L'editoriale di Società Aperta
Bisogna pur decidere
Non ci piace né il voto di protesta, né quello di stabilità, ma il convento non passa altrodi Enrico Cisnetto - 16 febbraio 2013
Manca una settimana al voto, e bisogna pur decidere. Ma non è un caso che fin qui Società Aperta e TerzaRepubblica non si siano espresse sul “che fare” il 24 e 25 febbraio. Intanto perché non siamo una forza politica che deve indirizzare i suoi militanti, ma un movimento d’opinione che ama analizzare i problemi, in primis quelli legati al funzionamento del sistema politico e istituzionale, e indicare delle soluzioni. Poi abbiamo pensato che fosse molto più utile cercare di capire gli scenari che si prefigurano e le conseguenze che essi sono in grado di generare, piuttosto che “parteggiare”. Ma il vero motivo per cui non abbiamo dato, e non daremo, indicazioni di voto è lo stesso per cui non siamo ci siamo impegnati direttamente nella contesa elettorale.
Molti, infatti – riconoscendoci una primazia nell’aver indicato l’obiettivo del superamento del bipolarismo fin qui realizzato e più in generale della Seconda Repubblica – ci chiedono perché non siamo in campo, né collettivamente né come singoli candidati. Semplice: noi siamo nati per costruire la Terza Repubblica, e queste non sono (ancora) le elezioni che possano aprire una diversa stagione politica in Italia. Purtroppo, ma è inesorabilmente così. Quando abbiamo capito che le cose andavano in questo modo, che non ci sarebbe stata nessuna sepoltura della fallimentare fase politica che viviamo da due decenni e di conseguenza non ve ne sarebbe stata una nuova, ne abbiamo preso atto e ci siamo rimessi in tasca tutte le nostre ambizioni. È triste dirlo, ma è così. E non è “puzza sotto il naso”, credeteci, bensì la presa d’atto di una realtà sgradevole ma che sarebbe sciocco ignorare. E non è che non ci piace perché siamo out (volendo avremmo potuto trovarci uno strapuntino…), ma perché amiamo troppo l’Italia e desidereremmo vederla finalmente uscire dal declino cui si è autolesionisticamente condannata. Per questo continueremo imperterriti a denunciare le cose che non vanno e a indicare la strada che riteniamo il Paese debba imboccare.
Tuttavia, una decisione va pur presa. Allora, con lo stesso spirito che fin qui ci ha animato, proviamo a fare qualche valutazione. Intanto partiamo da un presupposto: il voto può essere dato per convinzione, per risentimento, per interesse o per calcolo politico. Escludiamo che chi ci segue approvando il nostro disegno di un radicale cambiamento del sistema politico e di quello istituzionale – premesse indispensabili per aprire davvero la Terza Repubblica – possa ritrovarsi nella prima di queste quattro condizioni: se fossimo convinti saremmo protagonisti in campo, se siamo ai bordi dell’area di gioco è perché nulla ci convince. Escludiamo poi la terza motivazione di voto, quella per interesse. Non per moralismo – la politica è rappresentanza degli interessi (legittimi) e loro mediazione in nome dell’interesse generale – ma semplicemente perché non siamo una lobby. Allora rimane la possibilità di votare “contro”, o viceversa di votare “per”, ma nella logica del minore dei mali, dell’evitare il peggio. Entrambe le opzioni, che portano a scelte diametralmente opposte, sono più che comprensibili e, in qualche modo, utili.
Essendo gli assertori più convinti della fine della Seconda Repubblica (lo diciamo ormai, ahinoi, da tempo immemorabile), e con queste elezioni andando in scena, invece, il ritorno della medesima dopo che la discontinuità rappresentata dal governo Monti aveva fatto sperare che fossimo ad un passo dalla Terza, sarebbe più che logico “votare contro”. Non si può certo votare per i due pilastri del bipolarismo, Pd e Pdl e loro alleati, mentre non merita il nostro consenso chi, Monti e i suoi alleati, ha avuto in mano le chances di chiudere definitivamente con il vecchio sistema e invece ha commesso tanti e tali errori da rendere possibile che le elezioni fossero ancora una volta una scelta pro o contro Berlusconi. A chi fa questo tipo di valutazione non rimangono dunque che due possibilità: o dare un voto “marginale” – radicali, Giannino – o andare fino in fondo e optare per la protesta plateale: astensione, Grillo. La logica è quella del “tanto peggio, tanto meglio”, ma ha un senso, perché la speranza è quella che tutto venga spazzato via e si torni al più presto a votare, contando che nuove elezioni aprano quegli spazi di cambiamento vero che questa volta non si sono creati.
Al contrario, il ragionamento può essere: il “tanto peggio, tanto meglio” non paga, e comunque il Paese, ancora nel pieno di una crisi economica tremenda e di cui si fatica a vedere la fine, non se lo può permettere. Per questo, cerchiamo, turandoci il naso, di dare un voto di “stabilità”, sperando che un po’ di governabilità, per quanto di basso conio, consenta alle forze migliori – e cioè quelle esterne al prossimo Parlamento – di organizzarsi come, colpevolmente, questa volta non hanno fatto. In questo caso la scelta può andare nella direzione di rafforzare chi pare essere in vantaggio, oppure a favore del Centro, che pur avendo i difetti di cui sopra, rimane pur sempre il luogo di chi ha esplicitamente rifiutato – magari tardivamente e male, ma lo ha fatto – la logica bipolare che tanto danno ha procurato al Paese. O, ancora, le due opzioni abbinate, utilizzando il voto disgiunto tra Camera e Senato.
