L'editoriale di Società Aperta
Basta con il gioco al massacro
Pd e Pdl ci mettano una pezza, o sarà peggio per loro. E per l'Italiadi Enrico Cisnetto - 24 agosto 2013
Basta. Non ne possiamo più di quotidiani bollettini della politica italiana solo ed esclusivamente incentrati sulla sorte del senatore Berlusconi, sulla costituzionalità o meno della legge Severino e comunque sulla sua applicabilità al caso specifico, sula grazia da chiedere e da concedere, sul gioco del cerino per scaricare la colpa dell’eventuale crisi di governo, sulla decodifica se quella delle elezioni anticipate trattasi di minaccia vera o falsa, con relativi sondaggi annessi, sulla gara tra falchi e colombe del Pdl per convincere (abbindolare?) il Cavaliere a praticare la linea dura o quella morbida, sulla (ri)nascita di Forza Italia e la sua probabile esclusione dal Ppe per mano della signora Merkel, sulle estenuanti manovre interne al Pd, stretto, da un lato, tra un congresso da fare e un segretario da scegliere, e dall’altro, tra una riconfermata linea anti-berlusconiana e una minoritaria (per pavidità) linea garantista da tenere sul fronte sempre aperto della riforma della giustizia. No, non è più tollerabile che un Paese che viene da una crisi senza precedenti che ha sommato la fine convulsa di un sistema politico ventennale (senza che si sia minimamente profilato il dopo) e una recessione che a dicembre ci avrà portato via 10 punti di pil (in 16 trimestri in rosso su 24 degli ultimi sei anni) e un quarto della capacità produttiva industriale, e che non sta affatto vedendo la luce in fondo al tunnel, si avviluppi intorno a temi politici totalmente autoreferenziali.
Sia chiaro, il nostro non è il solito rigurgito populista contro la politica a cui l’Italia – inevitabilmente – si è abituata. I lettori di questa newsletter sanno bene che noi riteniamo la politica decisiva ai fini della salvezza del Paese, e che nessuna scorciatoia – né populista, né tecnocratica, né altro – potrà portarci alla salvifica Terza Repubblica. Ma non “questa” politica, che dopo vent’anni è ancora alle prese con la giustizia ingiusta che già si manifestò a partire dal 1992, con il berlusconismo e la sua antitesi, con il bipolarismo fallimentare che non si decide a lasciare il campo a forme più mature di collaborazione tra forze moderate e riformiste. Abbiamo buttato via l’esperienza del governo tecnico, ora stiamo per farlo con quello delle larghe intese (seppure forzate), senza minimamente badare al fatto che al posto della politica della convergenza resta solo e soltanto la guerra tra chi è pro e chi è contro Berlusconi.
Eppure tutto quello che si sta consumando in queste ore era perfettamente prevedibile (e noi avevamo messo in guardia per tempo da questa eventualità). Era chiaro che se Berlusconi fosse stato condannato non si sarebbe piegato alla sentenza, così come era altrettanto evidente che c’erano (e ci sono) ragioni non solo strumentali che militano a favore di una campagna di vittimizzazione del Cavaliere. Dunque, chi voleva evitare questa situazione – per il bene del Paese ma anche per calcolo politico – poteva e doveva industriarsi per tempo. Non averlo fatto iscrive tutti, senza eccezione alcuna, nel registro dei responsabili di questa situazione. Cosa si poteva fare? L’idea della “grazia preventiva”, avanzata prima che ci fosse la condanna, rispondeva non a un desiderio d’impunità, ma all’opportunità che una sentenza non sconvolgesse la vita pubblica (posto che la condanna di un leader alla galera la sconvolge per definizione). Come? C’era, per esempio, la possibilità di nominare Berlusconi senatore a vita, cosa che gli avrebbe tolto la possibilità di candidarsi (Monti ha parzialmente disattivato questo meccanismo, ma solo un po’). Tesi previdente, ma disattesa.
