Siamo un Paese di un’autocrazia di stampo arabeggiante?
Cattiva Lex
Cari britannici attenti a non cadere in trappole tendenziosedi Davide Giacalone - 21 febbraio 2011
Sarà bene che i signori del Financial Times leggano le memorie di Tony Blair, già loro primo ministro, e le sue ultime dichiarazioni sulla vita politica italiana. Non cambieranno idea, né glielo chiediamo, ma nel servire gli interessi di chi punta a fregare il nostro Paese si mostreranno un filino meno rozzi. Quelli di loro che hanno la fortuna di far i corrispondenti dall’Italia, inoltre, farebbero bene a leggere non solo i pettegolezzi e a frequentare non solo i salottini luogocomunisti, ma a prestare attenzione alla cultura e alla libertà di chi non solo non nasconde i problemi (profondi) del nostro mondo politico, ma, anzi, pesta su quelli con forza e costanza. Senza, però, cadere nella trappola per stupidi che s’atteggiano a puri, ovvero credere che tutto si riduce a togliere di mezzo Silvio Berlusconi.
Nella Lex Column, autorevole rubrica del quotidiano inglese, ho letto cose che dovrebbero sollecitare la reazione di tutti, avversari del governo compresi. L’Italia, si dice, è divenuta un’autocrazia di stampo arabeggiante, un Paese la cui cultura è divorata dalla corruzione e dalla criminalità organizzata. La nostra è una democrazia, gentili signori, e il governo in carica, quale che sia il giudizio che ciascuno ha diritto d’esprimere, ha vinto le elezioni europee e quelle amministrative, dopo le politiche (mentre l’accordo con la mafia lo fece un governo che a voi piaceva moltissimo, e ancora ne piangete, assieme alla comunità degli affari, la scomparsa).
Il vostro governo, per dirne una, le ha perse tutte, tanto che è cambiato. Né le sconfitte elettorali sono estranee al nostro costume, perché dal 1994 ad oggi il governo non ha mai vinto le elezioni politiche successive. Sostenete ancora lo sproposito che avete scritto?
A dimostrazione del nostro decadere arabeggiante ci sarebbero le politiche condotte nei confronti di Gheddafi e Mubarak. Ora, a parte il fatto che nessuno dei due è arabo (suvvia, oh eredi di una tradizione imperiale e colonialista!), vorrei fare osservare che il governo inglese restituì, in pompa magna, a quello libico l’autore di un attentato aereo, in cambio di una piattaforma petrolifera alla BP (British Petroleum).
E vorrei ricordare che Hosni Mubarak è stato a lungo uno dei garanti della sicurezza d’Israele, che si trova in quell’area in cui il colonialismo inglese combinò qualche guaio. Si desidera sapere: i Fratelli Mussulmani son forse migliori del rais? Domanda oziosa, come sapete, perché il potere resta ai militari. Ma, appunto, sfugge il senso di un accostamento che, per non pochi aspetti, dovrebbe essere letto come un complimento. In quanto a politica estera, mi sovviene che in Iraq e Afghanistan siamo andati assieme. Fu una giusta scelta, penso, sempre che a voi non sembri più a modino il fondamentalismo e il dispotismo antiisraeliano.
La nostra sarebbe una “gerontocrazia”. E qui concorderemmo se vi riferiste al fatto che il nostro sistema s’è bloccato, i giovani sono esclusi, gli ascensori sociali si sono fermati. Lo abbiamo scritto molte volte. Ma a voi interessa solo la data di nascita di Berlusconi, al qual proposito vi segnalo un dato terrificante: gli mancano ancora quattro anni prima di raggiungere l’età in cui Ronald Reagan lasciò la (potente) presidenza. Converrete che il “vecchio” fece un lavoro eccellente.
Ma veniamo al dunque: viviamo tempi difficili e l’asse franco-tedesco toglie peso, in Europa, agli altri Paesi, inoltre gli inglesi vogliono contare molto nella scelta del nuovo vertice della Bce, facendo finta di dimenticare che quella è la banca dell’Euro, valuta che non è la loro. Inoltre è aperta una dura partita energetica: noi italiani, come i tedeschi, tendiamo a diminuire la dipendenza da una sola fonte o un solo fornitore, mentre i francesi producono molto con l’atomo, il che, fatalmente, disunisce il valore del petrolio inglese (che tanto è costato, lo abbiamo visto, in quattrini ed onore).