Queste sono le possibilità che abbiamo. Non ce ne piace nessuna, ma altro il convento non passa.
Molti, infatti – riconoscendoci una primazia nell’aver indicato l’obiettivo del superamento del bipolarismo fin qui realizzato e più in generale della Seconda Repubblica – ci chiedono perché non siamo in campo, né collettivamente né come singoli candidati. Semplice: noi siamo nati per costruire la Terza Repubblica, e queste non sono (ancora) le elezioni che possano aprire una diversa stagione politica in Italia. Purtroppo, ma è inesorabilmente così. Quando abbiamo capito che le cose andavano in questo modo, che non ci sarebbe stata nessuna sepoltura della fallimentare fase politica che viviamo da due decenni e di conseguenza non ve ne sarebbe stata una nuova, ne abbiamo preso atto e ci siamo rimessi in tasca tutte le nostre ambizioni. È triste dirlo, ma è così. E non è “puzza sotto il naso”, credeteci, bensì la presa d’atto di una realtà sgradevole ma che sarebbe sciocco ignorare. E non è che non ci piace perché siamo out (volendo avremmo potuto trovarci uno strapuntino…), ma perché amiamo troppo l’Italia e desidereremmo vederla finalmente uscire dal declino cui si è autolesionisticamente condannata. Per questo continueremo imperterriti a denunciare le cose che non vanno e a indicare la strada che riteniamo il Paese debba imboccare.
Tuttavia, una decisione va pur presa. Allora, con lo stesso spirito che fin qui ci ha animato, proviamo a fare qualche valutazione. Intanto partiamo da un presupposto: il voto può essere dato per convinzione, per risentimento, per interesse o per calcolo politico. Escludiamo che chi ci segue approvando il nostro disegno di un radicale cambiamento del sistema politico e di quello istituzionale – premesse indispensabili per aprire davvero la Terza Repubblica – possa ritrovarsi nella prima di queste quattro condizioni: se fossimo convinti saremmo protagonisti in campo, se siamo ai bordi dell’area di gioco è perché nulla ci convince. Escludiamo poi la terza motivazione di voto, quella per interesse. Non per moralismo – la politica è rappresentanza degli interessi (legittimi) e loro mediazione in nome dell’interesse generale – ma semplicemente perché non siamo una lobby. Allora rimane la possibilità di votare “contro”, o viceversa di votare “per”, ma nella logica del minore dei mali, dell’evitare il peggio. Entrambe le opzioni, che portano a scelte diametralmente opposte, sono più che comprensibili e, in qualche modo, utili.
Essendo gli assertori più convinti della fine della Seconda Repubblica (lo diciamo ormai, ahinoi, da tempo immemorabile), e con queste elezioni andando in scena, invece, il ritorno della medesima dopo che la discontinuità rappresentata dal governo Monti aveva fatto sperare che fossimo ad un passo dalla Terza, sarebbe più che logico “votare contro”. Non si può certo votare per i due pilastri del bipolarismo, Pd e Pdl e loro alleati, mentre non merita il nostro consenso chi, Monti e i suoi alleati, ha avuto in mano le chances di chiudere definitivamente con il vecchio sistema e invece ha commesso tanti e tali errori da rendere possibile che le elezioni fossero ancora una volta una scelta pro o contro Berlusconi. A chi fa questo tipo di valutazione non rimangono dunque che due possibilità: o dare un voto “marginale” – radicali, Giannino – o andare fino in fondo e optare per la protesta plateale: astensione, Grillo. La logica è quella del “tanto peggio, tanto meglio”, ma ha un senso, perché la speranza è quella che tutto venga spazzato via e si torni al più presto a votare, contando che nuove elezioni aprano quegli spazi di cambiamento vero che questa volta non si sono creati.
Al contrario, il ragionamento può essere: il “tanto peggio, tanto meglio” non paga, e comunque il Paese, ancora nel pieno di una crisi economica tremenda e di cui si fatica a vedere la fine, non se lo può permettere. Per questo, cerchiamo, turandoci il naso, di dare un voto di “stabilità”, sperando che un po’ di governabilità, per quanto di basso conio, consenta alle forze migliori – e cioè quelle esterne al prossimo Parlamento – di organizzarsi come, colpevolmente, questa volta non hanno fatto. In questo caso la scelta può andare nella direzione di rafforzare chi pare essere in vantaggio, oppure a favore del Centro, che pur avendo i difetti di cui sopra, rimane pur sempre il luogo di chi ha esplicitamente rifiutato – magari tardivamente e male, ma lo ha fatto – la logica bipolare che tanto danno ha procurato al Paese. O, ancora, le due opzioni abbinate, utilizzando il voto disgiunto tra Camera e Senato.
Queste sono le possibilità che abbiamo. Non ce ne piace nessuna, ma altro il convento non passa.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.