Sull’università le cifre Istat sono drammatiche
2005: sedicimila studenti in meno
La malaistruzione si conferma come uno dei dati più eclatanti del declino strutturaledi Antonio Gesualdi - 25 ottobre 2006
Una piccola nota sull"istruzione e i nostri ragazzi.
L"Istat ha sfornato qualche dato sui giovani - anzi sulle giovani - universitarie. Perché all"università ci vanno soprattutto le donne.
Nell"ultimo anno accademico conteggiato si sono persi circa 16 mila studenti e continueranno a diminuire. E" l"effetto della fine delle coorti numerose come quelle del baby-boom. Un tempo gli esperti più famosi si occupavano dei movimenti giovanili e delle politiche "per i giovani". Ancora oggi ci sono alcuni matusalemme della politica che per volerti far credere che il suo partito se la passa bene dice: "abbiamo molti giovani iscritti!". Giovani non ce ne sono più nel nostro Paese e ce ne saranno sempre meno.
Sono risorsa scarsa e questo è uno dei dati strutturali di declino sul quale bisognerebbe fare molta attenzione.
Se è vero che una società di ultra 65enni non è detto che non lavori o non produca nulla, è certamente vero che una società di giovani non produce nulla - è totalmente dipendente (per questo nella realtà le popolazioni giovani sono sempre più povere) - ma di fatto produce la speranza per il futuro. Ora se il nostro Paese non ha giovani in che cosa può sperare per il futuro?
Declina fortemente anche il tasso della forza lavoro: c"è sempre meno gente che entra nel mercato del lavoro. Si abbassa la disoccupazione, ma non si alza la produttività. L"unica via di uscita sembra la ricerca e l"innovazione prodotta e applicata da lavoratori sempre più istruiti e specializzati. Ma anche questa è una via stretta e non sembri peregrina l"idea che Cisnetto ha più volte ripetuto: l"innovazione, al punto in cui siamo giunti, sarebbe meglio comprarla e renderla subito disponibile. Ma per fare questo occorrerebbe una politica industriale e post-industriale di riforme che nessun governo, finora, pare in grado neppure di pensare.
L"istruzione da sola non basterà - e i dati dell"Istat lo confermano - sia perché i giovani già scarseggiano sia perché una popolazione non può pensare di investire, oltre un certo limite, sulla formazione senza interferire con la struttura della popolazione stessa e senza bloccare lo sviluppo dell"economia. Finora soltanto la Svezia (per un periodo limitato, dal 1998 al 2003) ha dimostrato l"eccezione crescendo, contemporaneamente, in acculturazione generale alta e in numero di figli per donna. Ma proprio in quegli anni la Svezia ha visto cominciare a calare i laureati in materie scientifiche, anche se, contemporaneamente, ha distanziato di molto tutti gli altri paesi europei aumentando di 20 punti il tasso di iscrizione al terzo livello di educazione. In quello stesso periodo, però, anche l"Italia ha elevato quest"ultimo tasso superando perfino la Francia e la Germania. Ma, appunto, sia la Svezia che l"Italia, in questi stessi anni, hanno riattivato l"invecchiamento della popolazione. Gli svedesi controllandolo meglio, gli italiani andando completamente nella direzione dell"invecchiamento e della fertilità verso lo zero. Ci sono intere province, in Italia, dove il tasso di fecondità è al di sotto di 1: significa che ogni donna fertile non solo non riproduce la coppia (cosa alla quale tende una società che vuole continuare ad esistere), ma neppure se stessa (cosa che smentirebbe anche l"idea di riprodurre sé stessi!).
Il fatto reale è che l"investimento sull"istruzione è a carico della famiglia. Mentre i vantaggi di questo investimento sono soprattutto sociali. La tensione economica che si crea è che sia le famiglie che la società tenderanno ad ottimizzare il rendimento di questo investimento sull"istruzione: le famiglie piazzando i figli in lavori ritenuti di più alto reddito e qualità di lavoro e la società in lavoro ritenuto utile, ma a più basso costo possibile. In questa tensione del mercato del lavoro - tra aspettative, realtà e creazione (vera e propria invenzione) di lavori nuovi o adeguati all"investimento fatto - si realizza anche la prospettiva futura della popolazione. Negli Stati Uniti, ad esempio, lo sviluppo economico dello scorso decennio era stato anticipato dalla flessione dei livelli di istruzione generale e dall"immissione di immigrati messicani a bassa scolarizzazione. Oggi gli Stati Uniti hanno superato i 300 milioni di abitanti.
Se questa connessione è vera una popolazione - come quella italiana - che invecchia a ritmo sostenutissimo ci sta mostrando di aver raggiunto uno dei livelli più alti di compatibilità tra acculturazione generale - soprattutto dei giovani e in particolare delle giovani donne - e struttura della popolazione.
Se noi italiani andiamo avanti così spariremo per mancanza di giovani. Se non investiamo in alta istruzione verremo fatti fuori dal mercato globale. Che fare?
La logica vorrebbe che si tornasse a pensare una scuola più selettiva, ben organizzata e fondata sugli studenti e le studentesse e non più sui docenti e le loro camarille politiche. La realtà dei numeri impone anche di fare in fretta perché altrimenti, tra pochi decenni, non avremo neppure... gli studenti!
