L'imposta Rai
Canone perverso
Come si potrebbe privatizzare la rete pubblicadi Davide Giacalone - 29 dicembre 2011
Il “Canone Rai”, che per i cittadini conserva il suo nome obbrobrioso, essendo il migliore nel rendere la sua orrenda natura, ha tutti i possibili difetti dei peggiori tributi: non si sa cosa tassa, non si sa per cosa serva, non è affatto chiaro a chi vada, aumenta di continuo. E’
vero, non si può abrogarlo per referendum, né si può sollecitare un cittadino a non pagarlo, perché sarebbe induzione all’evasione fiscale. Si può cancellare la legge che gli consente di sopravvivere a sé stesso. Ma si può fare anche dell’altro, prima, ora, talché nessuno si senta assolto o scusato se quest’incresciosa situazione si protrae oltre.
Ricapitoliamo. 1. Non si sa cosa tassa, perché dovrebbero essere i televisori, ma in realtà sono i terminali “atti o adattabili alla ricezione d’immagini”. Tutti, compresi i telefoni, i computers, i navigatori e così via. Una intollerabile corbelleria. Non si sa neanche chi tassa, perché la legge dice che se paghi il canone a casa poi non lo devi pagare al mare, ma la Rai s’è messa in combutta con i comuni e vanno a cercare le case intestate al coniuge, sostenendo che non si tratta dello stesso nucleo familiare. E nessuno li ferma, laddove questa è tentata o riuscita estorsione.
2. Non si sa a cosa serva, perché dovrebbe finanziare il servizio pubblico. Quale? La Rai è una televisione commerciale a totale capitale statale, che svolge un “servizio pubblico” solo perché così si definisce in convenzione. A questo punto si possono anche chiamare “cavalli” i cinghiali e pretendere di cavalcarli. Auguri.
3. Non si sa quei soldi a chi vanno. Perché vanno alla Rai, ma in realtà si pagano al fisco, salvo il fatto che la sollecitazione al pagamento ti arriva dalla Rai stessa, ovvero dal beneficiario, che è una società per azioni di diritto privato, ma al tempo stesso una roba statale, che nella seconda veste prova a mettermi paura e nella prima ingrassa le proprie casse. Una roba così non è neanche un animale misto: è una bestialità.
4. Il fatto che aumenti lo sapete di già, quindi non sto a perdere tempo, solo che se i miei soldi servissero al servizio pubblico qualcuno dovrebbe dirmi dove finisce l’aumento: quali costi sono aumentati, quali nuovi servizi saranno offerti. Nisba.
La Rai è stato un grande servizio pubblico. E’ poi divenuto il paradiso della lottizzazione. S’è trasformato in greppia senza significato. Ora è la sopravvivenza di un passato troppo lontano. La soluzione migliore è venderla. Su questa strada c’è un ostacolo, rappresentato dalla legge 112 del 2004 (alias legge Gasparri), ove si stabilisce che nessuno può possedere più dell’uno per cento delle azioni Rai. Ostacolo che sarebbe bene rimuovere, semmai anche per via referendaria. Ma che si può anche aggirare, essendo oramai trascorsi i tempi oltre i quali quella stessa legge consente alla Rai di vendere “rami d’azienda”. Che non è roba vegetale, ma reti e produzioni. Si vendano.
Qui sento già il lamento più stupido del mondo: sarebbe un favore a Mediaset, azienda del più noto e votato fra i malfattori. Quell’uomo ha una fortuna smisurata, dato che la sorte gli ha spesso riservato avversari d’impareggiabile ottusità: è vero il contrario, perché il duopolio consente di fare del canone un provento che finanzia il sistema, mentre la privatizzazione e la concorrenza ristabiliscono regole di sano mercato, con quel che segue: chi è bravo vince e si fa ricco, chi non lo è esce di scena. Pensare che questo sia un favore a Berlusconi significa fargli un complimento che egli stesso si farebbe solo in privato. E ho detto tutto. Per concludere. Vedo che non appena si parla di cancellare l’odioso e deforme tributo più d’un politico corre a prendersi uno spicchio di gloria.
Bravi: visto che non avete di meglio da fare, visto che la politica conta sempre di meno, nel tempo che vi rimane dopo avere chiesto raccomandazioni per assunzioni e lavori in Rai, raccogliete le firme per i referendum. Se avete idee confuse, circa i quesiti, siamo a vostra disposizione. Gratis. Detto ciò, si può fare subito molto, si può cominciare a vendere, si può far scendere il costo di una baracca che pretende di piazzarmi le chiappe come servizio civile e culturale, come pretende di far passare per pluralismo la spartizione. Si può farlo oggi stesso. Facendolo si libererebbe quel che (se proprio si deve) della Rai è servizio, liberando l’azienda dall’ossessione dell’audience e liberando risorse pubblicitarie per altri competitori. Ecco, adesso sono sicuro d’essere rimasto in risicata compagnia, con la destra mercatista e la sinistra moralista già fuggite a rimpiattarsi dietro i propri raccomandati, i propri amministratori, i propri lottizzati, le proprie vergogne.
