Condanna alla vecchia politica
Caso Riccardi
Quello di cui ci si deve preoccupare è come dare continuità a questo Governodi Enrico Cisnetto - 10 marzo 2012
Il cosiddetto “caso Riccardi”, fortunatamente archiviato in 48 ore, è illuminante dello stato di salute, agonico, della politica italiana. Mentre si blatera sulla necessità del “ritorno” della politica, che sarebbe stata cancellata dai “tecnici”, cosa s’inventa il “mondo Pdl” per tornare al centro della scena “usurpata” da Monti e i suoi ministri? Prima Alfano decide di disertare il vertice con il presidente del Consiglio, Bersani e Casini; poi si offende perché vieni fuori un commento sferzante del ministro Riccardi, “rubato” nel corso di un suo colloquio privato (se ne lamentano gli stessi che hanno sempre apostrofato come “sciacalli” i giornalisti che captano ed estrapolano frasi da colloqui privati); quindi una cinquantina di parlamentari del Pdl fanno partire una mozione di sfiducia nei confronti del ministro, che però rientra dopo le sue scuse e il beau geste del segretario del Pdl di accettarle.
Il tutto perché Riccardi ha detto che gli fa schifo quel modo di fare politica. Ora l’unico torto che il ministro ha è di aver chiesto scusa, perché non avendo detto la solita frase “la politica fa schifo” – d’altra parte, chi conosce il fondatore della Comunità di S. Egidio sa bene che non è incline a quel genere di qualunquismo – ma avendo fatto la più che legittima e fondata affermazione che “quel modo di fare politica fa schifo”, non ha nulla di cui deve pentirsi e tantomeno vergognarsi. E per sostenerlo non c’è bisogno di ricorrere alla vasta platea del “popolo del web”, che al grido “io sto con Riccardi” si è subito schierata contro la “casta” – anche perché lì spesso alligna il qualunquismo – né valutare il livello di discredito che la “vecchia politica” ha raggiunto nel Paese. No, basta giudicare la drammatica empasse in cui vivono da mesi i due maggiori partiti. Il Pd, che ha ripetuto a Palermo il suicidio di Genova (e ancor prima di Milano e Napoli), vive la paradossale situazione di essere nello stesso tempo il potenziale vincitore delle prossime elezioni politiche e il perdente delle sue primarie.
Il che significa che nel 2013 anche se i numeri dovessero dargli ragione, si ritroverebbe sconfitto politicamente come lo fu Prodi nel 2006. Il Pdl, dal canto suo, mostra fermenti interni non inferiori a quelli dei Democratici, con Berlusconi che è costretto a fare patetiche dichiarazioni pubbliche di apprezzamento per Alfano perché tutti sanno che ne fa private di segno nettamente opposto. Così di fronte all’encefalogramma piatto di una linea politica che non esiste, il partito non trova di meglio che ergersi a paladino della politica “buona” contro la presunta anti-politica, “cattiva”, dei ministri che “sono lì senza consenso”. Dichiarazioni prive di senso del ridicolo, visto è che proprio grazie al combinato disposto di essere figli dell’anti-politica di 20 anni fa contro la casta e la partitocrazia della Prima Repubblica (e dunque privi di solide radici di cultura politica) e della perdita del consenso che gli era stato consegnato in abbondanza dagli italiani che Berlusconi e suoi epigoni sono stati costretti a uscire a testa bassa da palazzo Chigi.
Il fatto è che oggi l’Italia è governata da un esecutivo che i partner europei e i maggiori interlocutori internazionali hanno imposto per evitare che un governo screditato e un sistema politico fallito facessero andare in default l’ottava potenza economica mondiale, con effetti disastrosi per tutti. E gli italiani, del tutto consapevoli di questo – dopo essere stati per troppo tempo colpevolmente acquiescenti – sono ben contenti che sia accaduto e a larghissima maggioranza vorrebbero che questa esperienza, o quantomeno il clima che essa ha generato, si protraesse nel tempo. D’altra parte, una recente ricerca dell’attendibile Swg fa vedere che il giudizio positivo su Monti ha valori doppi rispetto a quelli di tutti gli altri leader politici. Mentre non è mai stata così alta la quantità di cittadini (48%) che dichiarano di non aver alcuna intenzione di andare a votare o di non avere idea a favore di chi farlo.
Insomma, non è Riccardi, ma l’Italia intera che condanna la vecchia politica, lo sgangherato sistema bipolare con tutto il suo strascico di politici (sic) da combattimento e di partiti tanto onnivori quanto privi di idee e capacità programmatiche. Cui è rimasto come unico ruolo una presenza parlamentare che oscilla tra la fiducia al governo data per ragioni di forza maggiore e la voglia di riprendersi il potere perduto attraverso il ricatto del far mancare il consenso a Camera e Senato. E tanto più fanno così, e tanto più si accentua il discredito di cui sono circondati. La qual cosa non sarebbe un problema, se non fosse che all’orizzonte ancora non si vede chi e come potrà loro sostituirsi, a parte l’esercito dei veri denigratori della politica in quanto tale, tra saltimbanchi televisivi e guitti di quart’ordine. Ed è di questo, caro Riccardi, che Lei e gli altri membri del governo dovete preoccuparvi: come dare continuità, fra 13 mesi, alla “discontinuità” positiva che – a volte anche vostro malgrado, perché non tutte le scelte dell’esecutivo sono state da 10 e lode e molte sono quelle che ancora mancano all’appello – siete riusciti ad assicurare. Tutto il resto sono rigurgiti tardivi di chi sarà presto spazzato via dalla scena.
