La minaccia delle dimissioni
Colle troppo alto
Con Napolitano il Capo dello Stato è diventato quasi un monarca. Guida la politica ma è costituzionalmente irresponsabiledi Davide Giacalone - 02 dicembre 2013
E’ stato Giorgio Napolitano, il giorno del suo reinsediamento, a porre il tema delle possibili dimissioni. E’ un dato politico (e istituzionale) imprescindibile. Se ne ricordino, i tanti ipocriti che credono il Quirinale sia una specie di teocrazia. In gran parte gli stessi che di altri presidenti sostennero il peggio, dissero l’inammissibile (falso) e chiesero la messa in stato d’accusa. Le dimissioni furono paventate quale strumento per accrescere il potere presidenziale. Ora, però, è necessario considerare quali sono i risultati di quel potere, gli effetti di quel ruolo accresciuto. E il bilancio è negativo.
Il Colle è divenuto troppo alto. Napolitano guida i passaggi della vita politica, e determina i ritmi di quella istituzionale, con mano esperta. Ma tanto potere è esercitato da chi è costituzionalmente irresponsabile. I governi cadono. I partiti prendono o perdono voti. Il presidente della Repubblica, invece, è intoccabile. Questo crea una criticità pericolosa, ora che è giunto alla massima estensione quel potere “elastico”, descritto da Piero Calamandrei già al sorgere dell’alba costituzionale.
L’attuale inquilino del Colle è uomo forgiato da lunghissimi anni di militanza, passati per la gran parte a subire e applicare scelte del suo partito, quello comunista, che non condivideva. Ha l’astuzia istituzionale di chi non ha mai dovuto direttamente misurarsi con il consenso popolare. Ha la prudenza che copre la riluttanza ad esporsi al pericolo. Eppure egli sa che il Colle corre un grande pericolo. Se ne vedono i contorni osservando sia la vicenda di Silvio Berlusconi che quella del governo Letta.
Non condivido le critiche che sono state mosse al Quirinale, accusato di non essere intervenuto con la grazia. Può darla senza alcuna formalità. Non è subordinata né a richiesta né a pentimento (la sola idea fa venire i brividi). Avrebbe fatto meglio a tacere, a non lanciarsi nel battibecco dei comunicati stampa, ma credo mancassero le condizioni perché fosse data. Gli altri procedimenti penali innescavano una terribile obbligazione alla reiterazione, o ne rendevano inutile la concessione. Eppure il presidente si espose: prima della cassazione disse che i giudici, applicando la legge, devono tenere conto delle conseguenze. Principio bislacco, ma politicamente chiaro. Come in altri casi, come in quelli che lo riguardano direttamente, i citati giudici fecero finta di non capire. Il potentissimo Colle batte ripetutamente il cranio contro l’unico potere totalmente autoreferente. Un potere che la Costituzione non vuole tale. Anche in ragione di ciò, credo che, dopo la rielezione, ha mancato l’occasione per chiudere decentemente una pagina di storia nazionale, nominando senatori a vita gli unici due vincitori della perdente seconda Repubblica. Non ne ebbe il coraggio. Poi coprì la cosa nominando senatori a vita (altro retaggio monarchico, come la grazia) in modo arrogante e dissennato.
Dopo il ritiro della fiducia i rappresentanti di Forza Italia sono andati al Colle, chiedendo che si aprisse formalmente la crisi. Pensano di avergli strappato il dibattito parlamentare, invece sono stati stracciati dalla maggiore avvedutezza. Il dibattito non è una concessione, ma una convenienza. Il giorno del ritiro della fiducia il governo Letta già la riottenne. La cosa poteva anche finire lì. Ma se fossero andati avanti per inerzia, come ‘a criatura forse immaginava, il meccanismo si sarebbe prestissimo inceppato. Il creatore lo sa: dopo pochi giorni sarebbe arrivata la mozione di sfiducia al ministro Cancellieri (che è una specie di sfiducia nel Quirinale), mentre erano già arrivate le mani avanti di Matteo Renzi. Sicché: prima si fa, un bel dibattito sulla fiducia, più l’esito è scontato, il governo rinovellato e l’opposizione accontentata. Bingo. Di più: la fiducia verrà chiesta con Renzi segretario, così ti voglio vederlo a ritirarla dopo una settimana. Tombola. Singolare il fantolino: gli chiedono se si presenterà dimissionario e risponde che starà a sentire quel che suggerisce il genitore. Fate ciao ciao alla Costituzione.