Una volta arrivata la sentenza, Napolitano non poteva far altro che quello che ha fatto (o meglio, quello che ha detto in quella comunicazione ad hoc). Si sostiene: il Presidente ha sbagliato nell’indicare il meccanismo di grazia attivabile solo su richiesta. Ora, è vero che la grazia può essere data senza che ne sia fatta domanda (ci sono diversi precedenti, è non è neanche un volere esclusivo del presidente, tanto che Cossiga intendeva darla a Curcio ma non ci riuscì per il diniego del governo, cui spetta la controfirma). Ma Napolitano ha escluso questa via, chiedendo esplicitamente che ci sia una domanda da parte dell’interessato, perché non è affatto sicuro che la grazia sia nell’interesse del politico Berlusconi (l’uomo qui non c’entra), che da questa eventualità uscirebbe politicamente evirato. Tanto è vero che il Cavaliere si è (giustamente) orientato a non chiederla: se Berlusconi lo facesse, non solo dovrebbe ammettere la colpevolezza e mostrare redenzione, ma non risolverebbe i suoi problemi giudiziari, visto che ce ne sono altri prossimi a maturazione. Insomma, sostenere, da parte del Capo dello Stato, l’intenzione di “concederla a prescindere” sarebbe stata una forzatura politica inammissibile. Si noti, semmai, che il Colle non s’è legato le mani sulla eventuale commutazione della pena. Che a questo punto resta l’ultima via percorribile. Ma richiede un clima diverso da quello che si è creato, e che sta spostando l’attenzione – anche a danno di Berlusconi, ma l’uomo stando alle cronache non sembra capirlo – dalla sua vicenda a quella della sopravvivenza del governo. Tutti le altre strade o sono impraticabili – per esempio l’amnistia, che richiede la maggioranza qualificata in parlamento per essere adottata – o ad altissimi rischio. Per misurare il tasso di confusione che regna, si confrontino gli interventi di due presidenti emeriti della Corte Costituzionale: De Siervo sostiene che per dirimere le questioni sorte intorno alla legge Severino il ricorso alla Consulta è inutile, Capotosti (e noi crediamo abbia ragione) che è saggio.
C’è poi una strada tutta politica per uscire dal guano in cui siamo finiti. Quale? Che Berlusconi prenda atto di essere politicamente finito (e non per via della sentenza, ma per i suoi fallimenti di governo) e chiuda la sua stagione qui, direte voi. Certo, questa sarebbe la cosa più semplice, e il Cavaliere finalmente si guadagnerebbe una pagina decente nei libri di storia. Ma così non sarà, è inutile sperare in accadimenti privi di alcuna probabilità. Invece, ci sono due passaggi politici che sono nella potenziale disponibilità dei moderati del Pdl (e non solo, si pensi a Tosi e Crosetto) e dei riformisti del Pd. Il primo è quello di dar vita subito ad un nuovo soggetto politico moderato, che faccia capire che Berlusconi non corrisponde al capolinea del centro-destra italiano. E sì, perché non va dimenticato che se la situazione è questa è perché i moderati sono da sempre privi di una leadership di riserva, e hanno tollerato che la rappresentanza della loro area fosse esclusivamente nelle mani di un partito padronale. Non c’è bisogno di pronunciare parole attinte dal gergo anti-brlusconiano, ma vivvadio uscite allo scoperto una buona volta e non lasciate che siano solo degli ex (Urbani, Pera) a dire cose sensate. Il secondo passaggio – da gestire in parallelo al primo – è una presa di posizione netta sulla giustizia, anzi una bel testo di riforma organica, da parte dei riformisti e garantisti della sinistra. Perché come ha recentemente ricordato Rino Formica, a distanza di due decenni i temi sollevati da Craxi in parlamento prima del suo esilio non hanno ancora trovato risposta. Non una risposta diretta al problema Berlusconi – al quale, anzi, va imputato di non essere stato capace di mettere mano al problema giustizia – ma alla progressiva scomparsa in Italia del diritto.
Difficile? Difficilissimo, per quel che si è visto fin qui. Ma Pdl e Pd facciano bene i conti, se s’intestardiranno a credere che gli italiani di fronte a questo scempio avranno voglia di dividersi in guelfi e ghibellini, avranno amare sorprese. E scopriranno che alla fine di questa partita i veri perdenti saranno proprio loro. Oltre al Paese, destinato a farsi molto male.
Sia chiaro, il nostro non è il solito rigurgito populista contro la politica a cui l’Italia – inevitabilmente – si è abituata. I lettori di questa newsletter sanno bene che noi riteniamo la politica decisiva ai fini della salvezza del Paese, e che nessuna scorciatoia – né populista, né tecnocratica, né altro – potrà portarci alla salvifica Terza Repubblica. Ma non “questa” politica, che dopo vent’anni è ancora alle prese con la giustizia ingiusta che già si manifestò a partire dal 1992, con il berlusconismo e la sua antitesi, con il bipolarismo fallimentare che non si decide a lasciare il campo a forme più mature di collaborazione tra forze moderate e riformiste. Abbiamo buttato via l’esperienza del governo tecnico, ora stiamo per farlo con quello delle larghe intese (seppure forzate), senza minimamente badare al fatto che al posto della politica della convergenza resta solo e soltanto la guerra tra chi è pro e chi è contro Berlusconi.
Eppure tutto quello che si sta consumando in queste ore era perfettamente prevedibile (e noi avevamo messo in guardia per tempo da questa eventualità). Era chiaro che se Berlusconi fosse stato condannato non si sarebbe piegato alla sentenza, così come era altrettanto evidente che c’erano (e ci sono) ragioni non solo strumentali che militano a favore di una campagna di vittimizzazione del Cavaliere. Dunque, chi voleva evitare questa situazione – per il bene del Paese ma anche per calcolo politico – poteva e doveva industriarsi per tempo. Non averlo fatto iscrive tutti, senza eccezione alcuna, nel registro dei responsabili di questa situazione. Cosa si poteva fare? L’idea della “grazia preventiva”, avanzata prima che ci fosse la condanna, rispondeva non a un desiderio d’impunità, ma all’opportunità che una sentenza non sconvolgesse la vita pubblica (posto che la condanna di un leader alla galera la sconvolge per definizione). Come? C’era, per esempio, la possibilità di nominare Berlusconi senatore a vita, cosa che gli avrebbe tolto la possibilità di candidarsi (Monti ha parzialmente disattivato questo meccanismo, ma solo un po’). Tesi previdente, ma disattesa.
