Le opportunità da cogliere e non da temere
Cina e India all’assalto dell’occidente
Il ruolo dell’Unione europea nello sviluppo delle economie asiatichedi Antonio Picasso - 14 giugno 2005
Se Cina e India, prese da sole, ci fanno tremare, peggio sarebbe se si mettessero assieme e decidessero di sfidare l’occidente. D’altra parte però, è giusto averne paura? È corretto e sensato continuare a guardare a Oriente, aspettando l’inizio di un incubo, senza far nulla? Pechino e New Delhi ci stanno rovinando il sonno, perché le loro temute potenzialità ora si stanno rivelando come ostacoli difficili da superare. Con oltre il 40% della popolazione mondiale, quasi 2,5 miliardi di persone, i due colossi costituiscono un blocco senza precedenti. Due mostri adagiati su un territorio appena più piccolo di quello russo e ricco di materie prime e risorse di ogni tipo. Su tutto ciò, la stampa occidentale si è concentrata, assumendo toni allarmistici e traendo conclusioni preoccupanti. È convinzione comune, infatti, che l’Europa, con l’Italia in prima fila, non abbia la vitalità adeguata per fronteggiare queste due potenze emergenti. Di conseguenza, una prima e impulsiva risoluzione del problema è stata quella di ricorrere a delle barriere commerciali, imponendo un sistema economico protezionistico. Un atteggiamento incongruente con lo spirito liberale e liberista che, da sempre, ha ispirato le decisioni dell’Ue, ma soprattutto inefficace, visto che si tratta di combattere in un mercato globale con delle armi antiquate.
Allora, tornando alla domanda iniziale: è giusto aver paura della “CinIndia” (così chiamava la partnership asiatica Francesco Sisci sulla Stampa, settimane fa)? Certo, i numeri sono quelli che sono. Le economie, cinese e indiana, sono entrambe sostenute da un ritmo di crescita invidiabile e impareggiabile. Oltre il 9 per cento l’anno è il trend positivo del pil cinese, il 7 per cento quello indiano. E i progetti di collaborazione tra i due Paesi fanno ancora più clamore. Dalla fine degli anni Ottanta, per esempio, il commercio bilaterale ha preso quasi a raddoppiare di anno in anno. Nel 2004 l’India è stato il nono partner commerciale della Cina, per un totale di 13,6 miliardi di dollari; e la Cina è stato il secondo partner commerciale dell’India. Il tasso di crescita dei loro scambi è stato del 79 per cento. La lettura di queste percentuali, in effetti, può mozzare il fiato. Quindi, dimostrato che è lecito aver paura, diventa quanto mai essenziale e urgente determinare come piantarla con questo tremore e affrontare il problema da superpotenza che si rispetti, quale l’Unione europea è. Per prima cosa bisogna rendersi conto che Cina e India sono sì due avversari, ma anche due opportunità. Due territori dove esportare una cultura economica e politica fondate sul mercato e su uno Stato democratico. Entrambi i Paesi, infatti, dimostrano vistose falle in merito. Perché la Cina aspira a un processo di democratizzazione che le permetterebbe di adeguarsi al suo stesso sistema economico capitalistico. L’India, a sua volta, è una democrazia di un miliardo di anime, la più grande del mondo, ma fondata su una base economica e sociale ormai anacronistica. Certo, sia a Pechino e che a New Delhi i rispettivi governi si stanno adoperando per un piano di riforme. Ma questo non basta. Affinché i due giganti riescano nei loro progetti è obbligatoria la collaborazione con chi di democrazia e capitalismo ha fatto tesoro. E nessuno meglio dell’Europa potrebbe svolgere questo ruolo. Il problema, però, è l’ordine sparso con cui si muovono gli Stati membri dell’Ue. E se su questa strada si dovesse continuare, stiamo pur sicuri che si dovranno affrontare problemi di posizionamento. Perché, a quel punto, Cine a India non ci metterebbero molto a scalzarci dalla posizione di secondo piano, dopo gli Usa, che l’Europa ha sull’asse mondiale.
Allora, tornando alla domanda iniziale: è giusto aver paura della “CinIndia” (così chiamava la partnership asiatica Francesco Sisci sulla Stampa, settimane fa)? Certo, i numeri sono quelli che sono. Le economie, cinese e indiana, sono entrambe sostenute da un ritmo di crescita invidiabile e impareggiabile. Oltre il 9 per cento l’anno è il trend positivo del pil cinese, il 7 per cento quello indiano. E i progetti di collaborazione tra i due Paesi fanno ancora più clamore. Dalla fine degli anni Ottanta, per esempio, il commercio bilaterale ha preso quasi a raddoppiare di anno in anno. Nel 2004 l’India è stato il nono partner commerciale della Cina, per un totale di 13,6 miliardi di dollari; e la Cina è stato il secondo partner commerciale dell’India. Il tasso di crescita dei loro scambi è stato del 79 per cento. La lettura di queste percentuali, in effetti, può mozzare il fiato. Quindi, dimostrato che è lecito aver paura, diventa quanto mai essenziale e urgente determinare come piantarla con questo tremore e affrontare il problema da superpotenza che si rispetti, quale l’Unione europea è. Per prima cosa bisogna rendersi conto che Cina e India sono sì due avversari, ma anche due opportunità. Due territori dove esportare una cultura economica e politica fondate sul mercato e su uno Stato democratico. Entrambi i Paesi, infatti, dimostrano vistose falle in merito. Perché la Cina aspira a un processo di democratizzazione che le permetterebbe di adeguarsi al suo stesso sistema economico capitalistico. L’India, a sua volta, è una democrazia di un miliardo di anime, la più grande del mondo, ma fondata su una base economica e sociale ormai anacronistica. Certo, sia a Pechino e che a New Delhi i rispettivi governi si stanno adoperando per un piano di riforme. Ma questo non basta. Affinché i due giganti riescano nei loro progetti è obbligatoria la collaborazione con chi di democrazia e capitalismo ha fatto tesoro. E nessuno meglio dell’Europa potrebbe svolgere questo ruolo. Il problema, però, è l’ordine sparso con cui si muovono gli Stati membri dell’Ue. E se su questa strada si dovesse continuare, stiamo pur sicuri che si dovranno affrontare problemi di posizionamento. Perché, a quel punto, Cine a India non ci metterebbero molto a scalzarci dalla posizione di secondo piano, dopo gli Usa, che l’Europa ha sull’asse mondiale.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.