La tedesca Siemens prova a fare acquisti in Italia
Ansaldo Energia, l'occasione per creare poli industriali
Per essere davvero utile, l’intervento su Ansaldo, come anche altrove, deve puntare non solo a trattenere in Italia ciò che rischia di servire altri interessi, ma cogliere l’occasione per creare poli di grandi dimensioni. Vogliamo provarci, una volta tanto?di Enrico Cisnetto - 07 ottobre 2012
Forse riusciamo a trattenere in Italia un’azienda strategica – per settore di attività, livello di tecnologia e rapporti internazionali – come Ansaldo Energia. Per molti mesi si è consentito che la tedesca Siemens, pur in sofferenza per una crisi che tocca anche loro, fosse virtualmente la nuova padrona della società brillantemente guidata da Giuseppe Zampini. E questo, da un lato, per colpa della miopia del management di Finmeccanica – impegnato prima a creare, con una politica di bilancio insensata, le premesse per dover vendere i gioielli del gruppo in modo da tappare i buchi, e poi a cercare un compratore purché sia – e dall’altro, per l’atarassia del governo che, essendo privo di una qualsiasi linea di politica industriale, ha assistito alla (s)vendita senza aprire bocca. Pur essendo chiaro che la Siemens non avrebbe potuto e non potrebbe far altro che “digerire” Ansaldo, che gli è fortemente sovrapposta, con una bella cura dimagrante a base di economie di scala (tagli occupazionali e asportazione di know how specifici, come la manutenzione delle macchine non targate Siemens).
Già nell’aprile scorso, il Fondo strategico che fa capo alla Cassa depositi e prestiti si era detto pronto a intervenire, con un’offerta formale, e il vertice dell’azienda era favorevolissimo. Ma il no di Orsi e il non intervento del governo avevano bloccato l’operazione, dando spago ai tedeschi. Ora, le tanti voci che si sono sollevate e un po’ di buonsenso stanno riportando in auge l’ipotesi Fondo-Cdp, e mettendo in secondo piano Siemens. Che, visti i problemi di casa propria, non sembra neppure troppo scontento di dover eventualmente mollare la presa. Bene, ma non basta. Prima di tutto occorre una scelta chiara dell’azionista di Finmeccanica.
Il Tesoro deve dire non solo che Ansaldo Energia è strategica, come pure le altre Ansaldo (Sts e Breda), e in quanto tale assicurata agli interessi nazionali – come, a parti invertite, farebbe qualunque altro paese, a cominciare da quelli più liberali – ma anche in quale contesto vuole sia inserita, per fare in modo che la sua permanenza in Italia corrisponda ad una aggregazione virtuosa di una filiera più complessa. Per essere esplicito: l’operazione Fondo-Cdp ha senso nella misura in cui intorno ad Ansaldo si costruisce non un’operazione solo finanziaria o una cordata di “volenterosi patrioti” stile Alitalia, ma un polo industriale made in Italy degli impianti di produzione energetica. Per esempio, una parte del business, le turbine, ce l’ha Fincantieri, gruppo che a sua volta ha bisogno di evolvere rispetto ad un assetto figlio di altri tempi. Ma siccome nella stessa Fincantieri, oltre al civile, ci sono componenti del campo militare, ecco che sarebbe utile ragionare su una possibile integrazione con la stessa Finmeccanica. Lo si dice da tempo, e ci sono idee elaborate da manager che conoscono bene quelle realtà, ma poi nessuno si è preso la briga di avviare il processo, ed eccoci ancora all’anno zero.
Si è parlato anche di gruppi privati interessati alla partita, come Camozzi. Meglio. Per essere davvero utile, l’intervento di sistema deve puntare non solo a trattenere in Italia ciò che altrimenti rischia di andare a servire altri interessi, ma cogliere l’occasione per creare poli di grandi dimensioni, a loro volta capaci di generare filiere lunghe di indotto. Vogliamo provarci, una volta tanto?
Già nell’aprile scorso, il Fondo strategico che fa capo alla Cassa depositi e prestiti si era detto pronto a intervenire, con un’offerta formale, e il vertice dell’azienda era favorevolissimo. Ma il no di Orsi e il non intervento del governo avevano bloccato l’operazione, dando spago ai tedeschi. Ora, le tanti voci che si sono sollevate e un po’ di buonsenso stanno riportando in auge l’ipotesi Fondo-Cdp, e mettendo in secondo piano Siemens. Che, visti i problemi di casa propria, non sembra neppure troppo scontento di dover eventualmente mollare la presa. Bene, ma non basta. Prima di tutto occorre una scelta chiara dell’azionista di Finmeccanica.
Il Tesoro deve dire non solo che Ansaldo Energia è strategica, come pure le altre Ansaldo (Sts e Breda), e in quanto tale assicurata agli interessi nazionali – come, a parti invertite, farebbe qualunque altro paese, a cominciare da quelli più liberali – ma anche in quale contesto vuole sia inserita, per fare in modo che la sua permanenza in Italia corrisponda ad una aggregazione virtuosa di una filiera più complessa. Per essere esplicito: l’operazione Fondo-Cdp ha senso nella misura in cui intorno ad Ansaldo si costruisce non un’operazione solo finanziaria o una cordata di “volenterosi patrioti” stile Alitalia, ma un polo industriale made in Italy degli impianti di produzione energetica. Per esempio, una parte del business, le turbine, ce l’ha Fincantieri, gruppo che a sua volta ha bisogno di evolvere rispetto ad un assetto figlio di altri tempi. Ma siccome nella stessa Fincantieri, oltre al civile, ci sono componenti del campo militare, ecco che sarebbe utile ragionare su una possibile integrazione con la stessa Finmeccanica. Lo si dice da tempo, e ci sono idee elaborate da manager che conoscono bene quelle realtà, ma poi nessuno si è preso la briga di avviare il processo, ed eccoci ancora all’anno zero.
Si è parlato anche di gruppi privati interessati alla partita, come Camozzi. Meglio. Per essere davvero utile, l’intervento di sistema deve puntare non solo a trattenere in Italia ciò che altrimenti rischia di andare a servire altri interessi, ma cogliere l’occasione per creare poli di grandi dimensioni, a loro volta capaci di generare filiere lunghe di indotto. Vogliamo provarci, una volta tanto?
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.