Draghi, Lagarde e non solo
Attenti alla guerra monetaria
Serve una nuova “Bretton Woods” per ridefinire le regole delle relazioni finanziarie ed arrivare ad un nuovo ordine monetario internazionaledi Enrico Cisnetto - 04 aprile 2014
Di tutto abbiamo bisogno, meno che di una guerra monetaria. Già è tornato lo spettro della “guerra fredda”, per colpa delle manie espansionistiche di Putin e della difficoltà dell’Europa a replicare – vuoi per la mancanza di una politica estera comune vuoi per il “ricatto energetico” che alcuni paesi subiscono – che obbliga gli Stati Uniti a mostrarsi “interventisti”. Ci manca solo che la divergenza tra le politiche economiche e monetarie dei grandi player mondiali, dei governi e delle banche centrali, scateni un conflitto planetario, dopo che con grande sofferenza, e lasciando aperte lacune evidenti, si è cercato di dare una sistemata ai problemi globali causati dalla crisi finanziaria mondiale partita nell’estate del 2007.
E che ci sia in giro troppo nervosismo lo dimostra il cortese ma significativo ping-pong dialettico tra il direttore generale dell’Fmi, Christine Lagarde, che alla vigilia della riunione del board della Bce di ieri ha dichirato che “in Eurolandia c’è bisogno di un allentamento della politica monetaria, anche con misure non convenzionali” per scongiurare il rischio di una “bassa inflazione che potrebbe soffocare la crescita e l’occupazione”, e il presidente della Bce, Mario Draghi, che l’ha mandata a stendere dicendo che gli “piacerebbe che il Fondo Monetario fosse generoso nel dare consigli anche verso le altre banche centrali, che rilasciasse dei comunicati anche prima di una riunione della Federal Reserve”. Rassicurando però che se il pericolo deflazione dovesse più concretamente manifestarsi la Bce “non esclude un ulteriore allentamento della politica monetaria” ed è decisa ad “agire prontamente” anche con “misure non convenzionali”.
Il duello Fmi-Bce evidenzia come stia diventando sempre più stridente la divergenza tra le politiche espansive di Giappone e Usa, che hanno scongiurato l’eccesso di caduta dell’inflazione e aiutato la crescita del pil, e quelle decisamente più prudenti dell’Europa, che per questo rischia di finire stritolata nella mortale accoppiata deflazione-stagnazione. Anche perché il corollario di questa contrastante linea di condotta è un regime di cambi che risulta insopportabilmente alto per l’euro, a danno dei paesi esportatori dell’Europa meridionale – Italia in testa – ma non della Germania, che si avvantaggia del basso costo del denaro e non paga fio nell’export avendo delocalizzato fuori dall’area comunitaria una fetta importante della sua economia. Per questo accusare Draghi è non solo sbagliato, ma controproducente, visto che il numero della Bce sa benissimo, anche senza i consigli di madame Lagarde, che occorrerebbe una politica monetaria più espansiva, ma deve fare i conti con gli equilibri più che precari che ci sono nell’euroclub. Equilibri che rischiano di essere resi ancor più traballanti (e quindi maggiormente favorevoli ai tedeschi), paradossalmente proprio da Washington. Infatti, da un lato, la discesa sotto soglia dell’inflazione è in gran parte dovuta alla caduta dei prezzi delle materie prime energetiche, indotta dal drastico ridimensionamento del costo dell’energia negli Stati Uniti per effetto dell’uso massiccio dello shale gas, mentre dall’altro, lo scontro aperto Putin-Obama ha finito col dividere ancor di più il Vecchio Continente, per via dei rapporti di fornitura del gas russo e della conseguente prudenza con cui la Germania (ma anche l’Italia) ha dovuto affrontare la crisi ucraina.
Insomma, le scelte in campo monetario incrociano quelle sul fronte geo-politico e geo-energetico, rischiando di produrre una pericolosa miscela esplosiva. Per questo mi permetto rispolverare una vecchia idea, purtroppo fin qui inascoltata: convocare una nuova “Bretton Woods” per ridefinire le regole delle relazioni finanziarie tra i principali paesi del mondo, con lo scopo di arrivare ad un nuovo ordine monetario internazionale. Solo in una sede come quella tutte le questioni aperte in questo momento, e le relative tensioni che hanno generato, possono trovare una sintesi. Non sarà certo la logica punitiva di un G8 declassato a G7 per evitare la presenza della Russia, che può consentire di trovare soluzioni condivise e costruttive. Ci vuole uno strumento “non convenzionale”, per dirla con le parole usate dalla Lagarde per indurre la Bce a imitare la Fed e la Boj.