Il tutto perché Riccardi ha detto che gli fa schifo quel modo di fare politica. Ora l’unico torto che il ministro ha è di aver chiesto scusa, perché non avendo detto la solita frase “la politica fa schifo” – d’altra parte, chi conosce il fondatore della Comunità di S. Egidio sa bene che non è incline a quel genere di qualunquismo – ma avendo fatto la più che legittima e fondata affermazione che “quel modo di fare politica fa schifo”, non ha nulla di cui deve pentirsi e tantomeno vergognarsi. E per sostenerlo non c’è bisogno di ricorrere alla vasta platea del “popolo del web”, che al grido “io sto con Riccardi” si è subito schierata contro la “casta” – anche perché lì spesso alligna il qualunquismo – né valutare il livello di discredito che la “vecchia politica” ha raggiunto nel Paese. No, basta giudicare la drammatica empasse in cui vivono da mesi i due maggiori partiti. Il Pd, che ha ripetuto a Palermo il suicidio di Genova (e ancor prima di Milano e Napoli), vive la paradossale situazione di essere nello stesso tempo il potenziale vincitore delle prossime elezioni politiche e il perdente delle sue primarie.
Il che significa che nel 2013 anche se i numeri dovessero dargli ragione, si ritroverebbe sconfitto politicamente come lo fu Prodi nel 2006. Il Pdl, dal canto suo, mostra fermenti interni non inferiori a quelli dei Democratici, con Berlusconi che è costretto a fare patetiche dichiarazioni pubbliche di apprezzamento per Alfano perché tutti sanno che ne fa private di segno nettamente opposto. Così di fronte all’encefalogramma piatto di una linea politica che non esiste, il partito non trova di meglio che ergersi a paladino della politica “buona” contro la presunta anti-politica, “cattiva”, dei ministri che “sono lì senza consenso”. Dichiarazioni prive di senso del ridicolo, visto è che proprio grazie al combinato disposto di essere figli dell’anti-politica di 20 anni fa contro la casta e la partitocrazia della Prima Repubblica (e dunque privi di solide radici di cultura politica) e della perdita del consenso che gli era stato consegnato in abbondanza dagli italiani che Berlusconi e suoi epigoni sono stati costretti a uscire a testa bassa da palazzo Chigi.
Il fatto è che oggi l’Italia è governata da un esecutivo che i partner europei e i maggiori interlocutori internazionali hanno imposto per evitare che un governo screditato e un sistema politico fallito facessero andare in default l’ottava potenza economica mondiale, con effetti disastrosi per tutti. E gli italiani, del tutto consapevoli di questo – dopo essere stati per troppo tempo colpevolmente acquiescenti – sono ben contenti che sia accaduto e a larghissima maggioranza vorrebbero che questa esperienza, o quantomeno il clima che essa ha generato, si protraesse nel tempo. D’altra parte, una recente ricerca dell’attendibile Swg fa vedere che il giudizio positivo su Monti ha valori doppi rispetto a quelli di tutti gli altri leader politici. Mentre non è mai stata così alta la quantità di cittadini (48%) che dichiarano di non aver alcuna intenzione di andare a votare o di non avere idea a favore di chi farlo.
Insomma, non è Riccardi, ma l’Italia intera che condanna la vecchia politica, lo sgangherato sistema bipolare con tutto il suo strascico di politici (sic) da combattimento e di partiti tanto onnivori quanto privi di idee e capacità programmatiche. Cui è rimasto come unico ruolo una presenza parlamentare che oscilla tra la fiducia al governo data per ragioni di forza maggiore e la voglia di riprendersi il potere perduto attraverso il ricatto del far mancare il consenso a Camera e Senato. E tanto più fanno così, e tanto più si accentua il discredito di cui sono circondati. La qual cosa non sarebbe un problema, se non fosse che all’orizzonte ancora non si vede chi e come potrà loro sostituirsi, a parte l’esercito dei veri denigratori della politica in quanto tale, tra saltimbanchi televisivi e guitti di quart’ordine. Ed è di questo, caro Riccardi, che Lei e gli altri membri del governo dovete preoccuparvi: come dare continuità, fra 13 mesi, alla “discontinuità” positiva che – a volte anche vostro malgrado, perché non tutte le scelte dell’esecutivo sono state da 10 e lode e molte sono quelle che ancora mancano all’appello – siete riusciti ad assicurare. Tutto il resto sono rigurgiti tardivi di chi sarà presto spazzato via dalla scena.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.