L"Istat ha sfornato qualche dato sui giovani - anzi sulle giovani - universitarie. Perché all"università ci vanno soprattutto le donne.
Nell"ultimo anno accademico conteggiato si sono persi circa 16 mila studenti e continueranno a diminuire. E" l"effetto della fine delle coorti numerose come quelle del baby-boom. Un tempo gli esperti più famosi si occupavano dei movimenti giovanili e delle politiche "per i giovani". Ancora oggi ci sono alcuni matusalemme della politica che per volerti far credere che il suo partito se la passa bene dice: "abbiamo molti giovani iscritti!". Giovani non ce ne sono più nel nostro Paese e ce ne saranno sempre meno.
Sono risorsa scarsa e questo è uno dei dati strutturali di declino sul quale bisognerebbe fare molta attenzione.
Se è vero che una società di ultra 65enni non è detto che non lavori o non produca nulla, è certamente vero che una società di giovani non produce nulla - è totalmente dipendente (per questo nella realtà le popolazioni giovani sono sempre più povere) - ma di fatto produce la speranza per il futuro. Ora se il nostro Paese non ha giovani in che cosa può sperare per il futuro?
Declina fortemente anche il tasso della forza lavoro: c"è sempre meno gente che entra nel mercato del lavoro. Si abbassa la disoccupazione, ma non si alza la produttività. L"unica via di uscita sembra la ricerca e l"innovazione prodotta e applicata da lavoratori sempre più istruiti e specializzati. Ma anche questa è una via stretta e non sembri peregrina l"idea che Cisnetto ha più volte ripetuto: l"innovazione, al punto in cui siamo giunti, sarebbe meglio comprarla e renderla subito disponibile. Ma per fare questo occorrerebbe una politica industriale e post-industriale di riforme che nessun governo, finora, pare in grado neppure di pensare.
L"istruzione da sola non basterà - e i dati dell"Istat lo confermano - sia perché i giovani già scarseggiano sia perché una popolazione non può pensare di investire, oltre un certo limite, sulla formazione senza interferire con la struttura della popolazione stessa e senza bloccare lo sviluppo dell"economia. Finora soltanto la Svezia (per un periodo limitato, dal 1998 al 2003) ha dimostrato l"eccezione crescendo, contemporaneamente, in acculturazione generale alta e in numero di figli per donna. Ma proprio in quegli anni la Svezia ha visto cominciare a calare i laureati in materie scientifiche, anche se, contemporaneamente, ha distanziato di molto tutti gli altri paesi europei aumentando di 20 punti il tasso di iscrizione al terzo livello di educazione. In quello stesso periodo, però, anche l"Italia ha elevato quest"ultimo tasso superando perfino la Francia e la Germania. Ma, appunto, sia la Svezia che l"Italia, in questi stessi anni, hanno riattivato l"invecchiamento della popolazione. Gli svedesi controllandolo meglio, gli italiani andando completamente nella direzione dell"invecchiamento e della fertilità verso lo zero. Ci sono intere province, in Italia, dove il tasso di fecondità è al di sotto di 1: significa che ogni donna fertile non solo non riproduce la coppia (cosa alla quale tende una società che vuole continuare ad esistere), ma neppure se stessa (cosa che smentirebbe anche l"idea di riprodurre sé stessi!).
Il fatto reale è che l"investimento sull"istruzione è a carico della famiglia. Mentre i vantaggi di questo investimento sono soprattutto sociali. La tensione economica che si crea è che sia le famiglie che la società tenderanno ad ottimizzare il rendimento di questo investimento sull"istruzione: le famiglie piazzando i figli in lavori ritenuti di più alto reddito e qualità di lavoro e la società in lavoro ritenuto utile, ma a più basso costo possibile. In questa tensione del mercato del lavoro - tra aspettative, realtà e creazione (vera e propria invenzione) di lavori nuovi o adeguati all"investimento fatto - si realizza anche la prospettiva futura della popolazione. Negli Stati Uniti, ad esempio, lo sviluppo economico dello scorso decennio era stato anticipato dalla flessione dei livelli di istruzione generale e dall"immissione di immigrati messicani a bassa scolarizzazione. Oggi gli Stati Uniti hanno superato i 300 milioni di abitanti.
Se questa connessione è vera una popolazione - come quella italiana - che invecchia a ritmo sostenutissimo ci sta mostrando di aver raggiunto uno dei livelli più alti di compatibilità tra acculturazione generale - soprattutto dei giovani e in particolare delle giovani donne - e struttura della popolazione.
Se noi italiani andiamo avanti così spariremo per mancanza di giovani. Se non investiamo in alta istruzione verremo fatti fuori dal mercato globale. Che fare?
La logica vorrebbe che si tornasse a pensare una scuola più selettiva, ben organizzata e fondata sugli studenti e le studentesse e non più sui docenti e le loro camarille politiche. La realtà dei numeri impone anche di fare in fretta perché altrimenti, tra pochi decenni, non avremo neppure... gli studenti!
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.