I giovani hanno il dovere di ribellarsi
Attenti ai falsi miti
Bisogna concorrere a creare un mondo meritocratico, premiando capacità e volontàdi Davide Giacalone - 16 settembre 2008
Ho sognato che i giovani, diversi e migliori dei loro padri. Per questo ho pensato che il loro ritorno a scuola potrebbe coincidere con il nascere di un agguerrito movimento di protesta, che li mobiliti contro un’istruzione pubblica incapace di offrire loro le condizioni per eccellere e contro un mercato del lavoro che, per proteggere lavori e lavoratori fuori mercato, li destina alla marginalità ed alla lentezza esasperante del progredire. Siamo privi di mobilità sociale, non classisti, ma con ceti pietrificati. Ci sono professioni ereditarie, come nel corporativismo medioevale, mentre il merito e la preparazione, quando ci sono, contano poco e niente. Il meridione scivola verso il sottosviluppo culturale, ma pare sia caritatevole non trattenerlo. I giovani ne ricaveranno povertà, non solo economica.
Siamo un Paese in cui molti aspettano la fine. La fine dell’età lavorativa, per accedere ad una pensione che i giovani non avranno mai. La fine d’aziende bollite, il cui peso economico e sindacale sia tale da destare l’attenzione della politica e dei media, talché possano esserci i tempi supplementari e s’allunghi la vita apparente. La fine di protezionismi che ci servono a tutelare ex monopolisti di Stato, nel frattempo cercando di sistemare le proprie cose e fuggire al crollo con l’ultima scialuppa. E c’è tutto un mondo economico che sulle fasi terminali conta di far gli ultimi profitti, che, se la cosa non avesse un risvolto penale, potrebbero anche chiamarsi rapine. Ma loro, i giovani, non possono accettare che il futuro sia cancellato. La loro attesa sarà troppo lunga, e quando s’affacceranno al tavolo del banchetto ci saranno solo scarti.
Per questo li penso in piazza, arrabbiati, ad urlare: tenetevi il vostro egualitarismo della miseria, tenetevi i vostri pezzi di carta senza cultura, toglietevi di mezzo, profittatori dell’immobilismo e lucratori della stagnazione, noi vogliamo rivoltare le vostre acque, creare un mondo meritocratico che di voi faccia gli ultimi, avere il dinamismo che ci prometta ricchezza in cambio di capacità e volontà, levatevi dal groppone perché a noi tocca correre nel mondo. Ho sognato il loro diritto alla ribellione. Se, invece, protestano per il sette in condotta, vuol dire che dai padri hanno preso il peggio. E non era facile.
Pubblicato su Libero di martedì 16 settembre
Siamo un Paese in cui molti aspettano la fine. La fine dell’età lavorativa, per accedere ad una pensione che i giovani non avranno mai. La fine d’aziende bollite, il cui peso economico e sindacale sia tale da destare l’attenzione della politica e dei media, talché possano esserci i tempi supplementari e s’allunghi la vita apparente. La fine di protezionismi che ci servono a tutelare ex monopolisti di Stato, nel frattempo cercando di sistemare le proprie cose e fuggire al crollo con l’ultima scialuppa. E c’è tutto un mondo economico che sulle fasi terminali conta di far gli ultimi profitti, che, se la cosa non avesse un risvolto penale, potrebbero anche chiamarsi rapine. Ma loro, i giovani, non possono accettare che il futuro sia cancellato. La loro attesa sarà troppo lunga, e quando s’affacceranno al tavolo del banchetto ci saranno solo scarti.
Per questo li penso in piazza, arrabbiati, ad urlare: tenetevi il vostro egualitarismo della miseria, tenetevi i vostri pezzi di carta senza cultura, toglietevi di mezzo, profittatori dell’immobilismo e lucratori della stagnazione, noi vogliamo rivoltare le vostre acque, creare un mondo meritocratico che di voi faccia gli ultimi, avere il dinamismo che ci prometta ricchezza in cambio di capacità e volontà, levatevi dal groppone perché a noi tocca correre nel mondo. Ho sognato il loro diritto alla ribellione. Se, invece, protestano per il sette in condotta, vuol dire che dai padri hanno preso il peggio. E non era facile.
Pubblicato su Libero di martedì 16 settembre
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.