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Public Policy

Superare le resistenze dei falchi

Bipolarismo armato

Ripartiamo dai segnali, incoraggianti, che si stanno profilando

di Enrico Cisnetto - 22 dicembre 2009

E’ un crescendo: abbassare i toni; costruire spazi di dialogo; procedere a un disarmo bilaterale; aprire una fase costituente. Anche la parola “inciucio” viene sdoganata. E persino nel fronte antiberlusconiano si apre una breccia: “se una leggina ad hoc per il premier fosse il male minore…”, dicono quelli di Libertà e Giustizia. Ma è davvero arrivato il momento delle “colombe” nella politica italiana? Mettiamola così: un conto è augurarselo, un altro scommetterci. Perché se da un lato sottovalutare i tanti segnali di apertura, piccoli e grandi, che l’aggressione a Berlusconi ha generato, sarebbe un errore, non meno sbagliato appare chiudere gli occhi di fronte a tre questioni di segno opposto. La prima: i falchi, dall’una come dall’altra parte, non sono in fase di disarmo. Basti pensare, nel centro-destra, agli attacchi a Fini e all’avventurarsi sul terreno scivoloso dei “mandanti morali” del “lanciatore di statuetta” di Milano; mentre nel centro-sinistra, alla sollevazione contro D’Alema reo di essere realista. La seconda questione riguarda il tasso di furbizia e ipocrisia delle neo-colombe, perché riesce un po’ difficile credere alle conversioni, mentre non si commetterebbe peccato a immaginare che il buonismo oggi dilagante finirà ben presto per lasciare spazio al reciproco rinfacciarsi del “dialogus interruptus”. Anche perché è sempre stato così nei 15 anni della Seconda Repubblica, e non è un caso che già ora sia ripartito il solito palleggio di responsabilità sul fallimento della Bicamerale.

Ma è la terza questione ad essere la più importante: può trovare la ragionevolezza un sistema politico che non l’ha mai posseduta perché basa la sua ragion d’essere sul radicalismo? Già, il nocciolo della questione sta proprio in quel “bipolarismo armato”, basato su coalizioni fatte per vincere le elezioni ma non per governare, che da tre lustri molti si affannano ad auspicare che diventi maturo, anglosassone, senza minimamente considerare che il combinato disposto tra il dna conflittual-frazionista-corporativo dell’Italia e l’antipolitica su cui si è basato il passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica, rende impossibile quell’evoluzione virtuosa. Diciamocelo una volte per tutte con chiarezza: chi nel 1994 aveva creduto che l’agognata alternanza di governo – che per precise ragioni storiche non avevamo mai avuto e a cui la caduta del Muro di Berlino finalmente ci consentiva di guardare – si dovesse necessariamente tradurre in un sistema leaderistico (peraltro senza statisti) dove chi vince prende tutto e che perde attende un turno, ha clamorosamente sbagliato. Anche perché i sistemi politici, così come le leggi elettorali, vanno giudicati non in astratto, ma a seconda dell’efficacia che effettivamente dimostrano, la quale dipende da paese a paese e cambia a seconda dei diversi momenti storici. Noi allora avremmo dovuto “copiare” la Germania, e così dovremmo fare oggi: proporzionale con sbarramento alto ma senza premio di maggioranza, cancellierato, sfiducia costruttiva, diversificazione di Camera e Senato, federalismo basato su macro-regioni (come i lander). Non c’è da inventare niente, il sistema tedesco si adatta perfettamente alle nostre caratteristiche e risponde alle nostre esigenze.

Insomma, è molto difficile, per non dire impossibile, che le colombe prevalgano sui falchi senza mettere in discussione quel bipolarismo all’italiana che fin qui è stato insieme causa e conseguenza del clima intossicato che si vorrebbe bonificare. Certo il cambiamento di un sistema politico non si realizza da un giorno all’altro, è ragionevole prevedere una fase di transizione. Che dovrebbe avere tre punti fermi, però. Primo: ragionare su un “salvacondotto giudiziario” per il premier. Perché D’Alema ha ragione quando sostiene che è meglio una norma ad hoc piuttosto che pasticciare, come nel caso del cosiddetto “processo breve”, una legge fintamente per tutti che farebbe solo danno o che troverebbe l’inevitabile contrarietà del Quirinale e della Consulta. Se poi la cosa si debba tradurre nella proposta del “ponte” lanciata da Vietti, nella reiterazione del lodo Alfano per via costitzionale o in qualcosa d’altro, lasciamo che siano gli esperti a suggerirlo. Secondo: sancire l’accordo con una “grande coalizione”, per evitare che l’accordo fallisca o che si trasformi in un pateracchio consociativo della peggior specie. Terzo: affidare l’indifferibile riordino costituzionale ad un’Assemblea Costituente vera e propria, sede molto più consona del parlamento o, peggio, delle piazze.

Difficile? Difficilissimo. Ma indispensabile. Altra strada non c’è.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.