Una volta arrivata la sentenza, Napolitano non poteva far altro che quello che ha fatto (o meglio, quello che ha detto in quella comunicazione ad hoc). Si sostiene: il Presidente ha sbagliato nell’indicare il meccanismo di grazia attivabile solo su richiesta. Ora, è vero che la grazia può essere data senza che ne sia fatta domanda (ci sono diversi precedenti, è non è neanche un volere esclusivo del presidente, tanto che Cossiga intendeva darla a Curcio ma non ci riuscì per il diniego del governo, cui spetta la controfirma). Ma Napolitano ha escluso questa via, chiedendo esplicitamente che ci sia una domanda da parte dell’interessato, perché non è affatto sicuro che la grazia sia nell’interesse del politico Berlusconi (l’uomo qui non c’entra), che da questa eventualità uscirebbe politicamente evirato. Tanto è vero che il Cavaliere si è (giustamente) orientato a non chiederla: se Berlusconi lo facesse, non solo dovrebbe ammettere la colpevolezza e mostrare redenzione, ma non risolverebbe i suoi problemi giudiziari, visto che ce ne sono altri prossimi a maturazione. Insomma, sostenere, da parte del Capo dello Stato, l’intenzione di “concederla a prescindere” sarebbe stata una forzatura politica inammissibile. Si noti, semmai, che il Colle non s’è legato le mani sulla eventuale commutazione della pena. Che a questo punto resta l’ultima via percorribile. Ma richiede un clima diverso da quello che si è creato, e che sta spostando l’attenzione – anche a danno di Berlusconi, ma l’uomo stando alle cronache non sembra capirlo – dalla sua vicenda a quella della sopravvivenza del governo. Tutti le altre strade o sono impraticabili – per esempio l’amnistia, che richiede la maggioranza qualificata in parlamento per essere adottata – o ad altissimi rischio. Per misurare il tasso di confusione che regna, si confrontino gli interventi di due presidenti emeriti della Corte Costituzionale: De Siervo sostiene che per dirimere le questioni sorte intorno alla legge Severino il ricorso alla Consulta è inutile, Capotosti (e noi crediamo abbia ragione) che è saggio.
C’è poi una strada tutta politica per uscire dal guano in cui siamo finiti. Quale? Che Berlusconi prenda atto di essere politicamente finito (e non per via della sentenza, ma per i suoi fallimenti di governo) e chiuda la sua stagione qui, direte voi. Certo, questa sarebbe la cosa più semplice, e il Cavaliere finalmente si guadagnerebbe una pagina decente nei libri di storia. Ma così non sarà, è inutile sperare in accadimenti privi di alcuna probabilità. Invece, ci sono due passaggi politici che sono nella potenziale disponibilità dei moderati del Pdl (e non solo, si pensi a Tosi e Crosetto) e dei riformisti del Pd. Il primo è quello di dar vita subito ad un nuovo soggetto politico moderato, che faccia capire che Berlusconi non corrisponde al capolinea del centro-destra italiano. E sì, perché non va dimenticato che se la situazione è questa è perché i moderati sono da sempre privi di una leadership di riserva, e hanno tollerato che la rappresentanza della loro area fosse esclusivamente nelle mani di un partito padronale. Non c’è bisogno di pronunciare parole attinte dal gergo anti-brlusconiano, ma vivvadio uscite allo scoperto una buona volta e non lasciate che siano solo degli ex (Urbani, Pera) a dire cose sensate. Il secondo passaggio – da gestire in parallelo al primo – è una presa di posizione netta sulla giustizia, anzi una bel testo di riforma organica, da parte dei riformisti e garantisti della sinistra. Perché come ha recentemente ricordato Rino Formica, a distanza di due decenni i temi sollevati da Craxi in parlamento prima del suo esilio non hanno ancora trovato risposta. Non una risposta diretta al problema Berlusconi – al quale, anzi, va imputato di non essere stato capace di mettere mano al problema giustizia – ma alla progressiva scomparsa in Italia del diritto.
Difficile? Difficilissimo, per quel che si è visto fin qui. Ma Pdl e Pd facciano bene i conti, se s’intestardiranno a credere che gli italiani di fronte a questo scempio avranno voglia di dividersi in guelfi e ghibellini, avranno amare sorprese. E scopriranno che alla fine di questa partita i veri perdenti saranno proprio loro. Oltre al Paese, destinato a farsi molto male.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.