Il pareggio di bilancio obbligatorio
Compiti sbagliati
Una pericolosissima fesseria fatta approvare dal Parlamentodi Davide Giacalone - 25 aprile 2012
Siamo rimasti indietro, sembriamo non capire quel che succede. Abbiamo il leader della sinistra che gioisce per il voto francese, largamente di destra ed eurofobo (lo era anche il partito comunista, con rispetto parlando, salvo poi inventarsi la burla che sarebbero stati loro a portarci colà dove non volevano che andassimo). Abbiamo il capo del partitone di centro destra che gioisce perché si rateizza l’Imu, salvo dimenticare che le rate nel corso del medesimo anno con cambiano d’un capello la pressione fiscale, nel mentre passa l’“abuso di diritto”, che seppellisce il diritto, e si penalizzano le famiglie rispetto alle non famiglie. Abbiamo il capo del presunto terzo polo che sa solo dire che Mario Monti deve restare, anche nella prossima legislatura, dimenticando che stiamo facendo i compiti a casa sbagliati (ma non è un problema, per loro, dato che cambiare politica per favorire la propria permanenza è arte cui la scuola democristiana li ha lungamente addestrati). Per vivacizzare questo mortorio delle idee s’usa la polvere bianca delle inchieste e le pillole blu del qualunquismo giustizialista, il che propizia la fine bombastica che un anziano e ricco veneziano ha voluto per sé, nella sempre più evanescente Milano.
In un’Italia in cui, da tempo, non esistono più i partiti non si fa che discutere sui costi dei partiti. In un Paese in cui la classe dirigente ha esaurito le idee non si fa che ribattezzarsi e cambiare nome. Roba d’ispirazione shakespeariana, ove Giulietta sosteneva: se anche la rosa non si chiamasse rosa sarebbe comunque soavemente odorosa. Già, ma se anche cambi nome a quel che fete, non per questo profuma. In tutti i sistemi democratici ci sono quelli che campano parlando male dei partiti e, del resto, il sogno perpetuo degli antidemocratici è chiuderli tutti, ma i costi spaventosi che stiamo pagando sono quelli della non-politica, quelli delle scelte mancate, sbagliate o ritardate. Che la Lega subisca la raspa del pensare e dello strillar leghisteggiante e fonte di possibile trastullo, ma superfluo riguardo i nostri veri problemi.
Nel silenzio generale il nostro Parlamento sta introducendo nella Costituzione la superba fesseria del pareggio di bilancio obbligatorio. Anche questo fa parte dei compiti a casa, sempre più sbagliati. Quel pareggio (posto che l’obbligo di copertura delle spese è in Costituzione fin dal 1948) avrebbe un senso se si cedesse sovranità ad un governo federale europeo incaricato, se necessario, di spendere in deficit. Sarebbe come dire che s’impone il pareggio alle regioni, lasciando al governo centrale il compito d’investine nel superamento degli squilibri, delle arretratezze e delle crisi. Ma non è così, perché noi facciamo gli scolaretti di una Germania che sta guadagnando alla grande grazie all’amministrare una classe differenziale, nella quale autorevoli incapaci s’incaponiscono a impoverirsi pur di lasciarle vantaggi sia commerciali che di finanziamento dei suoi debiti (che, complessivamente considerati, sono pari ai nostri). Per coprire questo madornale errore s’aizza l’opinione pubblica contro la politica, i cui protagonisti, del resto, non meritano d’essere difesi. Avremmo bisogno, come italiani e come europei, dell’esatto contrario: governi autorevoli che impongano all’Unione di cambiare strada. L’elettorato francese s’è dato da fare, e se anche Sarkozy dovesse rimontare (cosa niente affatto esclusa, specie se la Merkel la pianta di appoggiarlo) non potrà non tenere conto del ceffone preso. In Francia non ha preso a spirare il refolo di una nuova sinistra, capace di pensare al futuro come il tempo della ripresa, ha soffiato forte il ventaccio del rifiuto, che travolgerà l’Unione tutta, ove non sia capace di reagire, evitando di divenire la vera vittima di una crisi nata e covata negli Stati Uniti. Quegli elettori si sono scagliati contro tutto: dalla libera circolazione delle persone all’immigrazione, dalle banche alla finanza. Ma lo hanno fatto nell’illusine che si possa far rivivere il passato, appartenente ad un mondo che non c’è più e che non tornerà. Lo hanno fatto coerenti con il loro passato, perché la signora Le Pen ha preso tanti voti, ma papà arrivò al ballottaggio. Lo ripetiamo da mesi: si butti via la torta Sarkel e si chiuda quella pasticceria avvelenatrice. Altro che compiti a casa per essere ammessi a dare una leccata. L’Europa parametrale e bundesbanchizzata porta alla morte dell’Europa, anche per colpa di governi (compreso l’ultimo Berlusconi) che abdicano alla sovranità cedendo al commissariamento. Serve politica che pensi in modo diverso, non tecnocrati che ne gestiscano la tumulazione.