Ma questa è politica politicante. La sostanza è altra. Fu il Colle a volere Mario Monti, non insensibile, come ci dice anche José Luis Rodriguez Zapatero, allora capo del governo spagnolo, a indicazioni provenienti da altre cancellerie e dal Fondo monetario internazionale (a sua volta destabilizzato). Il risultato è stato: più recessione e maggiore peso del debito pubblico. Non colpe di Monti, ma risultati oggettivi. E’ stato il Colle a insediare Enrico Letta, dando una lettura molto personale delle larghe intese (e dopo una rielezione la cui storia non è certo quella fumettistica e melodrammatica che viene raccontata). Ed è dal Colle che s’è gestita la regia delle varie rotture, nel centro destra. Dopo avere commissariato il Partito democratico. A compimento del disegno, però, i conti economici non tornano ed è pure comparsa la scellerata idea di fare della Banca d’Italia una public company. Chi risponde di tale disfacimento? Non l’artefice, perché è irresponsabile.
Qui non è questione né di schieramenti né di simpatie o antipatie. Il fatto è che il dettato costituzionale è sottoposto a un dilaniamento eccessivo. Il senso stesso delle minacciate dimissioni cambia e si capovolge con l’estromissione di Berlusconi e l’ascesa di Renzi. Oggi chi minaccia, posto che gli astanti d’allora non ci sono più? Prende in ostaggio l’Italia? Quell’ipotesi, nata sul Colle, sarebbe l’ammissione di un fallimento. Ma senza che nessuno ne risponda.
Mentre i commentatori arrivano in ritardo ad accorgersi del Quirinale monarchico (e sbagliano, perché il re aveva meno poteri), la testa che ora si trova sotto la corona repubblicana coltiva molti dubbi e paure. Continua a invocare riforme che non sono all’orizzonte e cerca di scaricarne altrove la colpa. Sa che l’elastico è giunto al punto di rottura. Ma non trova il modo per rilasciarlo con delicatezza. Il che non potrà avvenire in questa legislatura. La cui durata, inchiodata al semestre di presidenza Ue, è un azzardo forse eccessivo.
Il Colle è divenuto troppo alto. Napolitano guida i passaggi della vita politica, e determina i ritmi di quella istituzionale, con mano esperta. Ma tanto potere è esercitato da chi è costituzionalmente irresponsabile. I governi cadono. I partiti prendono o perdono voti. Il presidente della Repubblica, invece, è intoccabile. Questo crea una criticità pericolosa, ora che è giunto alla massima estensione quel potere “elastico”, descritto da Piero Calamandrei già al sorgere dell’alba costituzionale.
L’attuale inquilino del Colle è uomo forgiato da lunghissimi anni di militanza, passati per la gran parte a subire e applicare scelte del suo partito, quello comunista, che non condivideva. Ha l’astuzia istituzionale di chi non ha mai dovuto direttamente misurarsi con il consenso popolare. Ha la prudenza che copre la riluttanza ad esporsi al pericolo. Eppure egli sa che il Colle corre un grande pericolo. Se ne vedono i contorni osservando sia la vicenda di Silvio Berlusconi che quella del governo Letta.
