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L'editoriale di Società Aperta

Caro Letta

Ecco le tre mosse che possono consolidare il governo delle larghe intese e salvare l'Italia

di Enrico Cisnetto - 11 maggio 2013

Si racconta che Enrico Letta dica, in privato, che il suo governo durerà al massimo sei mesi. Può darsi, ma se così sarà, non succederà per colpa dell’emergenza economica, anche se è facile immaginare che non gli avrà certo fatto piacere esordire, con il suo primo consiglio dei ministri, con un rinvio per Imu e Cig in deroga. No, non bisogna farsi ingannare dalle apparenze, che da una parte vedono Berlusconi impegnato a far propaganda sul “no alle tasse sulla casa” ben più di quanto il tema meriti, perché teme che la disarticolazione del Pd finirà per portare alle elezioni, e dall’altra le correnti (ma è più corretto chiamarle fazioni), in cui i Democratici sono divisi, usare il tema del lavoro per misurare chi di loro sta più degli altri attestato sul fronte del politicamente corretto per giocarsi la partita con la base. Come sosteniamo fin dalla sua nascita, per il governo la vera questione discriminante è e sarà quella delle riforme istituzionali (in cui è ricompresa la questione giustizia, o se si preferisce la sorte giudiziaria del Cavaliere) e della legge elettorale.

La settimana scorsa abbiamo spiegato il nostro convinto – e radicato nel tempo – favore per una iniziativa ri-costituente. Società Aperta da sempre, e ultimamente insieme con gli amici della Fondazione Einaudi, si batte per la convocazione di un’Assemblea Costituente. Ribadiamo qui che la solennità di una scelta di questo tipo non solo consentirebbe una vera revisione della nostra Carta e dunque una riscrittura organica delle regole del gioco del nostro sistema-paese, ma darebbe agli italiani – orfani da anni di una politica degna di questo nome e portati a sfogare nell’astensione o nel voto di pura protesta la loro delusione e rabbia – la percezione che davvero si volta pagina. Tuttavia, se non dovessero sussistere le condizioni politiche per una scelta così forte, ci siamo detti pronti – pragmaticamente – a sostenere la causa della Convenzione, naturalmente a condizione che essa non diventi una fotocopia delle bicamerali che (non a caso) sono fallite in questi anni. E dopo aver visto all’opera, dall’una e dall’altra sponda, i sabotatori della proposta di Letta – pezzi da novanta come Berlusconi e Finocchiaro, ma tanti altri – lo ribadiamo con ancora maggiore convincimento: la Convenzione s’ha da fare. È solo istituendola che Letta può avviare dei processi che, inevitabilmente, cambieranno, e di molto, la scena politica, finendo per diventare una vera e propria garanzia di continuità del suo governo (almeno fino a quando il lavoro di riscrittura delle regole non avrà concluso il suo iter).

Ma la modalità con cui il premier deve giocare questa difficile ma discriminante partita comporta tre scelte nette. La prima scelta (idea, a dire il vero, di cui siamo debitori dell’ex senatore Marco Boato): Letta predisponga subito un articolato di legge che abroghi l’attuale normativa in materia elettorale e di conseguenza ripristini il vecchio Mattarellum. L’obiettivo, che andrà dichiarato esplicitamente, non è quello di preferire quella legge elettorale, ma evitare che ci sia la possibilità che si ritorni alle urne con il Porcellum. Infatti, la vera nuova legge verrà dopo, in sede di coordinamento tra il modello istituzionale scelto nella Convenzione e il sistema di conteggio dei voti più strutturalmente conseguente. Insomma, per capirci, Letta deve dire: io per non sapere né leggere né scrivere, torno alla legge elettorale precedente a questa, che di certo è meno peggio, così se la revisione della Costituzione non si facesse o fallisse miseramente, almeno gli italiani andranno a votare in condizioni migliori. Se poi, invece, come si auspica, ci sarà una nuova architettura dei poteri, ecco che sarà facile scegliere la legge elettorale più confacente.

La seconda mossa consiste nel preparare una proposta di legge costituzionale che, in base all’articolo 138 della Carta, affidi ad un’apposita commissione (detta Convenzione) il compito di redigere le modifiche da apportare alla Costituzione. Attenzione: la Convenzione deve avere potere redigente, in modo tale che al termine dei suoi lavori il Parlamento voti sì o no in blocco, senza entrare nel merito di ogni singolo articolo (al contrario sarebbe inutile, tanto varrebbe dare il compito alle commissioni affari costituzionali di Camera e Senato). E poter essere redigente deve essere istituita sulla base del 138. Certo, così la legge istitutiva della Convenzione dovrebbe fare due volte il giro delle due aule, ma il tempo necessario non dovrebbe essere lungo se solo c’è l’accordo politico. Cioè quell’accordo politico in mancanza del quale non è solo la Convenzione ad abortire, ma anche il governo a soccombere.

Infine, la terza cosa. Letta deve fare in modo che le regole che sovraintendono alla formazione della Convenzione contengano senza deroghe il principio che della stessa non possano far parte i parlamentari (che se vogliono partecipare devono preventivamente dimettersi). Così facendo non solo dirimerebbe sul nascere la querelle su Berlusconi, ma consentirebbe di separare con nettezza la funzione del Parlamento da quella del soggetto chiamato a riscrivere la Costituzione.
Caro Presidente, non esitare, questa è la strada giusta. Per il tuo governo, ma soprattutto per l’Italia.

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