L'inizio della recessione
2012, l'anno del debito
Bisogna provvedere diminuendo la spesa pubblica e abbattendo il debitodi Davide Giacalone - 31 dicembre 2011
Il tema del debito pubblico dominerà il 2012. Non è nuovo, ce lo trasciniamo dietro da tempo, ma è giunto quello in cui si deve pagare. Si può arrivarci per disperazione, oppure con intelligenza. Si può lasciarsi trascinare dagli eventi, oppure governarli. Ma il tema prevalente sarà il debito, con quel che comporterà in termini di depressione economica e sorte dell’euro. Per questo è bene parlarne, il giorno in cui ci si scambiano gli auguri. Ne faccio anche io, a tutti, partendo da un fatto:
l’Italia è un Paese ricco e forte, il cui futuro non è affatto quello del declino e della marginalizzazione. Ma a un patto: diciamo la verità e comportiamoci da persone responsabili.
Dobbiamo aver chiare tre cose, che servono da premessa del nostro ragionamento. Primo, il debito non è stato creato dal demonio e non è (solo) il frutto di ruberie, ma di una grande e prolungata redistribuzione del reddito. E’ stata un’arma con cui s’è mantenuta unita e indipendente l’Italia. I suoi effetti perversi non erano affatto imprevedibili (Ugo La Malfa li denunciò per tempo), ma il corpo sociale e quello politico s’erano assuefatti a questa droga, assumendola anche quando aveva perso la sua originaria funzione. Secondo, fino all’avvento dell’euro la gran parte del debito pubblico italiano si trovava nel portafoglio delle famiglie italiane. I tassi erano alti, ma talora ricorreva la svalutazione, mentre l’inflazione era alta. C’era una specie di patto sociale, dietro al debito: le famiglie investono e tengono fermi i soldi, in cambio ottengono sicurezza e guadagni.
Terzo, con l’euro sono cambiate due cose: a. i tassi sono molto scesi, le famiglie hanno diversificato (i risparmiatori italiani finanziano la crescita asiatica, mentre il loro Stato non trova finanziatori), il nostro debito è stato comprato all’estero, perché privo di rischio e comunque più remunerativo di altri; b. quando è esplosa la crisi dei debiti sovrani ci siamo ritrovati a governare un problema impossibile, perché il debito è in una valuta straniera, denominata “euro”, di cui nessun detiene il timone. Questo è il quadro, veniamo alla contingenza. L’anno che se ne va è stato consacrato allo spread, divenuto divinità oscura e corrusca. S’è creduto che misurasse i nostri peccati, mentre metteva in evidenza quelli dell’euro. Un dato è certo: a questo livello dei tassi d’interesse (compresi quelli delle ultime due aste, che non sono affatto andate come i giornali raccontano, presi da giulivo e incosciente conformismo) quel debito, abbandonato alle regole del mercato, è sostenibile solo con un tasso di crescita superiore al 3%. Ci avviamo a iniziare un anno di recessione, quindi fatevi due conti.
Se procediamo ad aumentare la pressione fiscale per onorare il servizio al debito, vale a dire il pagamento degli interessi, c’impoveriamo, recediamo e crepiamo. E’ la stessa condizione del privato che si trova nelle mani dello strozzino. Ha una sola via per salvarsi: denunciarlo. Nel caso italiano significa denunciare le colpe dell’euro. Ne ho già scritto. Ma ci sono anche le nostre, e a quelle si deve provvedere. In due modi: diminuendo la spesa pubblica e abbattendo il debito. La prima cosa è complicatissima, perché suscita un miliardo di resistenze, ma va fatta. Significa comprimere la spesa corrente e dare ossigeno agli investimenti. Significa colpire gli interessi di molti che campano di spesa pubblica, lo so. Altre volte abbiamo fatto esempi concreti, qui mi limito al titolo.
La seconda cosa si può fare in due modi: dismettendo patrimonio pubblico e reindirizzando il risparmio. Non sono alternativi, vanno usati entrambe. Creare un fondo patrimoniale e venderne le azioni significherebbe valorizzare subito immobili pubblici altrimenti difficilmente, e comunque lentamente, vendibili. Su un fondo di quel tipo si può chiamare, anche forzosamente, il contributo di chi ha liquidità. Si possono conferire beni pubblici alle banche, in conto aumento di capitale, in modo da riaprire i rubinetti del credito. Si può chiedere agli italiani di comprare i buoni del nostro debito pubblico (intanto chiedendo a chi legifera e governa di essere pagato con quelli). Quello che non si può fare, perché è insensato, è chiedere ciò e, al tempo stesso, promettere una più alta tassazione di quegli investimenti. L’Italia ha una bassa tassazione delle rendite finanziarie anche perché piazzava al suo interno il debito pubblico.
