C’è differenza tra condanne penali e morali
Balzerani e Ronconi: due casi diversi
Ancora troppa omertà nelle “confessioni” dei brigatisti rossi.Clemenza, ma anche chiarezzadi Davide Giacalone - 19 dicembre 2006
Non si faccia confusione, il caso di Susanna Ronconi e quello di Barbara Balzerani non sono simili, non possono essere commentati utilizzando lo stesso metro.
Nel primo caso (purtroppo non isolato) si assume che la collettività possa farsi carico di dare posti, consulenze e denari a chi non solo si è macchiato di reati gravissimi, ma quella stessa collettività avrebbe voluto distruggere. Lo trovo inaccettabile in sé, diventa poi abominevole se messo a paragone con il nulla che si fa per le famiglie delle vittime, spesso servitori dello Stato, comunque innocenti cittadini. Nel secondo caso, invece, è il Tribunale di sorveglianza che applicando (discrezionalmente, come sempre e com’è inevitabile) le leggi stabilisce che quella singola persona ha diritto a dei benefici, la semilibertà prima, quella condizionata poi. Il meccanismo è giusto e va difeso. La decisione specifica non lo so, ma non tocca a me dirlo. Vedo che da molte parti si fa riferimento ai parenti delle vittime, a quanti non hanno perdonato, così come si richiamano i concetti di pentimento e rimorso. Trovo il tutto molto sbagliato. L’idea che la pena possa essere modificata sulla base dell’opinione di parenti delle vittime è interna alla legge islamica, francamente non mi pare una buona fonte. La legge disciplina il ruolo delle parti danneggiate, ed è evidente che un lutto non potrà mai essere compensato, ma dal momento in cui un assassino viene arrestato è con lo Stato che deve fare i conti, non con le sue vittime. In quanto a pentimenti e rimorsi, quelli sono sentimenti morali, non giuridici (e, semmai, vorrei ricordare con raccapriccio il mercimonio dei falsi pentimenti, i pluriassassini che sono fuori dal carcere solo perché oltre ad essere carnefici sono anche delatori), auguro a questi criminali di provarli, sarebbe un segno di umanità, ma non possono essere né accertati né pesati.
Il Tribunale di sorveglianza prende in esame elementi concreti, relativi alla condotta, alla rielaborazione critica del proprio passato. Non si dimentichi mai che le condanne penali sono una cosa, quelle morali altra.
Ci sono due cose, però, che mi pare valga la pena aggiungere. In italiano le parole hanno un senso, ed “ergastolo” significa “carcere a vita”. La Balzerani ne aveva tre. Perché certi provvedimenti non suonino beffa occorre chiamare le cose in modo diverso, non cambiare il senso alle parole. Inoltre, non dimentico che non tutto è chiarito, di quella stagione terrorista, che è in libertà uno come Mario Moretti, che non credo abbia raccontato quello che sa, a partire dalle complicità internazionali, che la stessa Balzerani era la custode del covo di via Gradoli, ed ancora oggi ci si domanda chi volle che fosse scoperto, chi volle indicarne l’esistenza passando un’informazione che poi Romano Prodi travestì da seduta spiritica. Ecco, credo che nel valutare le persone possa ben utilizzarsi anche il valore delle cose che hanno raccontato, e di quelle che non hanno voluto raccontare.
www.davidegiacalone.it
Nel primo caso (purtroppo non isolato) si assume che la collettività possa farsi carico di dare posti, consulenze e denari a chi non solo si è macchiato di reati gravissimi, ma quella stessa collettività avrebbe voluto distruggere. Lo trovo inaccettabile in sé, diventa poi abominevole se messo a paragone con il nulla che si fa per le famiglie delle vittime, spesso servitori dello Stato, comunque innocenti cittadini. Nel secondo caso, invece, è il Tribunale di sorveglianza che applicando (discrezionalmente, come sempre e com’è inevitabile) le leggi stabilisce che quella singola persona ha diritto a dei benefici, la semilibertà prima, quella condizionata poi. Il meccanismo è giusto e va difeso. La decisione specifica non lo so, ma non tocca a me dirlo. Vedo che da molte parti si fa riferimento ai parenti delle vittime, a quanti non hanno perdonato, così come si richiamano i concetti di pentimento e rimorso. Trovo il tutto molto sbagliato. L’idea che la pena possa essere modificata sulla base dell’opinione di parenti delle vittime è interna alla legge islamica, francamente non mi pare una buona fonte. La legge disciplina il ruolo delle parti danneggiate, ed è evidente che un lutto non potrà mai essere compensato, ma dal momento in cui un assassino viene arrestato è con lo Stato che deve fare i conti, non con le sue vittime. In quanto a pentimenti e rimorsi, quelli sono sentimenti morali, non giuridici (e, semmai, vorrei ricordare con raccapriccio il mercimonio dei falsi pentimenti, i pluriassassini che sono fuori dal carcere solo perché oltre ad essere carnefici sono anche delatori), auguro a questi criminali di provarli, sarebbe un segno di umanità, ma non possono essere né accertati né pesati.
Il Tribunale di sorveglianza prende in esame elementi concreti, relativi alla condotta, alla rielaborazione critica del proprio passato. Non si dimentichi mai che le condanne penali sono una cosa, quelle morali altra.
Ci sono due cose, però, che mi pare valga la pena aggiungere. In italiano le parole hanno un senso, ed “ergastolo” significa “carcere a vita”. La Balzerani ne aveva tre. Perché certi provvedimenti non suonino beffa occorre chiamare le cose in modo diverso, non cambiare il senso alle parole. Inoltre, non dimentico che non tutto è chiarito, di quella stagione terrorista, che è in libertà uno come Mario Moretti, che non credo abbia raccontato quello che sa, a partire dalle complicità internazionali, che la stessa Balzerani era la custode del covo di via Gradoli, ed ancora oggi ci si domanda chi volle che fosse scoperto, chi volle indicarne l’esistenza passando un’informazione che poi Romano Prodi travestì da seduta spiritica. Ecco, credo che nel valutare le persone possa ben utilizzarsi anche il valore delle cose che hanno raccontato, e di quelle che non hanno voluto raccontare.
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L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.