Uno studio Censis conferma un luogo comune
Apriamo il mercato del lavoro
Le raccomandazioni spesso alla base del primo impiego. Non cancellare la Biagi, ma rafforzarladi Davide Giacalone - 03 ottobre 2005
Fra i giovani italiani che trovano un primo lavoro, ben il sessanta per cento lo deve ad un intervento della propria famiglia. Detto in modo diverso: la famiglia, in Italia, è il più efficiente ufficio di collocamento. Questo dato, frutto di una ricerca del Censis, deve poi essere messo in relazione con analoghe ricerche fatte in altri Paesi, dalle quali emerge che le famiglie provano sempre a dare una mano ai propri ragazzi, ma sono assi più efficienti i canali istituzionali di collocamento, o anche solo lo spirito d’iniziativa di chi risponde ad un annuncio sul giornale.
E’ sbagliato credere che l’elemento più rilevante, messo in luce dalla ricerca, sia il familismo, o la solidarietà familiare che dir si voglia, molto più importante quel che i numeri raccontano a proposito del mercato.
Prima di tutto risulta evidente che dovendo assumere qualcuno si finisce con il privilegiare l’aspetto relazionale, l’affidabilità personale sulla competenza professionale. Mica si assume solo manovalanza, in Italia, e se uno studio professionale decide di prendere il giovane figlio di un amico, piuttosto che il più bravo coetaneo è anche perché, nel mercato, non c’è reale concorrenza fra studi professionali. Il continuare a tenere le professioni ingabbiate dentro le armature corporative, con in una mano la mazza degli albi e nell’altra la durlindana delle tariffe, finisce con il rendere tutti, nella media, eguali. Ed allora, dovendosi solo compilare l’ennesimo ricorso alla solita Cassazione, o la milionesima dichiarazione dei redditi, a che vale assumere un individuo ambizioso, per quanto bravo possa essere, mentre già si può accedere al mercato parallelo dei mediocri figli dell’amico?
Non si dirà mai abbastanza che un mercato senza concorrenza è un mercato che seleziona le mezze tacche. E chi, invece, crede che la concorrenza sia solo spietato darwinismo, chi pensa che i nostri giovani laureati in legge abbiano tutti diritto a far l’avvocaticchio, beh, si chieda perché nei fori internazionali gli avvocati italiani scarseggiano.
La seconda cosa messa in evidenza è che un mercato del lavoro troppo ingessato e vincolato è un danno secco per i non garantiti, ivi compresi i non garantiti a causa di una famiglia d’origine che non dispone di un’efficiente ed utile rete d’amicizie. Più libertà di assumere e più libertà di licenziare, meno vincoli e meno costi previdenziali, significano più lavoro e meno precariato. Pretendere garanzie eccessive, difenderle con la corporazione sindacale, significa aumentare la disoccupazione ed il mercato nero.
Il sistema Italia ha fatto un piccolo passo in avanti con la legge Biagi. Il triste è che la nostra sinistra, ovvero quella parte politica che la tradizione vuole più attenta ai bisogni ed ai diritti dei lavoratori, non chiede di migliorarla, ma di abrogarla. E mi punge vaghezza che i loro figli (come quelli degli altri) siano quasi tutti a rinfoltire le fila di quel sessanta per cento di cui parla il Censis.
E’ sbagliato credere che l’elemento più rilevante, messo in luce dalla ricerca, sia il familismo, o la solidarietà familiare che dir si voglia, molto più importante quel che i numeri raccontano a proposito del mercato.
Prima di tutto risulta evidente che dovendo assumere qualcuno si finisce con il privilegiare l’aspetto relazionale, l’affidabilità personale sulla competenza professionale. Mica si assume solo manovalanza, in Italia, e se uno studio professionale decide di prendere il giovane figlio di un amico, piuttosto che il più bravo coetaneo è anche perché, nel mercato, non c’è reale concorrenza fra studi professionali. Il continuare a tenere le professioni ingabbiate dentro le armature corporative, con in una mano la mazza degli albi e nell’altra la durlindana delle tariffe, finisce con il rendere tutti, nella media, eguali. Ed allora, dovendosi solo compilare l’ennesimo ricorso alla solita Cassazione, o la milionesima dichiarazione dei redditi, a che vale assumere un individuo ambizioso, per quanto bravo possa essere, mentre già si può accedere al mercato parallelo dei mediocri figli dell’amico?
Non si dirà mai abbastanza che un mercato senza concorrenza è un mercato che seleziona le mezze tacche. E chi, invece, crede che la concorrenza sia solo spietato darwinismo, chi pensa che i nostri giovani laureati in legge abbiano tutti diritto a far l’avvocaticchio, beh, si chieda perché nei fori internazionali gli avvocati italiani scarseggiano.
La seconda cosa messa in evidenza è che un mercato del lavoro troppo ingessato e vincolato è un danno secco per i non garantiti, ivi compresi i non garantiti a causa di una famiglia d’origine che non dispone di un’efficiente ed utile rete d’amicizie. Più libertà di assumere e più libertà di licenziare, meno vincoli e meno costi previdenziali, significano più lavoro e meno precariato. Pretendere garanzie eccessive, difenderle con la corporazione sindacale, significa aumentare la disoccupazione ed il mercato nero.
Il sistema Italia ha fatto un piccolo passo in avanti con la legge Biagi. Il triste è che la nostra sinistra, ovvero quella parte politica che la tradizione vuole più attenta ai bisogni ed ai diritti dei lavoratori, non chiede di migliorarla, ma di abrogarla. E mi punge vaghezza che i loro figli (come quelli degli altri) siano quasi tutti a rinfoltire le fila di quel sessanta per cento di cui parla il Censis.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.