Una società fallita venduta ai francesi
Alitalia: un film dell’orrore
E adesso saremo costretti a volare di meno e ci telefoneremo di piùdi Davide Giacalone - 17 marzo 2008
Quello di Alitalia è un film dell’orrore. La società è nei fatti fallita, costretta a vendere in gran fretta terreni pur di alimentare un’asfittica liquidità, senza la quale neanche si compera più il carburante. Posseduta e controllata dallo Stato italiano, vale a dire, quindi, dalla politica italiana, s’appresta ad essere venduta ad Air France, a sua volta controllata dallo Stato francese. Dicono che in questo modo conserviamo la “compagnia di bandiera”, in realtà cediamo ai francesi il governo politico dello stendardo.
Se i francesi avessero voglia d’investire nello sviluppo del trasporto aereo italiano dovrebbero essere salutati con gioia. Meglio sarebbe se si trattasse di privati. Le cose non stanno, però, così: i francesi mirano a mettere le mani su alcune, ricchissime tratte interne e ad allargare la loro quota di mercato nel far volare gli italiani. Non puntano ad investire, ma a prendere i soldi dei nostri cittadini. E noi glieli daremmo volentieri, a loro come a chiunque sia in grado di trasportarci in modo conveniente, se non fosse che per andare fra Roma e Milano paghiamo di più che per girare il globo intero e che proprio tale arretratezza concorrenziale, tale dominio dell’intrecciarsi fra gestioni aeroportuali e mantenimento del cartello volante, è il boccone succulento che i cugini s’apprestano a pappare. Non è un caso, del resto, che hanno posto la condizione secondo la quale devono essere i sindacati a concordare sulle loro gesta, chiarendo così che vogliono il consenso dei complici che hanno portato al disastro, affinché tale prezzo politico compensi la protezione della rendita di posizione.
Il film dell’orrore ha il suo risvolto psichico, mostra il ghigno assassino del malato di mente: le forze politiche si copiano l’un l’altra per proclamare l’avvento di riforme, liberalizzazioni, merito e concorrenza, poi tacciono innanzi alla plateale negazione di tutto questo. Soprattutto nessuna di queste forze ha avuto un soprassalto di dignità nazionale nel momento in cui si è consegnato ai sindacati il potere di veto sull’operazione, nessuna ha fatto osservare che, semmai, a quel tavolo dovrebbero essere rappresentati gli interessi degli italiani, di quelli cui si spiega che si deve essere competitivi, ma cui poi si fanno pagare gli spostamenti alcuni multipli il più di quel che costano ad altri cittadini europei.
Detto tutto questo, la vendita ai francesi, nelle condizioni date, non è un male. Se i cugini ne trarranno vantaggio sarà un bene per loro, e se non ci riusciranno faranno fallire Alitalia, anche formalmente. Magari noi italiani saremo costretti a spostarci di meno, perché poco conveniente volare avanti ed indietro, e vorrà dire che ci telefoneremo più spesso, pagando le tariffe a spagnoli, inglesi, egiziani e cinesi. Ma visto che si ragiona così per le aziende di stato e per le squadre di calcio, non si potrebbe farlo anche per i governi?
Se i francesi avessero voglia d’investire nello sviluppo del trasporto aereo italiano dovrebbero essere salutati con gioia. Meglio sarebbe se si trattasse di privati. Le cose non stanno, però, così: i francesi mirano a mettere le mani su alcune, ricchissime tratte interne e ad allargare la loro quota di mercato nel far volare gli italiani. Non puntano ad investire, ma a prendere i soldi dei nostri cittadini. E noi glieli daremmo volentieri, a loro come a chiunque sia in grado di trasportarci in modo conveniente, se non fosse che per andare fra Roma e Milano paghiamo di più che per girare il globo intero e che proprio tale arretratezza concorrenziale, tale dominio dell’intrecciarsi fra gestioni aeroportuali e mantenimento del cartello volante, è il boccone succulento che i cugini s’apprestano a pappare. Non è un caso, del resto, che hanno posto la condizione secondo la quale devono essere i sindacati a concordare sulle loro gesta, chiarendo così che vogliono il consenso dei complici che hanno portato al disastro, affinché tale prezzo politico compensi la protezione della rendita di posizione.
Il film dell’orrore ha il suo risvolto psichico, mostra il ghigno assassino del malato di mente: le forze politiche si copiano l’un l’altra per proclamare l’avvento di riforme, liberalizzazioni, merito e concorrenza, poi tacciono innanzi alla plateale negazione di tutto questo. Soprattutto nessuna di queste forze ha avuto un soprassalto di dignità nazionale nel momento in cui si è consegnato ai sindacati il potere di veto sull’operazione, nessuna ha fatto osservare che, semmai, a quel tavolo dovrebbero essere rappresentati gli interessi degli italiani, di quelli cui si spiega che si deve essere competitivi, ma cui poi si fanno pagare gli spostamenti alcuni multipli il più di quel che costano ad altri cittadini europei.
Detto tutto questo, la vendita ai francesi, nelle condizioni date, non è un male. Se i cugini ne trarranno vantaggio sarà un bene per loro, e se non ci riusciranno faranno fallire Alitalia, anche formalmente. Magari noi italiani saremo costretti a spostarci di meno, perché poco conveniente volare avanti ed indietro, e vorrà dire che ci telefoneremo più spesso, pagando le tariffe a spagnoli, inglesi, egiziani e cinesi. Ma visto che si ragiona così per le aziende di stato e per le squadre di calcio, non si potrebbe farlo anche per i governi?
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.