E, anzi, potrebbe essere proprio l’Fmi – facendo onore al suo nome e al ruolo che dovrebbe avere – a proporre la convocazione di un summit monetario globale. Che rappresenterebbe, se si ci pensa bene, una via d’uscita per tanti. Per le banche centrali, che potrebbero trovare finalmente un coordinamento. Per l’Europa, che deve trovare in fretta (magari prima delle elezioni del 23 maggio) un antidoto non populista al crescente sentimento anti-euro. Per Putin, che dopo l’annessione della Crimea deve concedere qualcosa se vuole evitare di far scoppiare la terza guerra mondiale. E pure per Obama, che dopo Siria e Ucraina, e non riuscendo a creare un solido fronte anti-tedesco in Europa (Italia e Francia hanno troppe contraddizioni), qualche chiodo deve pur piantarlo. Attendiamo fiduciosi.
E che ci sia in giro troppo nervosismo lo dimostra il cortese ma significativo ping-pong dialettico tra il direttore generale dell’Fmi, Christine Lagarde, che alla vigilia della riunione del board della Bce di ieri ha dichirato che “in Eurolandia c’è bisogno di un allentamento della politica monetaria, anche con misure non convenzionali” per scongiurare il rischio di una “bassa inflazione che potrebbe soffocare la crescita e l’occupazione”, e il presidente della Bce, Mario Draghi, che l’ha mandata a stendere dicendo che gli “piacerebbe che il Fondo Monetario fosse generoso nel dare consigli anche verso le altre banche centrali, che rilasciasse dei comunicati anche prima di una riunione della Federal Reserve”. Rassicurando però che se il pericolo deflazione dovesse più concretamente manifestarsi la Bce “non esclude un ulteriore allentamento della politica monetaria” ed è decisa ad “agire prontamente” anche con “misure non convenzionali”.
Il duello Fmi-Bce evidenzia come stia diventando sempre più stridente la divergenza tra le politiche espansive di Giappone e Usa, che hanno scongiurato l’eccesso di caduta dell’inflazione e aiutato la crescita del pil, e quelle decisamente più prudenti dell’Europa, che per questo rischia di finire stritolata nella mortale accoppiata deflazione-stagnazione. Anche perché il corollario di questa contrastante linea di condotta è un regime di cambi che risulta insopportabilmente alto per l’euro, a danno dei paesi esportatori dell’Europa meridionale – Italia in testa – ma non della Germania, che si avvantaggia del basso costo del denaro e non paga fio nell’export avendo delocalizzato fuori dall’area comunitaria una fetta importante della sua economia. Per questo accusare Draghi è non solo sbagliato, ma controproducente, visto che il numero della Bce sa benissimo, anche senza i consigli di madame Lagarde, che occorrerebbe una politica monetaria più espansiva, ma deve fare i conti con gli equilibri più che precari che ci sono nell’euroclub. Equilibri che rischiano di essere resi ancor più traballanti (e quindi maggiormente favorevoli ai tedeschi), paradossalmente proprio da Washington. Infatti, da un lato, la discesa sotto soglia dell’inflazione è in gran parte dovuta alla caduta dei prezzi delle materie prime energetiche, indotta dal drastico ridimensionamento del costo dell’energia negli Stati Uniti per effetto dell’uso massiccio dello shale gas, mentre dall’altro, lo scontro aperto Putin-Obama ha finito col dividere ancor di più il Vecchio Continente, per via dei rapporti di fornitura del gas russo e della conseguente prudenza con cui la Germania (ma anche l’Italia) ha dovuto affrontare la crisi ucraina.
Insomma, le scelte in campo monetario incrociano quelle sul fronte geo-politico e geo-energetico, rischiando di produrre una pericolosa miscela esplosiva. Per questo mi permetto rispolverare una vecchia idea, purtroppo fin qui inascoltata: convocare una nuova “Bretton Woods” per ridefinire le regole delle relazioni finanziarie tra i principali paesi del mondo, con lo scopo di arrivare ad un nuovo ordine monetario internazionale. Solo in una sede come quella tutte le questioni aperte in questo momento, e le relative tensioni che hanno generato, possono trovare una sintesi. Non sarà certo la logica punitiva di un G8 declassato a G7 per evitare la presenza della Russia, che può consentire di trovare soluzioni condivise e costruttive. Ci vuole uno strumento “non convenzionale”, per dirla con le parole usate dalla Lagarde per indurre la Bce a imitare la Fed e la Boj.
E, anzi, potrebbe essere proprio l’Fmi – facendo onore al suo nome e al ruolo che dovrebbe avere – a proporre la convocazione di un summit monetario globale. Che rappresenterebbe, se si ci pensa bene, una via d’uscita per tanti. Per le banche centrali, che potrebbero trovare finalmente un coordinamento. Per l’Europa, che deve trovare in fretta (magari prima delle elezioni del 23 maggio) un antidoto non populista al crescente sentimento anti-euro. Per Putin, che dopo l’annessione della Crimea deve concedere qualcosa se vuole evitare di far scoppiare la terza guerra mondiale. E pure per Obama, che dopo Siria e Ucraina, e non riuscendo a creare un solido fronte anti-tedesco in Europa (Italia e Francia hanno troppe contraddizioni), qualche chiodo deve pur piantarlo. Attendiamo fiduciosi.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.