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La "presunta Trattativa"

Colle chiama procura

Il Capo dello Stato aveva ragione nella sostanza. Ma avrebbe dovuto ricorrere al Csm

di Davide Giacalone - 30 agosto 2012

Giorgio Napolitano alzò il telefono e chiamò il capo della procura di Caltanissetta, caldeggiando l’applicazione di un magistrato, Ilda Bocassini, all’inchiesta sulla strage di via D’Amelio, organizzata per ammazzare Paolo Borsellino. Ben di più, quindi, di quel che Loris D’Ambrosio propose a Nicola Mancino di fare, dopo che il secondo aveva chiamato il Quirinale per lamentarsi delle inchieste in corso a Palermo.

La notizia è diffusa da Lettera43, sito d’informazioni diretto da Paolo Madron. La telefonata risale a tre anni fa, quindi non si riferisce all’inchiesta originaria (quando Bocassini si trovava già presso quella procura), ma a quella che si dovette riaprire quando si scoprì che la prima, già coronata da sentenze definitive, era una bufala, insufflata da un improbabilissimo pentito, di nome Vincenzo Scarantino. Che non fosse credibile lo abbiamo scritto in pochi, mentre gli altri erano tutti occupati a far confusione fra realtà, storia e sentenze, e lo scrivemmo prima dell’arrivo di Gaspare Spatuzza (altro pentito) che ne smontò le rivelazioni. Ma la prima a scriverlo, sebbene ai colleghi, fu proprio lei: Ilda Bocassini.

Perché il presidente della Repubblica ha sentito il bisogno di chiamare il capo della procura nissena, Sergio Lari, per spingerlo a richiamare proprio quel magistrato? Evidentemente perché anche dal Colle si sono accorti che aveva ragione. Ma non basta, perché di quella telefonata, in effetti, non ci sarebbe stato bisogno, dato che il coordinamento delle indagini fa capo alla procura nazionale antimafia, retta, allora come oggi, da Piero Grasso, il quale condivideva quell’idea e spingeva a sua volta per richiamare a quel servizio Bocassini. Che bisogno c’era che Napolitano s’esponesse in prima persona? Evidentemente la forza della legge non era bastevole a Grasso, e questo è già un punto significativo.

Una pressione così alta e autorevole ottenne il risultato? No. Napolitano e Grasso chiesero quel che non ottennero. Per dar loro torto la procura di Caltanissetta trovò un modo proceduralmente ineludibile: visto che Bocassini aveva messo per iscritto il suo dissenso dal modo in cui era gestito Scarantino, visto che aveva, per tempo, sostenuto la sua non credibilità, effettivamente inesistente, i colleghi pensarono bene di convocarla quale persona informata dei fatti e di assumere a verbale le sue dichiarazioni, con il che era escluso che potesse occuparsene stando anche dall’altra parte del tavolo.

Ultima domanda: perché i nisseni si danno da fare per negare quel che viene loro chiesto, per giunta da un loro superiore gerarchico (dal punto di vista del coordinamento) e dal capo dello Stato? Possiamo solo dare il contesto, nel quale iscrivere la risposta: accertato che Scarantino aveva menato tutti per il naso, stabilito che appresso alle sue parole s’erano persi anni d’indagini inutili e depistanti, appurato che l’uomo ha una stoffa così logora e sudicia che per credergli occorre molta fede, oltre tutto in totale assenza di riscontri, resta da stabilire chi gli fornì la versione da dare e per quale motivo, per coprire altre piste o solo per far bella figura? Indagare questo aspetto, comunque, comporta un problema per chi non solo condusse le prime indagini ma sostenne ripetutamente l’accusa in dibattimento, ottenendo condanne fondate su delle balle così grosse che anche noi, artigianalmente, fummo in grado di denunciarle.

Resta una questione formale, non trascurabile: poteva, Napolitano, fare quella telefonata? Da quel che ho appena scritto s’intuisce che penso avesse ragione, ma resta il fatto che altre erano le istituzioni preposte a intervenire. Ma c’è di più: una volta incassata la sconfitta avrebbe dovuto sollevare la questione nel luogo preposto, ovvero al Consiglio superiore della magistratura, che presiede, perché la faccenda, a quel punto, atteneva proprio al rispetto delle leggi e alla necessità che fosse rispettato il ruolo del procuratore generale antimafia. O, al contrario, avrebbe dovuto ammettere di avere torto e d’essere intervenuto a sproposito. Propendo per la prima ipotesi, ma credo che queste storie debbano essere pubblicamente discusse, perché il marcio di quella stagione non può essere seppellito senza essere digerito. Altrimenti tornerà sempre a gola, con effetti sgradevolissimi.

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