Non condivido le critiche che sono state mosse al Quirinale, accusato di non essere intervenuto con la grazia. Può darla senza alcuna formalità. Non è subordinata né a richiesta né a pentimento (la sola idea fa venire i brividi). Avrebbe fatto meglio a tacere, a non lanciarsi nel battibecco dei comunicati stampa, ma credo mancassero le condizioni perché fosse data. Gli altri procedimenti penali innescavano una terribile obbligazione alla reiterazione, o ne rendevano inutile la concessione. Eppure il presidente si espose: prima della cassazione disse che i giudici, applicando la legge, devono tenere conto delle conseguenze. Principio bislacco, ma politicamente chiaro. Come in altri casi, come in quelli che lo riguardano direttamente, i citati giudici fecero finta di non capire. Il potentissimo Colle batte ripetutamente il cranio contro l’unico potere totalmente autoreferente. Un potere che la Costituzione non vuole tale. Anche in ragione di ciò, credo che, dopo la rielezione, ha mancato l’occasione per chiudere decentemente una pagina di storia nazionale, nominando senatori a vita gli unici due vincitori della perdente seconda Repubblica. Non ne ebbe il coraggio. Poi coprì la cosa nominando senatori a vita (altro retaggio monarchico, come la grazia) in modo arrogante e dissennato.
Dopo il ritiro della fiducia i rappresentanti di Forza Italia sono andati al Colle, chiedendo che si aprisse formalmente la crisi. Pensano di avergli strappato il dibattito parlamentare, invece sono stati stracciati dalla maggiore avvedutezza. Il dibattito non è una concessione, ma una convenienza. Il giorno del ritiro della fiducia il governo Letta già la riottenne. La cosa poteva anche finire lì. Ma se fossero andati avanti per inerzia, come ‘a criatura forse immaginava, il meccanismo si sarebbe prestissimo inceppato. Il creatore lo sa: dopo pochi giorni sarebbe arrivata la mozione di sfiducia al ministro Cancellieri (che è una specie di sfiducia nel Quirinale), mentre erano già arrivate le mani avanti di Matteo Renzi. Sicché: prima si fa, un bel dibattito sulla fiducia, più l’esito è scontato, il governo rinovellato e l’opposizione accontentata. Bingo. Di più: la fiducia verrà chiesta con Renzi segretario, così ti voglio vederlo a ritirarla dopo una settimana. Tombola. Singolare il fantolino: gli chiedono se si presenterà dimissionario e risponde che starà a sentire quel che suggerisce il genitore. Fate ciao ciao alla Costituzione.
Ma questa è politica politicante. La sostanza è altra. Fu il Colle a volere Mario Monti, non insensibile, come ci dice anche José Luis Rodriguez Zapatero, allora capo del governo spagnolo, a indicazioni provenienti da altre cancellerie e dal Fondo monetario internazionale (a sua volta destabilizzato). Il risultato è stato: più recessione e maggiore peso del debito pubblico. Non colpe di Monti, ma risultati oggettivi. E’ stato il Colle a insediare Enrico Letta, dando una lettura molto personale delle larghe intese (e dopo una rielezione la cui storia non è certo quella fumettistica e melodrammatica che viene raccontata). Ed è dal Colle che s’è gestita la regia delle varie rotture, nel centro destra. Dopo avere commissariato il Partito democratico. A compimento del disegno, però, i conti economici non tornano ed è pure comparsa la scellerata idea di fare della Banca d’Italia una public company. Chi risponde di tale disfacimento? Non l’artefice, perché è irresponsabile.
Qui non è questione né di schieramenti né di simpatie o antipatie. Il fatto è che il dettato costituzionale è sottoposto a un dilaniamento eccessivo. Il senso stesso delle minacciate dimissioni cambia e si capovolge con l’estromissione di Berlusconi e l’ascesa di Renzi. Oggi chi minaccia, posto che gli astanti d’allora non ci sono più? Prende in ostaggio l’Italia? Quell’ipotesi, nata sul Colle, sarebbe l’ammissione di un fallimento. Ma senza che nessuno ne risponda.
Mentre i commentatori arrivano in ritardo ad accorgersi del Quirinale monarchico (e sbagliano, perché il re aveva meno poteri), la testa che ora si trova sotto la corona repubblicana coltiva molti dubbi e paure. Continua a invocare riforme che non sono all’orizzonte e cerca di scaricarne altrove la colpa. Sa che l’elastico è giunto al punto di rottura. Ma non trova il modo per rilasciarlo con delicatezza. Il che non potrà avvenire in questa legislatura. La cui durata, inchiodata al semestre di presidenza Ue, è un azzardo forse eccessivo.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.