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Crack in Sicilia

Colpe sicule

L’autonomismo siculo è un feticcio pericoloso. La storia è storia, ma la realtà è uno schifo.

di Davide Giacalone - 20 luglio 2012

Sono un siciliano che non ritiene l’isola e gli isolani debbano essere abbandonati alle loro colpe. Non lo meritano più del resto d’Italia. Non coltivo il senso di colpa dell’emigrato, sicché si debba maledire il presente per potere glorificare il passato e l’anima. Credo che nel passato siciliano ci sia marcio a volontà, come nel presente forze sane su cui puntare. E sono un osservatore disincantato quanto basta per vedere che le colpe di Raffaele Lombardo sono immense, che il bilancio regionale è falso nei suoi aspetti commendevoli e terribilmente vero in quelli vergognosi, ma che è troppo comodo cercare di scaricare tutte le colpe su di lui. Con lui deve andarsene tutta intera una classe dirigente siciliana, e non solo politica. Ho da fare delle proposte, in tal senso. La colpa dei siciliani è credere che si possa vivere più di spesa pubblica che di mercato, che l’intermediazione regionale eviti abusi di forza, che la classe dirigente debba, per questo, essere blandita e ossequiata, che si possa continuare a campare di debiti e trucchi. Ora mettere “italiani” al posto di “siciliani”, mettete “statale” al posto di “regionale” e guardatevi, guardiamoci, allo specchio. C’è l’Italia che corre, così come la Sicilia che corre. Un mondo d’imprese, professioni e lavoratori, di competenze ed eccellenze, che ancora ci tiene a galla e ci fa apprezzare nel mondo, ma li stiamo scarnificando con l’idrovora fiscale, la cappa burocratica, l’inettitudine politica. La Sicilia è l’Italia moltiplicato dieci. Per questo è illusorio credere che bastino i governi commissariali. Si deve passare il potere a quelli che corrono. Vediamo come. Lombardo è protagonista di una stagione e di governi pessimi, ma se ora tutti lo attaccano è perché i tre partiti più rappresentativi hanno paura delle elezioni, inevitabilmente innescate dalle sue dimissioni, sadicamente annunciate. Capirei dicessero: vanno fermate perché deve andare avanti il processo di revisione costituzionale (con riduzione della rappresentanza). Ma non lo dicono, hanno solo paura. E hanno ragione, perché Lombardo è nato dalla precedente gestione di Salvatore Cuffaro, anima e pilastro elettorale dell’Udc. Pier Ferdinando Casini può fare il burbero quanto gli pare, ma è ridicolo immagini tale verità possa essere dimenticata: è figlio suo. Lo ebbe dal matrimonio con il Pdl, che lo votò, come votò il predecessore. Fu Lombardo a sbarcarli, mica loro ad andare via. Il Pdl si spaccò e l’appoggio a Lombardo fu garantito da Gianfranco Micciché. Sarà grande il suo Sud, ma anche il trasformismo non scherza. Quindi giunsero i nuovi lombardisti, organizzati dal Partito democratico di Giuseppe Lumia. Un trionfo d’antimafiosità da strapazzo politico, opportunamente coadiuvata da procuratori in servizio. Certo, i siciliani hanno le loro colpe, ma questa robaccia fu coperta da Casini, da Silvio Berlusconi, da Gianfranco Fini e da Pier Luigi Bersani. Nessuno sconfessò i potentati locali. Vengo alle proposte. 1. Non prendiamoci in giro con la certificazione del bilancio, che sarebbe (secondo Lombardo) stata data dalla Corte dei conti, perché quella Corte non certifica un accidente e, come si dimostra, in quelle relazioni ciascuno legge quello che gli pare. Nessuno sa cosa c’è veramente dentro il bilancio regionale e le poste segnate all’attivo, ove inesigibili o non dovute, sono dei falsi. Quindi: si chieda una seria due diligence. Conoscere per tagliare e riformare. Operazione trasparenza contabile (almeno quella). 2. I guasti del bilancio, e i 400 milioni dati in sala rianimazione, dimostrano la pericolosità della separazione fra chi tassa e chi spende. Vale per tutti, non solo per la Sicilia, ed è tema da riforma costituzionale. Inutile cincischiare, ciascuno dica se è favorevole o contrario. 3. L’autonomismo siculo è un feticcio pericoloso. La storia è storia, ma la realtà è uno schifo. Deve essere rideclinato nella riforma costituzionale, restituendo ai siciliani la responsabilità di amministrare la loro ricchezza, e far fronte alle loro povertà. 4. Lombardo se ne va, lasciandosi alle spalle macerie, miseria amministrativa, clientelismo e voltagabbanismo. Amen. Ma le forze politiche che lo hanno generato e mantenuto al potere credono veramente di potersi salvare solo ritardando il momento della conta elettorale? La rottura deve essere profonda, allontanando l’intera classe dirigente che ha avuto parte in questa orrida farsa. I partiti che non ci riusciranno è giusto che affondino. Intanto in Sicilia, subito dopo in tutta Italia. In quanto ai siciliani: forse non piacerà loro (a noi) essere descritti come plebei immorali, disposti a tutto per avere una scodellata di minestra pubblica, propiziatrice di povertà futura. E’ ingiusto, certamente. E’ ora, però, che facciano sentire non solo l’indignazione, ma anche la reazione.

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