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Altre le priorità per la giustizia

Amnistia difficile e inutile

Senza riforma della giustizia penale è solo un momentaneo spurgo delle carceri

di Enrico Cisnetto e Davide Giacalone - 16 maggio 2006

L’amnistia è difficile, il guaio è che rischia d’essere anche inutile.
Nella scorsa legislatura si mosse fino Wojtyla: la chiese al Parlamento, lo applaudirono tutti, Casini convocò i deputati a cavallo delle festività, ma quelli preferirono le vacanze. Allora, nella maggioranza, si dovevano fare i conti con l’avversità della Lega e di buona parte di Alleanza Nazionale. Allora, per l’opposizione, l’amnistia era solo un modo per salvare i ladri. Ora le parti sono invertite, e Bertinotti dice che è giunta l’ora di vararla. I radicali sono da sempre favorevoli, cambiando schieramento, ma non posizione. Ma i pochi che dal centro destra si fanno sentire dicono: fatevela da soli, visto che siete maggioranza. Il che significa che non si farà, dato che il Parlamento stabilì, sotto la pressione delle inchieste, delle piazze e della paura, che per vararla ci vogliono i due terzi dei voti. Nessuno li ha, di dialogo fra le parti neanche si parla, quindi salutate l’amnistia.
Sarebbe giusta, sarebbe utile? Se si facesse una seria riforma della giustizia penale, capace di accorciarne i tempi, di diversificare le pene, di consegnare una reale parità fra le parti ed una reale terzietà del giudice (fin qui ancora collega degli accusatori), non solo sarebbe giusta ed utile, ma anche necessaria. Si dovrebbe farla per evitare di seppellire il nuovo diritto e la nuova procedura penale sotto le macerie accumulate dall’odierna malagiustizia. Se, però, le riforme non si fanno, e non mi pare che siano alle viste, l’amnistia diventa solo un momentaneo spurgo delle carceri, che non solo resteranno quelle che sono, ma ben presto tornerebbero ad essere affollate, anche da miglia di cittadini che la Costituzione c’impone di considerare innocenti. Ecco perché, oltre ad essere difficile, potrebbe essere inutile.
Si metterà mano alla riforma della giustizia? A naso direi di no. Perché ci sono fior d’inchieste giudiziarie che rischiano di travolgere il mondo politico, e, in queste condizioni, i politici che contano trattano più per la propria fedina penale che per il funzionamento delle istituzioni. Poi perché le corporazioni togate sono ancora le protagoniste del dibattito, e le corporazioni sono conservatrici, non riformiste. Per uscirne occorrerebbero fatti traumatici, ed a me è sempre parso un grosso errore supplicare, con promesse bugiarde, il Consiglio d’Europa di non procedere alla giusta condanna dell’Italia.
Ciò significa che il prossimo 18 maggio qualcuno ricorderà l’anniversario della morte di Enzo Tortora, eletto a simbolo di come la malagiustizia possa uccidere. Ma la cosa finirà lì, per assenza di politica capace d’intendere ed in grado di volere. Solo pochi si rendono conto che lo stato pietoso della nostra giustizia è una delle cause di un più vasto decadimento.
www.davidegiacalone.it

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