Economisti e opinionisti che non conoscono la storia sono come meteorologi che non conoscono le stagioni: destinati a dire minchionerie nasometriche. La soluzione della crisi in atto si trova in Europa, ma tocca a noi rimediare ai mali interni. Divenendo più forti, ma anche più puliti.
Dobbiamo aver chiare tre cose, che servono da premessa del nostro ragionamento. Primo, il debito non è stato creato dal demonio e non è (solo) il frutto di ruberie, ma di una grande e prolungata redistribuzione del reddito. E’ stata un’arma con cui s’è mantenuta unita e indipendente l’Italia. I suoi effetti perversi non erano affatto imprevedibili (Ugo La Malfa li denunciò per tempo), ma il corpo sociale e quello politico s’erano assuefatti a questa droga, assumendola anche quando aveva perso la sua originaria funzione. Secondo, fino all’avvento dell’euro la gran parte del debito pubblico italiano si trovava nel portafoglio delle famiglie italiane. I tassi erano alti, ma talora ricorreva la svalutazione, mentre l’inflazione era alta. C’era una specie di patto sociale, dietro al debito: le famiglie investono e tengono fermi i soldi, in cambio ottengono sicurezza e guadagni.
Terzo, con l’euro sono cambiate due cose: a. i tassi sono molto scesi, le famiglie hanno diversificato (i risparmiatori italiani finanziano la crescita asiatica, mentre il loro Stato non trova finanziatori), il nostro debito è stato comprato all’estero, perché privo di rischio e comunque più remunerativo di altri; b. quando è esplosa la crisi dei debiti sovrani ci siamo ritrovati a governare un problema impossibile, perché il debito è in una valuta straniera, denominata “euro”, di cui nessun detiene il timone. Questo è il quadro, veniamo alla contingenza. L’anno che se ne va è stato consacrato allo spread, divenuto divinità oscura e corrusca. S’è creduto che misurasse i nostri peccati, mentre metteva in evidenza quelli dell’euro. Un dato è certo: a questo livello dei tassi d’interesse (compresi quelli delle ultime due aste, che non sono affatto andate come i giornali raccontano, presi da giulivo e incosciente conformismo) quel debito, abbandonato alle regole del mercato, è sostenibile solo con un tasso di crescita superiore al 3%. Ci avviamo a iniziare un anno di recessione, quindi fatevi due conti.
Se procediamo ad aumentare la pressione fiscale per onorare il servizio al debito, vale a dire il pagamento degli interessi, c’impoveriamo, recediamo e crepiamo. E’ la stessa condizione del privato che si trova nelle mani dello strozzino. Ha una sola via per salvarsi: denunciarlo. Nel caso italiano significa denunciare le colpe dell’euro. Ne ho già scritto. Ma ci sono anche le nostre, e a quelle si deve provvedere. In due modi: diminuendo la spesa pubblica e abbattendo il debito. La prima cosa è complicatissima, perché suscita un miliardo di resistenze, ma va fatta. Significa comprimere la spesa corrente e dare ossigeno agli investimenti. Significa colpire gli interessi di molti che campano di spesa pubblica, lo so. Altre volte abbiamo fatto esempi concreti, qui mi limito al titolo.
La seconda cosa si può fare in due modi: dismettendo patrimonio pubblico e reindirizzando il risparmio. Non sono alternativi, vanno usati entrambe. Creare un fondo patrimoniale e venderne le azioni significherebbe valorizzare subito immobili pubblici altrimenti difficilmente, e comunque lentamente, vendibili. Su un fondo di quel tipo si può chiamare, anche forzosamente, il contributo di chi ha liquidità. Si possono conferire beni pubblici alle banche, in conto aumento di capitale, in modo da riaprire i rubinetti del credito. Si può chiedere agli italiani di comprare i buoni del nostro debito pubblico (intanto chiedendo a chi legifera e governa di essere pagato con quelli). Quello che non si può fare, perché è insensato, è chiedere ciò e, al tempo stesso, promettere una più alta tassazione di quegli investimenti. L’Italia ha una bassa tassazione delle rendite finanziarie anche perché piazzava al suo interno il debito pubblico.
Economisti e opinionisti che non conoscono la storia sono come meteorologi che non conoscono le stagioni: destinati a dire minchionerie nasometriche. La soluzione della crisi in atto si trova in Europa, ma tocca a noi rimediare ai mali interni. Divenendo più forti, ma anche più puliti.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.