In un’Italia in cui, da tempo, non esistono più i partiti non si fa che discutere sui costi dei partiti. In un Paese in cui la classe dirigente ha esaurito le idee non si fa che ribattezzarsi e cambiare nome. Roba d’ispirazione shakespeariana, ove Giulietta sosteneva: se anche la rosa non si chiamasse rosa sarebbe comunque soavemente odorosa. Già, ma se anche cambi nome a quel che fete, non per questo profuma. In tutti i sistemi democratici ci sono quelli che campano parlando male dei partiti e, del resto, il sogno perpetuo degli antidemocratici è chiuderli tutti, ma i costi spaventosi che stiamo pagando sono quelli della non-politica, quelli delle scelte mancate, sbagliate o ritardate. Che la Lega subisca la raspa del pensare e dello strillar leghisteggiante e fonte di possibile trastullo, ma superfluo riguardo i nostri veri problemi.
Nel silenzio generale il nostro Parlamento sta introducendo nella Costituzione la superba fesseria del pareggio di bilancio obbligatorio. Anche questo fa parte dei compiti a casa, sempre più sbagliati. Quel pareggio (posto che l’obbligo di copertura delle spese è in Costituzione fin dal 1948) avrebbe un senso se si cedesse sovranità ad un governo federale europeo incaricato, se necessario, di spendere in deficit. Sarebbe come dire che s’impone il pareggio alle regioni, lasciando al governo centrale il compito d’investine nel superamento degli squilibri, delle arretratezze e delle crisi. Ma non è così, perché noi facciamo gli scolaretti di una Germania che sta guadagnando alla grande grazie all’amministrare una classe differenziale, nella quale autorevoli incapaci s’incaponiscono a impoverirsi pur di lasciarle vantaggi sia commerciali che di finanziamento dei suoi debiti (che, complessivamente considerati, sono pari ai nostri). Per coprire questo madornale errore s’aizza l’opinione pubblica contro la politica, i cui protagonisti, del resto, non meritano d’essere difesi. Avremmo bisogno, come italiani e come europei, dell’esatto contrario: governi autorevoli che impongano all’Unione di cambiare strada. L’elettorato francese s’è dato da fare, e se anche Sarkozy dovesse rimontare (cosa niente affatto esclusa, specie se la Merkel la pianta di appoggiarlo) non potrà non tenere conto del ceffone preso. In Francia non ha preso a spirare il refolo di una nuova sinistra, capace di pensare al futuro come il tempo della ripresa, ha soffiato forte il ventaccio del rifiuto, che travolgerà l’Unione tutta, ove non sia capace di reagire, evitando di divenire la vera vittima di una crisi nata e covata negli Stati Uniti. Quegli elettori si sono scagliati contro tutto: dalla libera circolazione delle persone all’immigrazione, dalle banche alla finanza. Ma lo hanno fatto nell’illusine che si possa far rivivere il passato, appartenente ad un mondo che non c’è più e che non tornerà. Lo hanno fatto coerenti con il loro passato, perché la signora Le Pen ha preso tanti voti, ma papà arrivò al ballottaggio. Lo ripetiamo da mesi: si butti via la torta Sarkel e si chiuda quella pasticceria avvelenatrice. Altro che compiti a casa per essere ammessi a dare una leccata. L’Europa parametrale e bundesbanchizzata porta alla morte dell’Europa, anche per colpa di governi (compreso l’ultimo Berlusconi) che abdicano alla sovranità cedendo al commissariamento. Serve politica che pensi in modo diverso, non tecnocrati che ne gestiscano la tumulazione.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.