Sbagliato il ricorso di Ciampi alla Consulta
Aboliamo la grazia
Un potere anacronistico, ingiusto se rimesso alla discrezione di un solo uomodi Davide Giacalone - 20 giugno 2005
Il potere di concedere la grazia, ovvero di assicurare ad una singola persona di non scontare la pena inflitta al termine di un regolare processo, è un potere del monarca. Quando l’Italia divenne Repubblica quel potere fu trasferito al nuovo inquilino del Quirinale. Ma dato che non è un re, si è anche stabilito che nessun suo atto può essere valido se non controfirmato dal governo. Nel caso della grazia, appunto, dal ministro della giustizia. Vorrei premettere, allora, che sarebbe saggio abolire del tutto il potere di grazia, anacronistico residuo monarchico.
In un caso specifico, quello di Ovidio Bompressi, il Presidente Ciampi intende concedere la grazia, ma il ministro Castelli non intende controfirmare. Non è la prima volta che capita, anche il Presidente Cossiga avrebbe voluto concedere la grazia a Renato Curcio, ma il ministro Martelli non intese avallare una tale decisione. Al contrario di Cossiga, Ciampi non si è arreso ed ha sollevato, innanzi alla Corte Costituzionale, la questione di un conflitto di poteri costituzionali.
La tesi di Ciampi è questa: quel potere spetta solo a me, la controfirma del ministro è un atto dovuto perché la concessione della grazia non è una decisione che abbia orientamento o valenza politica. Credo il Presidente abbia torto, non ci sono scelte prive di significato e valore politico. Per sostenere il contrario si dice: quando nomina i senatori a vita il Presidente è del tutto autonomo e la controfirma una mera formalità. Non è vero. I Presidenti hanno sempre nominato persone di alto livello e, che si condividesse o meno la scelta, sarebbe stato comunque folle innescare un conflitto. Ma mettiamo, per assurda ipotesi, che nella sua indipendenza ed autonomia il Presidente intenda nominare senatore a vita un sostenitore del terrorismo islamico, e mettiamo, per ancor più assurda ipotesi, che io sia capo del governo, ecco, la mia firma se la potrebbe scordare e quel preteso senatore non entrerebbe mai a Palazzo Madama.
Questa è la nostra struttura costituzionale, che non prevede l’esistenza di un Presidente che sia autonoma fonte d’iniziative politiche. Desidero aggiungere, però, che il caso di Bompressi merita di essere preso nella massima considerazione, e non condivido, nel merito, l’opposizione di Castelli. Ma a Ciampi non può sfuggire che concedere la grazia ad un uomo condannato ad una pena così pesante, per un reato così grave, a così poca distanza dal verdetto finale e senza che abbia scontato (per ragioni di salute) parte significativa della pena, equivale ad esprimere un giudizio negativo sulla sentenza. Ecco, io condivido quel giudizio negativo. Se così stanno le cose, allora Ciampi non s’impunti su una questione formale, ma utilizzi i poteri che gli derivano dall’essere presidente del Csm e, anziché blandire ogni corporativismo togato, indichi la necessità di rivisitare tutti i casi simili. Farebbe cosa giusta e ribadirebbe che tutti siamo eguali, davanti alla legge.
Invece la faccenda andrà al giudizio della Corte Costituzionale, nel frattempo (si spera) ricondotta al suo plenum, dopo un braccio di ferro parlamentare che ha messo in luce quanto quelle nomine siano tutte schiettamente politiche. E non potrebbe essere diversamente.
In un caso specifico, quello di Ovidio Bompressi, il Presidente Ciampi intende concedere la grazia, ma il ministro Castelli non intende controfirmare. Non è la prima volta che capita, anche il Presidente Cossiga avrebbe voluto concedere la grazia a Renato Curcio, ma il ministro Martelli non intese avallare una tale decisione. Al contrario di Cossiga, Ciampi non si è arreso ed ha sollevato, innanzi alla Corte Costituzionale, la questione di un conflitto di poteri costituzionali.
La tesi di Ciampi è questa: quel potere spetta solo a me, la controfirma del ministro è un atto dovuto perché la concessione della grazia non è una decisione che abbia orientamento o valenza politica. Credo il Presidente abbia torto, non ci sono scelte prive di significato e valore politico. Per sostenere il contrario si dice: quando nomina i senatori a vita il Presidente è del tutto autonomo e la controfirma una mera formalità. Non è vero. I Presidenti hanno sempre nominato persone di alto livello e, che si condividesse o meno la scelta, sarebbe stato comunque folle innescare un conflitto. Ma mettiamo, per assurda ipotesi, che nella sua indipendenza ed autonomia il Presidente intenda nominare senatore a vita un sostenitore del terrorismo islamico, e mettiamo, per ancor più assurda ipotesi, che io sia capo del governo, ecco, la mia firma se la potrebbe scordare e quel preteso senatore non entrerebbe mai a Palazzo Madama.
Questa è la nostra struttura costituzionale, che non prevede l’esistenza di un Presidente che sia autonoma fonte d’iniziative politiche. Desidero aggiungere, però, che il caso di Bompressi merita di essere preso nella massima considerazione, e non condivido, nel merito, l’opposizione di Castelli. Ma a Ciampi non può sfuggire che concedere la grazia ad un uomo condannato ad una pena così pesante, per un reato così grave, a così poca distanza dal verdetto finale e senza che abbia scontato (per ragioni di salute) parte significativa della pena, equivale ad esprimere un giudizio negativo sulla sentenza. Ecco, io condivido quel giudizio negativo. Se così stanno le cose, allora Ciampi non s’impunti su una questione formale, ma utilizzi i poteri che gli derivano dall’essere presidente del Csm e, anziché blandire ogni corporativismo togato, indichi la necessità di rivisitare tutti i casi simili. Farebbe cosa giusta e ribadirebbe che tutti siamo eguali, davanti alla legge.
Invece la faccenda andrà al giudizio della Corte Costituzionale, nel frattempo (si spera) ricondotta al suo plenum, dopo un braccio di ferro parlamentare che ha messo in luce quanto quelle nomine siano tutte schiettamente politiche. E non potrebbe essere diversamente.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.