Le banche inglesi, si aggiunga, sono fra quelle la cui disciplina è stata meno virtuosa, quindi fra le più esposte ai rischi e le più costose per l’erario. Tutto questo è complicato, ma cercare di rimediare provando ad attaccare e demolire le istituzioni altrui, cercando di esportare i problemi e importare bottini, non è politica saggia e lungimirante. Lo scriviamo, se è concesso, da cultori e ammiratori della storia dell’impero britannico.
Pubblicato da Il Tempo
Nella Lex Column, autorevole rubrica del quotidiano inglese, ho letto cose che dovrebbero sollecitare la reazione di tutti, avversari del governo compresi. L’Italia, si dice, è divenuta un’autocrazia di stampo arabeggiante, un Paese la cui cultura è divorata dalla corruzione e dalla criminalità organizzata. La nostra è una democrazia, gentili signori, e il governo in carica, quale che sia il giudizio che ciascuno ha diritto d’esprimere, ha vinto le elezioni europee e quelle amministrative, dopo le politiche (mentre l’accordo con la mafia lo fece un governo che a voi piaceva moltissimo, e ancora ne piangete, assieme alla comunità degli affari, la scomparsa).
Il vostro governo, per dirne una, le ha perse tutte, tanto che è cambiato. Né le sconfitte elettorali sono estranee al nostro costume, perché dal 1994 ad oggi il governo non ha mai vinto le elezioni politiche successive. Sostenete ancora lo sproposito che avete scritto?
A dimostrazione del nostro decadere arabeggiante ci sarebbero le politiche condotte nei confronti di Gheddafi e Mubarak. Ora, a parte il fatto che nessuno dei due è arabo (suvvia, oh eredi di una tradizione imperiale e colonialista!), vorrei fare osservare che il governo inglese restituì, in pompa magna, a quello libico l’autore di un attentato aereo, in cambio di una piattaforma petrolifera alla BP (British Petroleum).
E vorrei ricordare che Hosni Mubarak è stato a lungo uno dei garanti della sicurezza d’Israele, che si trova in quell’area in cui il colonialismo inglese combinò qualche guaio. Si desidera sapere: i Fratelli Mussulmani son forse migliori del rais? Domanda oziosa, come sapete, perché il potere resta ai militari. Ma, appunto, sfugge il senso di un accostamento che, per non pochi aspetti, dovrebbe essere letto come un complimento. In quanto a politica estera, mi sovviene che in Iraq e Afghanistan siamo andati assieme. Fu una giusta scelta, penso, sempre che a voi non sembri più a modino il fondamentalismo e il dispotismo antiisraeliano.
La nostra sarebbe una “gerontocrazia”. E qui concorderemmo se vi riferiste al fatto che il nostro sistema s’è bloccato, i giovani sono esclusi, gli ascensori sociali si sono fermati. Lo abbiamo scritto molte volte. Ma a voi interessa solo la data di nascita di Berlusconi, al qual proposito vi segnalo un dato terrificante: gli mancano ancora quattro anni prima di raggiungere l’età in cui Ronald Reagan lasciò la (potente) presidenza. Converrete che il “vecchio” fece un lavoro eccellente.
Ma veniamo al dunque: viviamo tempi difficili e l’asse franco-tedesco toglie peso, in Europa, agli altri Paesi, inoltre gli inglesi vogliono contare molto nella scelta del nuovo vertice della Bce, facendo finta di dimenticare che quella è la banca dell’Euro, valuta che non è la loro. Inoltre è aperta una dura partita energetica: noi italiani, come i tedeschi, tendiamo a diminuire la dipendenza da una sola fonte o un solo fornitore, mentre i francesi producono molto con l’atomo, il che, fatalmente, disunisce il valore del petrolio inglese (che tanto è costato, lo abbiamo visto, in quattrini ed onore).
Le banche inglesi, si aggiunga, sono fra quelle la cui disciplina è stata meno virtuosa, quindi fra le più esposte ai rischi e le più costose per l’erario. Tutto questo è complicato, ma cercare di rimediare provando ad attaccare e demolire le istituzioni altrui, cercando di esportare i problemi e importare bottini, non è politica saggia e lungimirante. Lo scriviamo, se è concesso, da cultori e ammiratori della storia dell’impero britannico.
Pubblicato da Il Tempo
L'EDITORIALE
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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.