Pubblico impiego
Basta una parola e scoppia la polemica
Interessi e clientelismo su 3,5mln di statali. Vietato anche solo parlarnedi Enrico Cisnetto - 26 maggio 2012
Ed è subito polemica. Ancora non conosciamo il testo della bozza di riforma del pubblico impiego, ammesso e non concesso che mai ci si arrivi, ma la sola idea che i dipendenti pubblici possano essere oggetto di discussione ha già scatenato un fuoco incrociato di accuse e distinguo. Evidentemente, siamo di fronte ad un tabù: vietato discutere dei “licenziamenti degli statali”. Sintomo palese degli interessi politici, elettorali e, soprattutto, clientelari, che si annidano intorno al 3,5 milioni lavoratori del settore. Il ministro Fornero ha lanciato l’auspicio che nella pubblica amministrazione si arrivi a qualcosa di simile di quanto già fatto per il privato. Bene, ma per un ministro auspicare è un po’ poco. Tocca fare. I temi sono due. Primo: perché si può licenziare un lavoratore del privato e non uno statale? Secondo: perché non ispirare ai criteri di efficienza anche il pubblico? Non c’è nessun “furore ideologico”, in questo. C’è, semmai, la necessità di ripensare l’intero impianto della macchina pubblica, per ridurne i costi e per renderla più moderna ed efficiente. Solo di stipendi, stiamo parlando di qualcosa come 170 miliardi l’anno. E non può esistere vera “spending review” senza il taglio dei posti di lavoro inutili e improduttivi, anche quando pubblici.
Il mercato del lavoro è spaccato in due, fra chi è ipertutelato e chi non ha nessuna tutela. I dipendenti pubblici appartengono solo alla prima categoria. E non è che manchino le norme. Per esempio, quelle per il licenziamento degli statali esistono, ma o sono disapplicate, o sono inapplicabili. In altri casi sono norme discriminanti: il dipendente pubblico, in caso di esubero, per due anni riceve l’80% dello stipendio. Un sogno per molti lavoratori autonomi e precari. Per i licenziamenti disciplinari c’è un’altra profonda differenza con il privato: il dipendente pubblico deve essere reintegrato e mai indennizzato, così tornerà ad occupare il suo posto fino al pensionamento.
Il testo del disegno di legge è lontano dall’approdare in Cdm, ma per quello che è emerso fino ad ora la delega imporrebbe un “esame congiunto” con i sindacati nei processi di ristrutturazione delle amministrazioni pubbliche. Un principio concertativo che sostanzialmente cancella la riforma Brunetta, nel proposito di responsabilizzare i sindacati. Mah. La Fornero non è “il ministro dei licenziamenti”, ma solo l’esponente di un governo che sta cercando – si può discutere sui risultati, non sulle intenzioni – di portare l’Italia sulla strada del rinnovamento. La polemica è intorno ad un testo che ancora deve essere presentato, che poi andrà in Parlamento per tornare quindi all’esecutivo per l’attuazione. E siccome siamo ancora nel campo delle ipotesi, la discussione senza tabù è un bene. Non possono esserci lavoratori intoccabili, che godono di privilegi impensabili per gli altri, in un momento in cui è necessario uno scatto di tutta la collettività italiana, unita e coesa. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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