero problema ed il velenoso riferimento alla SantIntesa voluta da Bazoli e benedetta da Prodi. Se, infatti, i dati segnalano lo spazio e l’opportunità d’ulteriori concentrazioni, il governatore ammonisce che “il consolidamento dell’industria bancaria può e deve produrre una maggiore efficienza degli intermediari, non una minore concorrenza: deve tradursi in prezzi più bassi e migliore qualità dei servizi. I gruppi nati dalle concentrazioni devono dimostrare di essere in grado di ridurre significativamente e rapidamente gli oneri per la clientela”. E’ un avvertimento affatto banale, attenzione. La dispersione delle banche italiane ha una sua lunga storia, ma da tempo crea viscosità, alti costi e bassa concorrenza. Il processo di concentrazione è una buona cosa, ma a patto che non creda di portare i difetti di oggi dentro contenitori più grandi e più forti, perché in questo caso la situazione peggiorerebbe. Ciò è esattamente quel che sta succedendo, perché per molti protagonisti del mondo bancario quel che conta non è il mercato, e men che meno la clientela, ma il potere che si amministra gestendo la ragnatela delle partecipazioni incrociate e la dipendenza dell’industria dal credito. L’una e l’altra cosa sono segno di terribile arretratezza, mettendo in evidenza l’assenza di un moderno mercato dei capitali e del risparmio.
Se vogliamo tenerci l’arretratezza, se vogliamo scivolare sulla dolce tavola del declino, non abbiamo che da continuare con la condotta avviata. Le banche strizzeranno i risparmiatori con una mano, che se lesta può tornare a vendere loro l’invendibile, mentre con l’altra siederanno alla direzione dell’industria, scaleranno le assicurazioni e dedicheranno al Corriere della Sera un’attenzione non letteraria. Intanto il governo sequestra il tfr ai lavoratori, e non per favorire la partenza di nuovi protagonisti nel mercato mobiliare, bensì per finanziare un sistema pensionistico di cui tutti conoscono la debolezza strutturale, ma cui tutti preferiscono far pagare il consenso odierno fregando gli interessi dei pensionati futuri. Per essere sicuri che nulla cambi ci si deve proteggere dallo straniero, e per questo ci si guarda bene dal mettere sul mercato i servizi del Bancoposta, ma se ne prendono i soldi, per il tramite della Cassa Depositi e Prestiti, e li si porta a far società con l’inefficienza del sistema bancario. A qualcuno si darà a bere che servono per le reti (che in qualche caso sarebbe un’ulteriore tragedia), ma con quelli si pagheranno i sacchi di sabbia con cui difendersi dalla piena del mercato. L’acqua entrerà dalla finestra, naturalmente. Il ricatto con cui si tenta di cementare una tale politica d’impossibile conservazione, è il seguente: e che volete, fare entrare gli stranieri? date il credito in mano loro e vi ritroverete senza politica industriale e senza la leva con cui ancora aiutare le aziende italiane, con il che saremo colonizzati. Ora, a parte che siamo dentro l’Unione Europea, il che qualcosa significa, e che, comunque, non è una bella alternativa l’essere svuotati dall’interno, una cosa è sicura: il Paese che tenta di preservare i propri difetti, finanziandoli con soldi che potrebbero andare all’innovazione ed alla produzione, ha già perso prima di competere.
Per queste ragioni l’intervento di Mario Draghi al Forex di Torino, tenutosi sabato scorso, andrebbe letto e riletto, misurando con cura la distanza fra quella consapevolezza e la confusione che regna in politica e non mancando di riflettere sulle sagge parole dedicate all’insopportabile pressione fiscale. I clienti che sperano di pagar meno il conto corrente, il fido, il mutuo, il libretto, devono sapere che è quella la dottrina nella quale sperare, senza credere che siano le bersanate a poter mettere la minestra nel loro piatto.
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Pubblicato da Libero del 7 febbraio 2007
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.