Ricapitoliamo. 1. Non si sa cosa tassa, perché dovrebbero essere i televisori, ma in realtà sono i terminali “atti o adattabili alla ricezione d’immagini”. Tutti, compresi i telefoni, i computers, i navigatori e così via. Una intollerabile corbelleria. Non si sa neanche chi tassa, perché la legge dice che se paghi il canone a casa poi non lo devi pagare al mare, ma la Rai s’è messa in combutta con i comuni e vanno a cercare le case intestate al coniuge, sostenendo che non si tratta dello stesso nucleo familiare. E nessuno li ferma, laddove questa è tentata o riuscita estorsione.
2. Non si sa a cosa serva, perché dovrebbe finanziare il servizio pubblico. Quale? La Rai è una televisione commerciale a totale capitale statale, che svolge un “servizio pubblico” solo perché così si definisce in convenzione. A questo punto si possono anche chiamare “cavalli” i cinghiali e pretendere di cavalcarli. Auguri.
3. Non si sa quei soldi a chi vanno. Perché vanno alla Rai, ma in realtà si pagano al fisco, salvo il fatto che la sollecitazione al pagamento ti arriva dalla Rai stessa, ovvero dal beneficiario, che è una società per azioni di diritto privato, ma al tempo stesso una roba statale, che nella seconda veste prova a mettermi paura e nella prima ingrassa le proprie casse. Una roba così non è neanche un animale misto: è una bestialità.
4. Il fatto che aumenti lo sapete di già, quindi non sto a perdere tempo, solo che se i miei soldi servissero al servizio pubblico qualcuno dovrebbe dirmi dove finisce l’aumento: quali costi sono aumentati, quali nuovi servizi saranno offerti. Nisba.
La Rai è stato un grande servizio pubblico. E’ poi divenuto il paradiso della lottizzazione. S’è trasformato in greppia senza significato. Ora è la sopravvivenza di un passato troppo lontano. La soluzione migliore è venderla. Su questa strada c’è un ostacolo, rappresentato dalla legge 112 del 2004 (alias legge Gasparri), ove si stabilisce che nessuno può possedere più dell’uno per cento delle azioni Rai. Ostacolo che sarebbe bene rimuovere, semmai anche per via referendaria. Ma che si può anche aggirare, essendo oramai trascorsi i tempi oltre i quali quella stessa legge consente alla Rai di vendere “rami d’azienda”. Che non è roba vegetale, ma reti e produzioni. Si vendano.
Qui sento già il lamento più stupido del mondo: sarebbe un favore a Mediaset, azienda del più noto e votato fra i malfattori. Quell’uomo ha una fortuna smisurata, dato che la sorte gli ha spesso riservato avversari d’impareggiabile ottusità: è vero il contrario, perché il duopolio consente di fare del canone un provento che finanzia il sistema, mentre la privatizzazione e la concorrenza ristabiliscono regole di sano mercato, con quel che segue: chi è bravo vince e si fa ricco, chi non lo è esce di scena. Pensare che questo sia un favore a Berlusconi significa fargli un complimento che egli stesso si farebbe solo in privato. E ho detto tutto. Per concludere. Vedo che non appena si parla di cancellare l’odioso e deforme tributo più d’un politico corre a prendersi uno spicchio di gloria.
Bravi: visto che non avete di meglio da fare, visto che la politica conta sempre di meno, nel tempo che vi rimane dopo avere chiesto raccomandazioni per assunzioni e lavori in Rai, raccogliete le firme per i referendum. Se avete idee confuse, circa i quesiti, siamo a vostra disposizione. Gratis. Detto ciò, si può fare subito molto, si può cominciare a vendere, si può far scendere il costo di una baracca che pretende di piazzarmi le chiappe come servizio civile e culturale, come pretende di far passare per pluralismo la spartizione. Si può farlo oggi stesso. Facendolo si libererebbe quel che (se proprio si deve) della Rai è servizio, liberando l’azienda dall’ossessione dell’audience e liberando risorse pubblicitarie per altri competitori. Ecco, adesso sono sicuro d’essere rimasto in risicata compagnia, con la destra mercatista e la sinistra moralista già fuggite a rimpiattarsi dietro i propri raccomandati, i propri amministratori, i propri lottizzati, le proprie vergogne.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.