Round favorevole per i governi nazionali
Bilancio Ue integrazione avanti adagio
Stallo politico e caos francese uova d’oro europeismo italiano e Stati Uniti d’Europadi Paolo Bozzacchi - 06 aprile 2006
Poco più di mezzo miliardo l’anno. Su un totale di 866,4. Questo è quanto le Istituzioni europee (Commissione e Parlamento), sono riuscite a ottenere dai 25 governi nazionali in sede di trattativa sul bilancio comunitario 2007-2013. Se da un lato, quindi, il magro bottino lascia immaginare come sia ancora lunga e tortuosa la strada dell’effettiva integrazione europea, dall’altro non sono stati pochi i sospiri di sollievo per il buon esito di una trattativa che avrebbe potuto ingolfare in modo definitivo (o quasi), il cammino comune degli Stati membri, dopo i no al Trattato costituzionale e nel bel mezzo delle diatribe relative all’annoso mercato dell’energia.
Bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno quindi? La risposta divide europeisti ed euroscettici da lungo tempo, anche se i puristi seguaci di Altiero Spinelli e del federalismo europeo sembrano stanchi di assistere a continui bastoni tra le ruote comunitarie posti dagli Stati membri, più per ragioni strettamente economiche che non politiche. Anche quest’ultimo round di trattative, è stato comunque vinto dai governi nazionali, che hanno accettato di destinare l’1,0455% del pil comunitario (appunto 866,4 miliardi di euro), a Strasburgo e Bruxelles.
L’Italia se la cava sostanzialmente bene rispetto ai brividi dell’inizio del negoziato, in quanto ha spuntato di pagare leggermente meno di quel che già versa nelle casse comunitarie, mantenendo così un saldo negativo tra dare e avere intorno allo 0,35% del pil nostrano (circa tre miliardi di euro). Altrettanto soddisfatta la Gran Bretagna, che dopo il polverone mediatico sullo “scandalo” del mantenimento dello sconto ottenuto a suo tempo dalla Lady di ferro, Margaret Thatcher, lo vede sfumare (e solo gradualmente) in un lasso di tempo abbastanza lungo da non preoccupare affatto.
“Questa non è una sconfitta per nessuno, bensì un successo per tutti”, ha commentato il presidente Ue di turno, cancelliere austriaco Wolfgang Schuessel. Parole che al solito non riescono a nascondere un puntuale imbarazzo. Ancora più amareggiati i presidenti della Commissione, José Durao Barroso, e del Parlamento, Josep Borrel, che avevano chiesto rispettivamente un impegno per 994 e 975 miliardi, regolarmente disatteso.
Il barometro dell’Unione (e dei rapporti tra le Istituzioni comunitarie e gli Stati membri) segna tempo incerto, almeno fino alle elezioni presidenziali francesi del 2007, che dovrebbero sbloccare la situazione di stallo creatasi soprattutto con la Germania di Angela Merkel, per ricreare – eventualmente – quel traino comune in grado di far ripartire il percorso del Trattato costituzionale. Chissà che l’Italia, intanto, non possa sfruttare questo “vuoto politico” per tornare a recitare un ruolo da protagonista in Europa, magari promotrice (come è stata in passato) di un salto culturale necessario alla costruzione degli Stati Uniti d’Europa. Chiunque vada al governo dovrebbe avvertirne il dovere morale, oltre che il senso strategico.
Bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno quindi? La risposta divide europeisti ed euroscettici da lungo tempo, anche se i puristi seguaci di Altiero Spinelli e del federalismo europeo sembrano stanchi di assistere a continui bastoni tra le ruote comunitarie posti dagli Stati membri, più per ragioni strettamente economiche che non politiche. Anche quest’ultimo round di trattative, è stato comunque vinto dai governi nazionali, che hanno accettato di destinare l’1,0455% del pil comunitario (appunto 866,4 miliardi di euro), a Strasburgo e Bruxelles.
L’Italia se la cava sostanzialmente bene rispetto ai brividi dell’inizio del negoziato, in quanto ha spuntato di pagare leggermente meno di quel che già versa nelle casse comunitarie, mantenendo così un saldo negativo tra dare e avere intorno allo 0,35% del pil nostrano (circa tre miliardi di euro). Altrettanto soddisfatta la Gran Bretagna, che dopo il polverone mediatico sullo “scandalo” del mantenimento dello sconto ottenuto a suo tempo dalla Lady di ferro, Margaret Thatcher, lo vede sfumare (e solo gradualmente) in un lasso di tempo abbastanza lungo da non preoccupare affatto.
“Questa non è una sconfitta per nessuno, bensì un successo per tutti”, ha commentato il presidente Ue di turno, cancelliere austriaco Wolfgang Schuessel. Parole che al solito non riescono a nascondere un puntuale imbarazzo. Ancora più amareggiati i presidenti della Commissione, José Durao Barroso, e del Parlamento, Josep Borrel, che avevano chiesto rispettivamente un impegno per 994 e 975 miliardi, regolarmente disatteso.
Il barometro dell’Unione (e dei rapporti tra le Istituzioni comunitarie e gli Stati membri) segna tempo incerto, almeno fino alle elezioni presidenziali francesi del 2007, che dovrebbero sbloccare la situazione di stallo creatasi soprattutto con la Germania di Angela Merkel, per ricreare – eventualmente – quel traino comune in grado di far ripartire il percorso del Trattato costituzionale. Chissà che l’Italia, intanto, non possa sfruttare questo “vuoto politico” per tornare a recitare un ruolo da protagonista in Europa, magari promotrice (come è stata in passato) di un salto culturale necessario alla costruzione degli Stati Uniti d’Europa. Chiunque vada al governo dovrebbe avvertirne il dovere morale, oltre che il senso strategico.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.